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Kirghizistan: terrorismo islamista, sicurezza e diritti umani

AnalisiLa “terra dei kirghisi” è tormentata dalle divisioni etniche e dalla crescente espansione dell’estremismo islamista, che rende più complicati la gestione dei problemi legati alla sicurezza interna e il rispetto dei diritti umani.

UN PAESE INSTABILE E DIVISO

Il Kirghizistan, dopo la rivoluzione del 2010, sta cercando una maggiore stabilità politica. Dal novembre 2017 alla guida del Paese c’è l’ex primo ministro Sooronbay Jeenbekov, che fin dall’inizio del proprio mandato ha intrapreso un dura battaglia per la risoluzione degli scontri fra clan e minoranze, oltre a intensificare la lotta contro il terrorismo islamista. Il Kirghizistan gode di un sistema democratico più o meno solido, ma manca di stabilità politica, a causa anche della composizione etnica della popolazione – pressappoco 5,7 milioni di persone, di cui circa due terzi kirghisi e la restante parte composta da minoranze uzbeke, russe, uigure, tagike, turche e kazake. Le motivazioni principali degli scontri interni sono dovuti alla lotta tra i diversi clan kirghisi per il potere e agli scontri tra la maggioranza kirghisa e le altre minoranze. Gli uzbeki, in particolare, da anni invocano l’ingresso della loro minoranza nel processo politico nazionale, richiesta che molti leader kirghisi vedono come una minaccia all’unità dello Stato. A complicare il già complesso quadro interno, negli ultimi anni si è avuto un crescente aumento della radicalizzazione religiosa e del terrorismo islamista. La principale zona a rischio è la valle di Fergana, al crocevia tra Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, dove i conflitti etnici e la diffusione dell’Islam conservatore ed estremista rendono la situazione potenzialmente pericolosa. Il Kirghizistan è ufficialmente uno Stato laico, ma circa l’80% della popolazione è musulmana. Nel Paese ci sono attualmente 2.422 moschee, 81 scuole islamiche e 68 centri musulmani registrati e tra i giovani gli abbigliamenti imposti dal Corano sono la moda più seguita. La situazione socio-politica interna, la corruzione governativa, la mancanza di fiducia nelle istituzioni statali e le forti difficoltà economiche, hanno condotto alla nascita di un forte sentimento radicale dell’Islam, quale mezzo alternativo per fare fronte alla crisi. La radicalizzazione religiosa si interseca anche con le differenze etniche, in particolare nel Sud del Kirghizistan, laddove la componente uzbeka è sempre stata tradizionalmente più conservatrice rispetto alle controparte kirghisa.

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Fig. 1 – Forze speciali del Kirghizistan durante un’esercitazione anti-terrorismo

LA CRESCITA DEL TERRORISMO ISLAMISTA

Il terrorismo internazionale di matrice islamista ha raggiunto già da anni anche l’Asia centrale. In Kirghizistan l’interesse per l’Islam è cresciuto esponenzialmente e nel Paese ci sono interi gruppi familiari che diventano simpatizzanti o membri di organizzazioni del terrorismo islamista. Come già osservato, la valle del Fergana è il principale focolaio di ideologia islamista radicale, soprattutto nell’area abitata dalla minoranza uzbeka. Nel Paese, negli ultimi sette anni, il numero delle organizzazioni terroristiche proibite attive è salito da 9 a 19, con duemila individui registrati come estremisti, appartenenti a formazioni come Ḥizb ut-Tahrir al-Islami (Partito della Liberazione Islamica – HUT), il Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU) alleato di al-Qāʿida, l’Unione del Jihād Islamico (IJU), il Partito Islamico del Turkestan (TIM) e lo Stato Islamico. Il più attivo nel Paese kirghiso è Ḥizb ut-Tahrir al-Islami, un’organizzazione islamista estremista che si pone come obiettivi principali il ristabilimento del Califfato islamico e l’istituzione della shari’a. L’organizzazione è stata bandita oltre che in Kirghizistan, anche in Cina e Russia. Inoltre si stima che nel Paese vi siano circa 7mila simpatizzanti dello Stato Islamico (IS), di cui almeno 600 attualmente in Medio Oriente a combattere per l’esercito del Califfato. La maggior parte di loro proviene dalle città di Oš e Žalalabad, ma ci sono anche kirghisi emigrati in Russia che vengono radicalizzati dalla reti ribelli cecene attive a Mosca e in altre zone del Paese. Spesso ai margini della società, questi emigrati sono radicalizzati nei centri di accoglienza gestiti da ceceni e reclutati per combattere in Medio Oriente o per ritornare nel proprio Paese, proseguendo la lotta con i gruppi terroristici presenti sul territorio. A fine dicembre 2016, il Governo kirghiso ha approvato il primo programma anti-terrorismo, aumentando le misure preventive e repressive, con l’obiettivo di impedire la radicalizzazione interna nel Paese e il ritorno dei militanti jihadisti in Siria e Iraq. La questione terrorismo è sentita come una minaccia da Biškek, che ha quindi elevato il livello dei controlli di sicurezza e introdotto misure penali per contrastare l’estremismo. Nonostante ciò ci sono stati nel Paese sette attacchi terroristici da giugno 2016 a luglio 2018, con 117 morti e oltre 360 feriti.

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Fig. 2 – Incontro dei Ministri degli Esteri della Shanghai Cooperation Organization a Pechino, aprile 2018

SICUREZZA E DIRITTI UMANI

L’intervento anti-terrorismo degli Stati centroasiatici avviene principalmente attraverso la Regional Antiterrorism Structure (RATS) della Shanghai Cooperation Organization (SCO), che sfrutta la cooperazione di intelligence tra Cina, Russia, Kirghizistan, Kazakistan, Uzbekistan e Tagikistan. Dal 2013 il Governo di Biškek, per rafforzare la sicurezza interna, ha invece integrato l’articolo 299-2 del codice penale, criminalizzando il possesso di materiale religioso estremista anche se l’incriminato non ha intenzione di diffonderlo, considerandone la fruizione come illegale, poiché di futura potenziale divulgazione. Inoltre è stato approvato un progetto di legge sull’educazione e le istituzioni religiose in Kirghizistan che prevede, tra l’altro, la registrazione delle scuole religiose finanziate dall’estero e maggiori controlli sulle persone che si recano all’estero a fini di educazione religiosa. In origine la legge kirghisa criminalizzava l’acquisizione, il trasporto e la distribuzione di materiali estremistici, insieme all’uso di simboli o attributi appartenenti a organizzazione estremistiche. L’articolo 299-2 è stato poi modificato rendendo criminale anche semplicemente il possesso di materiale integralistico. Agli inizi del 2016 sono poi state introdotte in tale articolo pene detentive obbligatorie. La violazione di questa norma è diventata quindi l’accusa più comune contro il terrorismo e i sospetti di estremismo nel Paese, ed è stato utilizzata per condannare almeno 258 persone dal 2010. La maggior parte dei sospetti processati in Kirghizistan per reati di terrorismo ed estremismo sono di etnia uzbeka e provengono dal Sud del Paese. A seguito dell’inasprimento delle leggi anti-radicalizzazione, i vertici spirituali musulmani del Kirghizistan e numerose associazioni per i diritti umani hanno denunciato le problematiche delle leggi anti-terrorismo, poiché limitano gravemente la libertà di religione ed espressione. Le stesse hanno anche accusato le Forze dell’ordine di essere eccessivamente diffidenti nei confronti di attributi islamici quali la barba e l’hijab, in alcuni casi arrivando anche a molestare gli individui fermati o sottoposti a controllo. Inoltre, Human Rights Watch (HRW) ha criticato l’arresto e la condanna al carcere di numerose persone per il semplice possesso di materiale classificato come estremistico dalle Forze antiterrorismo del comitato statale per la sicurezza nazionale (GKNB), anche se lo stesso non era stato distribuito. Dopo le tante critiche ricevute, il Governo kirghiso ha annunciato che sono state programmate delle riforme sia delle leggi anti-terrorismo e anti-radicalizzazione, che dell’articolo 299-2 del codice penale. Le riforme programmate dovrebbero limitare le accuse di terrorismo alla diffusione e all’utilizzo del materiale estremistico, escludendo invece il possesso dello stesso. I funzionari governativi hanno però annunciato che gli emendamenti di riforma, inizialmente previsti per inizio 2019, potrebbero essere ritardati di alcuni mesi.

                   Daniele Garofalo

 

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Daniele Garofalo
Daniele Garofalohttps://independent.academia.edu/DanieleDaniele13

Sono nato a Salerno nel 1988. La storia, la geografia, la politica e i viaggi, sono da sempre le mie grandi passioni. Sono ricercatore e analista del Terrorismo Islamista e di Geopolitica. Ho collaborato con la rivista digitale Geopolitical Report dell’ASRIE, l’“Association of Studies, Research and Internationalization in Eurasia and Africa”, con il centro studi Geopolitica.info e con Notizie Geopolitiche.net. Collaboro con Babilon news & magazine e da maggio 2018 con il Desk Asia del Caffè Geopolitico. Per il Caffè Geopolitico mi sono occupato di monitoraggio del jihadismo globale con la newsletter “Gli Occhi nel Jihad“.

Sono Analista del terrorismo per il Centro Studi e ricerca Analytica for Intelligene and Security Studies.

Ad Aprile 2020 è stato pubblicato il mio primo libro: “Medio Oriente Insanguinato”(Enigma Edizioni), un’analisi geopolitica del contesto mediorientale e del terrorismo islamista.

Mi occupo principalmente della ricerca, studio e analisi del terrorismo islamista, dell’area mediorientale e saheliana, dell’Asia Centromeridionale.

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