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Spiegare la guerra… con una cipolla

Editoriale – La “cipolla della sopravvivenza” (survivability onion) è un modo per visualizzare e spiegare come funziona la guerra contemporanea, e ci aiuta a capire il perché di certi discorsi o dell’esistenza di certi equipaggiamenti nella guerra in Ucraina.

Come ho scritto in passato, la guerra è un fenomeno estremamente complesso e non è un caso che molti aspetti risultino oscuri non solo a parte dell’opinione pubblica, ma anche a parte degli organi d’informazione, poco abituati ad affrontare questi temi. Essa ha sempre al centro l’uomo, con le armi di cui è dotato e gli equipaggiamenti e i mezzi di cui si serve. Soprattutto al giorno d’oggi nel quale le perdite umane sono considerate con molta più attenzione del passato, assicurarsi che gli uomini rimangano vivi e i mezzi efficienti è particolarmente importante. La “cipolla della sopravvivenza” (survivability onion) è il concetto con cui si spiega come questo venga affrontato in guerra. Viene principalmente utilizzato in ambito navale, ma può essere esteso in generale alle guerre e in particolare al complesso rapporto tra uomo, tecnologia e tattiche. Lo analizziamo brevemente dal lato più esterno a quello più interno, esattamente come gli strati di una cipolla.

Fig. 1 – Un’immagine tipo della “cipolla della sopravvivenza”

“Non essere lì” – “Don’t be there”

Apparentemente sembra un’indicazione banale: se vuoi sopravvivere, non essere lì dove c’è il pericolo di essere colpito. Può indicare che se vuoi, ad esempio, che la tua nave non venga affondata, allora non mandarla in zona di guerra o di pericolo. Se non vuoi che i tuoi uomini vengano colpiti, tienili fuori dalla guerra.

È in fondo ciò che fa la NATO ora: per evitare che di essere coinvolta direttamente, tiene i propri soldati fuori dall’Ucraina. Ma estendendo un po’ il concetto potremmo dire che “non essere lì dove c’è il pericolo di essere colpito” significa anche “stai fuori dalla gittata delle armi nemiche”. È il primo principio di sopravvivenza in guerra: se vuoi colpire il nemico e non vuoi rischiare di essere colpito, stai fuori dalla gittata dei suoi cannoni, dei suoi aerei, delle sue armi. Il che significa – se vuoi comunque colpirlo – che devi avere armi a gittata maggiore così da poterlo colpire da più lontano, dominare il cielo perché non possa usare i suoi aerei per colpirti.

Da questo nasce tutta una serie di tecnologie (armi con gittate sempre più ampie), tattiche e operazioni: dal distruggere le difese antiaeree nemiche perché i propri aerei non corrano più rischi fino ad aspetti “indiretti” come colpire i suoi rifornimenti perché dopo un po’ non abbia più munizioni per sparare. Estendendo ancora, fiaccare il suo morale perché i suoi soldati si arrendano e non combattano. Ovviamente è inevitabile in guerra finire almeno in parte entro il raggio delle armi nemiche e questo porta allo “strato successivo”.

“Non essere visto” – “Don’t be seen”

Avvicinarsi al nemico è spesso indispensabile, ma significa esporsi maggiormente. Tuttavia se il nemico non ti vede non può spararti e quindi la tua capacità di sopravvivere aumenta. “Non vedere” in guerra indica sicuramente il fatto di rimanere nascosti (incluse quindi mimetizzazioni e cammuffamenti), ma indica anche tutte quelle misure di guerra elettronica fatte apposta per impedire ad esempio ai radar nemici di individuarti. Nasce da questa esigenza la tecnologia stealth degli aerei (e recentemente anche di alcune navi), il volo a pelo d’acqua (sea skimmer) di molti missili antinave (perché non possano essere individuati fino a un certo momento), le tattiche di movimento, le tattiche sottomarine, il modo in cui vengono create le posizioni difensive, il mascheramento delle emissioni elettromagnetiche (EM) dei comandi, ecc…

Diametralmente opposta è tutta la tecnologia per individuare il nemico, cioè per “vederlo” e riconoscerlo (che non è la stessa cosa: puoi vedere qualcuno, ma non renderti conto se sia amico o nemico, pericoloso o innocuo… mentre servono entrambe le cose; ne parlerò meglio un’altra volta): radar, monitoraggio delle emissioni EM per individuare unità e comandi nemici, uso di satelliti, droni ISR, aerei da ricognizione, le tattiche di guerra anti-sommergibili…

Vedere inoltre non è solo l’individuazione visiva, ma anche quella nello spettro elettromagnetico (radar e non solo) e quindi a lunga distanza. È quasi un gioco di gatto col topo, dove però entrambi sono cacciatore e preda allo stesso tempo: si cerca costantemente il nemico e si cerca di evitare di essere trovati dal nemico. Vedere e nascondersi allo stesso tempo. Dato il costo umano delle vite dei soldati e quello monetario dei mezzi, non farsi vedere è la cosa più utile per ridurre al minimo il rischio di danni e pertanto non stupisce che sia uno degli ambiti dove si investe di più in industria della difesa… idem per tutto ciò che, al contrario, permette di “vedere”.

È impossibile restare “invisibili” per sempre: come minimo quando spari riveli la tua presenza, e anche i caccia stealth comunque hanno limiti. Perfino l’artiglieria (che spara da molto lontano, fuori dalla vista) è vulnerabile, perché esistono radar definiti “di controbatteria” che sono capaci di triangolare la posizione di partenza dei colpi, permettendo alla propria artiglieria di capire da dove ha sparato il nemico e colpire proprio in quella posizione. Insomma, prima o poi qualcuno ti vede, ti individua, ti riconosce… e succede più spesso di quanto non si speri: è allora che si passa allo strato successivo.

Non farti inquadrare come bersaglio” – “Don’t be targeted”

Il concetto di “inquadrare il nemico come bersaglio” non è banale da spiegare, ma è fondamentale. In breve, non basta “vedere” che c’è un potenziale nemico e identificarlo come tale. Devi anche poi essere sicuro di poterlo colpire. Pensando a come spiegarlo a chi non è esperto di questioni militari, si può pensare alle scene di dogfight dei caccia in film come “Top Gun”: il caccia che insegue vede il nemico, ma prima di sparare deve cercare di inquadrarlo correttamente (nel caso specifico, ottenere un “lock-on”) per essere sicuro che il missile lo colpisca. Se no, è facile che manchi il bersaglio. Il caccia davanti non può rendersi invisibile ma cerca in tutti i modi di evitare che l’inseguitore possa inquadrarlo. Ecco, parliamo proprio di una cosa del genere: passare dal “ti vedo” al “ti sparo” richiede il “ti miro”. E, al contrario, tra il “provo a non farmi vedere” e il “provo a non farmi colpire” c’è il “provo a evitare che tu riesca a prendere la mira”.

Un aspetto di questo concetto coinvolge il rendere difficile al nemico determinare esattamente la tua posizione. In particolare serve a poco che il nemica ti veda e comunichi le tue coordinate… se nel frattempo ti sei spostato. A meno che non si sia in condizioni di difesa di postazioni fisse (dove si applicano altre dinamiche), nella guerra contemporanea le unità militari tendono a non stare troppo ferme nella stessa posizione vicino al nemico proprio per non diventare facili bersagli. Muoversi frequentemente aiuta a impedire che il nemico possa individuare e colpire, facendo sì che ogni informazione circa il “dove sei” risulti vecchia velocemente. Se da un lato questo appare facilmente intuitivo per un gruppo di soldati, tenete presente che è una tattica usuale anche per l’artiglieria, in particolare quella semovente o comunque mobile, che usa la tattica “shoot and scoot”: dopo aver sparato (shoot) si cambia velocemente posizione (scoot) rendendo inutile al nemico il determinare da dove sono partiti i colpi.

Nella lotta (anche tecnologica) tra chi prova a inquadrare e chi prova a non essere inquadrato, se vince il primo si passa allo strato successivo.

“Non farti colpire” – “Don’t be hit”

Che il nemico ti colpisca o ti manchi non è solo questione di mira da parte sua. Innanzi tutto questa è la realtà, non il film “Matrix”, quindi se ti sparano la capacità di schivare i colpi scostandosi non esiste… solo gli aerei riescono ad accorgersi di essere inquadrati dal nemico e possono provare manovre diversive per schivare un missile, e anche loro ci riescono solo in rari casi e con l’ausilio di aiuti. Considerate che i missili contemporanei sono molto più veloci di quelli che si vedevano ai tempi rappresentati da film come “Top Gun”…

Se per un soldato l’unica possibile difesa è una qualche copertura (alberi, muri di edifici, terrapieni…) la cosa è molto più complessa per i veicoli. Esistono quelle che vengono chiamate contromisure attive, cioè un insieme di tecnologie che provano a impedire a un missile o un proiettile nemico di colpire. Una categoria cerca di intercettare e distruggere il missile avversario prima che colpisca: vanno in questa direzione i sistemi di difesa antimissile, i sistemi di “point defence” sulle navi, come il Phalanx, e anche alcuni sistemi di protezione attiva presenti sui carri armati più moderni (ad esempio il sistema Trophy testato con successo dai carri armati Israeliani a Gaza). Un’altra categoria è principalmente studiata per interferire con i sistemi di guida dei moderni missili e “rovinarne” la capacità di raggiungere correttamente il bersaglio: il caso più conosciuto sono i flare dei caccia o degli elicotteri, studiati per confondere la capacità di certi missili di seguire la traccia infrarosso (IR) dei motori del velivolo.

Allo stesso tempo grande impegno viene profuso nel migliorare la capacità di colpire il nemico, con tecnologie e tattiche che vanifichino gli sforzi e le contromisure degli avversari, incluse armi con sempre maggiore precisione ed efficacia. Tecnologia e tattiche vanno di pari passo per ridurre la capacità del nemico di colpirci… e permettere a noi di colpire il nemico nonostante le sue tecnologie e le sue tattiche. Anche qui è una rincorsa (tecnologica e non) continua.

Ovviamente sappiamo bene che in guerra i colpi prima o poi vanno a segno, e questo porta allo strato successivo.

“Non farti perforare” – “Don’t be penetrated”

Essere colpiti non è mai vantaggioso… ma la capacità di un soldato di non essere ucciso o messo fuori combattimento – o di un veicolo/mezzo/aereo/elicottero di sopravvivere ai colpi nemici – è importante proprio perché è impossibile pensare che il nemico non colpisca mai. Il bilanciamento tra ciò che ti permette di evitare i colpi nemici (spesso basato su tecnologia ed elementi di velocità, bassa riconoscibilità, ecc…) e ciò che ti permette di sopportare i colpi nemici (spesso basato su tecnologie diversa ed elementi di robustezza, dimensione, ecc…) è critica e richiede compromessi o scelte a priori.

Non esiste armatura o protezione che protegga al 100% contro qualsiasi colpo. È dunque sempre un ragionamento effettuato circa la possibilità di proteggere le parti più vitali di un soldato (testa, tronco) o quelle più critiche di un veicolo (alloggiamento equipaggio, motore, munizioni), tenendo presente che, soprattutto per i veicoli, le scelte di design sbagliate esistono e non sono rare.

Se per un soldato la scelta ricade su giubbotti antiproiettile, elmetti e altre protezioni, che devono proteggere, ma anche consentire movimenti (una super armatura che non ti fa muovere non serve a niente, saresti solo un grosso bersaglio), per un veicolo la corazza può essere maggiormente tarata, tuttavia richiede anche un bilanciamento con un motore capace di muovere un veicolo pesante (che se fermo o troppo lento è di nuovo solo un grosso bersaglio vulnerabile) e essere combinata con altre tecnologie. Generalmente si cerca di pararsi contro quelle che si ritengono le minacce più comuni o più probabili, spesso identificate in precedenti conflitti o seguendo gli sviluppi dell’industria bellica amica e nemica.

L’armatura dei tank (fin dalla Seconda Guerra Mondiale) è per esempio non solo spessa, ma anche inclinata per deflettere parzialmente la potenza degli ordigni anticarro nemici, ed esistono altre tecnologie per ridurre ulteriormente il pericolo. Ne è un esempio l’armatura reattiva (explosive reactive armour – ERA) di molti tank russi, con placche che esplodono quando il missile anticarro si avvicina, facendolo detonare prima del contatto con il tank e riducendo quindi la forza di impatto. Questo aumenta la probabilità che il carro armato sopravviva al colpo.

Altre soluzioni di geometria e ingegneria costruttiva incrementano la probabilità che l’equipaggio sopravviva ai colpi o possa uscire rapidamente dal carro danneggiato… ma va detto che non sempre i progettisti hanno idee valide al riguardo, visto che molti carri russi hanno il deposito di proiettili mal disposto e facile all’esplosione, mentre l’equipaggio deve operare in spazi angusti e difficilmente evacuabili. Il risultato è una percentuale maggiore di equipaggi uccisi. Inoltre così come si cerca di migliorare la sopravvivenza di chi viene colpito, il nemico prova a ridurla: i missili anticarro Javelin e NLAW per esempio hanno una doppia carica esplosiva proprio per sconfiggere il sistema ERA – la prima carica fa esplodere l’armatura reattiva, l’altra subito dietro colpisce e distrugge il tank ora vulnerabile. Esistono anche veicoli che puntano tutto sul “non farsi colpire” anche solo per loro stessa natura intrinseca: la capacità di un elicottero o un aereo di sopravvivere a un colpo è ridotta e dipende soprattutto da dove vengono colpiti e dove si trovino in quel momento: non sempre è possibile fare atterraggi di emergenza anche se il velivolo non esplode. E se il colpo penetra l’armatura (personale o del veicolo) rimane solo l’ultimo strato.

“Non essere ucciso” – “Don’t be killed”

Sembra un consiglio banale e poco utile… ma in realtà ci si riferisce a due aspetti molto rilevanti: il primo è la capacità di un veicolo, di una nave o di un aereo di sopravvivere a un colpo, cioè di rimanere operativo anche dopo aver subito danni. Per una nave ad esempio significa la capacità di non affondare dopo aver subito colpi anche gravi e include la capacità di riparare parzialmente i danni o avere un efficiente sistema di controllo degli incendi a bordo (cosa che sembra sia mancata nel Moskva). In altri veicoli (ad esempio aerei) può trattarsi di sistemi ridondanti o la capacità di rimanere in volo anche pur avendo subito qualche danno.

Il secondo invece si riferisce a una situazione di danni più gravi, inclusi alle persone, e ovviamente in questo caso ci si riferisce a tutto ciò che riduce la mortalità negli uomini colpiti o permette il recupero dei veicoli (mezzi, velivoli, ecc…) danneggiati. È evidente che la morte sul colpo o la distruzione diretta non siano recuperabili. Ma la capacità di un esercito di avere medici e paramedici – con equipaggiamento adatto e ben addestrati – pronti a intervenire e un buon sistema di stabilizzazione e trasferimento dei feriti in ospedali da campo efficienti – oltre agli avanzamenti in scienza medica – ha nei decenni ridotto la mortalità in guerra. Magari i feriti rimangono molti, alcuni anche con danni gravi o permanenti… ma il numero di morti si può ridurre. Questo ovviamente a patto di avere gli elementi citati in precedenza: un esercito che non ha un buon sistema di recupero e trattamento dei feriti in zona di guerra (inclusi kit medici efficienti e addestramento dei soldati al primo soccorso) e successivo trasferimento nelle retrovie avrà una percentuale maggiore di morti semplicemente, perché chi è ferito grave non ha modo di essere salvato… e oltre al lato umano, anche in termini di morale nazionale la riduzione delle perdite (o l’incapacità a farlo) non è un dettaglio da poco.

Per i veicoli ovviamente la cosa si trasla in termini di capacità di recuperare e riparare i veicoli danneggiati, e rimetterli in funzione il più velocemente possibile. Logistica, meccanici, rifornimenti di parti di ricambio, luoghi e attrezzature adatte per le riparazioni sono elementi che permettono a un esercito di recuperare forza anche dopo aver subito danni e non è un caso che i russi stiano in questi giorni cercando di colpire proprio i centri ucraini legati a questi aspetti, per ridurre la capacità ucraina di recuperare forze nonostante le perdite.

Per quanto ognuno degli aspetti citati possa essere ulteriormente approfondito e sia stato qui un po’ semplificato, la cipolla della sopravvivenza rimane un modo particolarmente efficace per far capire la complessa interazione tra uomini, tecnologia e tattiche. Per analizzare un conflitti militare dunque non basta dire “c’è la guerra, ci si spara”.

Lorenzo Nannetti

Immagine di copertina a cura dell’autore.

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Perchè è importante

  • La guerra è complessa soprattutto nell’interazione tra uomo, tecnologia e tattiche.
  • La “cipolla della sopravvivenza” (“survivability onion”) è un concetto che aiuta a esplorare questi aspetti.
  • Il proliferare di tecnologie, tattiche e perfino le caratteristiche dei veicoli dipendono da tali interazioni.

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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