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Sahel tra due fuochi: cambiamento climatico e conflitti regionali

Caffe LungoFino a che punto l’emergenza climatica esacerba le tensioni politiche e i colpi di Stato nel continente africano? L’esempio saheliano potrebbe non restare un caso isolato.

THREAT MULTIPLIER: DI COSA PARLIAMO?

Ad oggi gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più evidenti. In particolare la comunità internazionale si interroga progressivamente sul ruolo che le condizioni climatiche hanno nel causare conflitti. 
I cambiamenti del clima sono considerati dei threat multiplier, letteralmente moltiplicatori di minacce. Alcuni dati ipotizzano che per ogni grado di cui aumenta la temperatura in una determinata area, aumenta del 2,4% il numero di conflitti tra individui – come aggressioni o omicidi – e dell’11,3% la quantità di conflitti tra gruppi – come guerre o attacchi terroristici. Questo accade perché le variazioni del clima tendono a inasprire i fattori alla base di radicalizzazioni sociali e politiche, e indeboliscono la società civile in termini di accesso a risorse e sicurezza.

IL CASO DEL SAHEL

Tra i casi più preoccupanti c’è quello del Sahel, dove il cambiamento climatico sta diventando una vera e propria emergenza per via degli impatti sia ambientali che socio economici. Nel Sahel le previsioni indicano un aumento delle temperature di 1,5 volte maggiore rispetto alla media globale. Questo porterà a shock climatici ed eventi estremi ancora più frequenti e intensi, con conseguenze dirette sulla disponibilità delle risorse.
I fatti parlano chiaro: basti pensare al Lago Ciad, il bacino di acqua dolce più importante dell’area saheliana, da cui dipende la sopravvivenza di 80 milioni di persone e il cui volume si è ridotto del 90%  tra gli anni Settanta e Duemila, e al deserto del Sahara, che avanza di 1,5 chilometri all’anno nella regione.
Se da un lato le condizioni climatiche sono estreme, dall’altro è necessario sottolineare anche la responsabilità dei Governi locali, i quali già dal periodo post-coloniale hanno ignorato i bisogni delle aree rurali – maggiormente  colpite dalla crisi attuale, – concentrando i finanziamenti nelle città più importanti o spogliando le stesse zone periferiche delle proprie risorse. Non sorprende che tali circostanze generino una precarietà e un malcontento estremi nella società civile, che prima tra tutti soffre gli effetti di quanto sta accadendo. La popolazione si trova a dover competere per le poche risorse rimaste e a migrare –  o accogliere flussi di migranti – in zone limitrofe, dove le possibilità di condivisione dei beni non sono certo adeguate ai bisogni esistenti. Di conseguenza lo scoppio di conflitti armati è all’ordine del giorno: scontri tra comunità accoglienti e comunità migranti, dispute tra agricoltori e pastori in competizione per l’utilizzo delle riserve d’acqua o risorse agricole rimaste, colpi di Stato, guerre civili, pulizie etniche e attacchi terroristici.

Fig. 1 – Cartina geografica della regione saheliana

DATI INQUIETANTI: L’ESEMPIO DEL MALI

La regione si è resa protagonista di numerosi colpi di Stato – 7 portati a termine con successo tra il 2020 e il 2023 – e di una crescente minaccia terroristica jihadista. I gruppi terroristici presenti nell’area saheliana tendono ad approfittare delle difficoltà date dalla povertà alimentare ed economica delle  popolazioni locali – causate anche dalle emergenze climatiche – per radicarsi sul territorio, promettendo soluzioni ai bisogni primari di una popolazione ormai esausta.
Analizzando le circostanze in cui versa la regione è possibile identificare un intreccio tra contingenze ambientali ed episodi di violenza. In Mali, ad esempio, il 2021 ha registrato le temperature più alte mai viste nel Paese a seguito di 5 anni di forte siccità e mancanza di piogge, costringendo 2 milioni di persone a uno stato di forte insicurezza alimentare. Nel 2022, con l’arrivo di forti piogge è esondato il fiume Niger nelle regioni di Mopti e Timbuctù. Non è un caso che negli stessi anni il Mali abbia vissuto due violenti colpi di Stato, maturati dopo un decennio di scontri interni. Durante gli anni della grande siccità, scoppia un primo colpo di Stato, nell’agosto 2020. Arriva poi, nel maggio 2021, il secondo. Nel 2022, infine, si registra un raddoppiamento delle morti per scontri violenti nel Paese, arrivando a quasi 5mila decessi, anche per via dell’incremento delle incursioni jihadiste in loco. In questi stessi anni il Mali assiste all’aumento degli attacchi terroristici del 56%, posizionandosi, nel 2022, 7° nel Global Terrorism Index per numero di episodi.

Fig. 2 – Soldati maliani

PROSPETTIVE NON TRASCURABILI

Il caso saheliano dimostra come la rilevanza dei cambiamenti climatici nei conflitti sia ormai innegabile, rendendo quindi necessaria l’analisi delle interazioni tra gli stessi cambiamenti climatici e i fattori socio-politici e storici per poter identificare misure risolutive e preventive efficaci. 
Pertanto il caso del Sahel rappresenta un vero e proprio campanello d’allarme che la comunità internazionale non può trascurare, in quanto dimostra come conflitti e guerre, alimentati da un cambiamento climatico fuori controllo, possano rendere la Terra un luogo difficilmente abitabile.

Irene Bedosti

Lake Chad” by NASA Hubble is licensed under CC BY

Dove si trova

Perchè è importante

  • È sempre più rilevante il ruolo del cambiamento climatico come moltiplicatore di rischi nei contesti di conflitto e di guerra a livello globale.
  • Gli effetti del cambiamento climatico in Sahel procedono 1,5 volte più velocemente che nel resto del mondo.
  • I contesti resi vulnerabili dalle condizioni climatiche estreme si prestano alla nascita di conflitti tra diversi gruppi sociali, colpi di Stato, l’espansione di milizie e gruppi terroristici.
  • Il caso saheliano ci dimostra come la rilevanza dei cambiamenti climatici nei conflitti sia ormai innegabile.

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Irene Bedosti
Irene Bedosti

Irene Bedosti, 27 anni, Bolognese di nascita. Durante gli studi assapora paesi completamente diversi tra loro, ma è durante la scrittura della tesi in Senegal che trova un nuovo punto fermo. In seguito alla laurea di Sviluppo Locale e Globale all’Università di Bologna, si trasferisce a Dakar. Qui continua ad approfondire i temi che più la appassionano: ambiente, migrazione, diritti di donne e comunità lgbtqai+, ma anche diritti degli animali. Vive la vita lavorativa e personale con una curiosità sistemica, individuando i legami tra argomenti apparentemente lontani. Trova conforto nei viaggi in bici, nello yoga e nelle cene improvvisate.

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