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Africa, l’epidemia di Mpox e la stigmatizzazione della comunità LGBT

In 3 sorsi Nella lotta contro l’epidemia di Mpox, il diritto alla salute della comunità LGBT rappresenta una questione cruciale, tanto sanitaria quanto sociale. Superare le barriere culturali e lo stigma che limitano l’accesso alle cure non è solo un imperativo morale, ma una strategia essenziale per contenere la diffusione della malattia.

1. LA DIFFUSIONE DEL VIRUS

L’Mpox, noto anche come vaiolo delle scimmie, è una malattia infettiva appartenente alla stessa famiglia del vaiolo umano, eradicato negli anni Ottanta. Sebbene meno pericoloso, esso è altamente infettivo, trasmettendosi attraverso il contatto ravvicinato con persone, animali o materiali contaminati. La Repubblica Democratica del Congo (RDC) rappresenta il fulcro dell’attuale epidemia, con focolai che colpiscono tutte le età e i contesti sociali. Secondo l’Osservatorio sanitario dell’Unione Africana, dall’inizio del 2024, l’Mpox in Africa ha causato oltre 1.100 decessi e fatto registrare circa 48mila casi. La malattia, ormai endemica in Africa centrale e occidentale, nel corso degli anni si è diffusa dalla RDC ad altri Paesi subsahariani, tra cui Ruanda, Kenya, Burundi, Uganda e Repubblica Centrafricana. A causa del suo ampio potenziale di trasmissione, nell’agosto di quest’anno l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato l’epidemia come un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale. Secondo alcuni esperti, l’attuale e più letale ondata è da considerarsi la conseguenza di un’azione non abbastanza incisiva da parte delle Autorità sanitarie mondiali durante la precedente pandemia del 2022.

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Fig. 1 – L’avvio della campagna di vaccinazione contro l’Mpox all’ospedale di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, 5 ottobre 2024

2. I SOGGETTI MAGGIORMENTE COLPITI

La diffusione dell’Mpox ha subito un cambiamento significativo rispetto all’epidemia del 2022, durante la quale il 95% dei casi era stato attribuito a trasmissioni sessuali tra la popolazione omosessuale. Oggi, infatti, il virus mostra una trasmissione più ampia, probabilmente intensificata dal quadro sociale ed economico del continente, dove condizioni abitative affollate, presenza di altre infezioni, accesso limitato ai servizi sanitari e scarsa consapevolezza tra la popolazione aumentano il rischio di trasmissione e rendono difficile una risposta efficace. Nel Sud Kivu, provincia orientale della RDC particolarmente afflitta, il virus si sta infatti diffondendo due volte più velocemente tra le bambine e i bambini rispetto al resto della popolazione.
Ciononostante, la situazione resta particolarmente complessa per la comunità LGBT in Africa subsahariana, per la quale, a complicare ulteriormente il contesto, è lo stigma associato alla malattia a seguito della precedente ondata. In Paesi in cui l’omosessualità è criminalizzata per legge, la paura della stigmatizzazione e dell’isolamento ospedaliero ostacola le persone a rischio a ricercare diagnosi e trattamento. Questo inevitabilmente comporta un ulteriore incremento dei casi non segnalati, innescando così un vero e proprio circolo vizioso, che accentua l’impatto dell’Mpox sulle comunità vulnerabili, che, invece necessiterebbero di campagne di immunizzazione mirate. Sebbene l’Mpox colpisca oggi tutti i generi e fasce d’età, l’ultimo rapporto dell’OMS del 12 agosto 2024 evidenzia che il 96,4% dei casi confermati con dati disponibili è di sesso maschile, con un’età mediana di 34 anni, mentre il contatto sessuale è la modalità di trasmissione maggiormente riportata.

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Fig. 2 – Un’immagine dalla LGBTQ+ Pride Parade di Johannesburg del 26 ottobre 2024. Il Sudafrica è stato il primo Paese in Africa a organizzare la manifestazione nel 1990

3. OLTRE LO STIGMA

Per limitare la diffusione dell’Mpox sarebbe essenziale attuare un programma di sorveglianza capillare seguito da campagne di immunizzazione su larga scala, sia per prevenire nuovi contagi che per ridurre il rischio di trasmissione. Tuttavia, le sfide logistiche e finanziarie rappresentano un ostacolo significativo, soprattutto in un contesto come quello africano caratterizzato da instabilità e scarsità di risorse. La RDC, e in particolare il Sud Kivu, è una zona di conflitto armato, il che rende complesso implementare misure sanitarie di emergenza. Al contempo, Paesi tra i più poveri al mondo come il Burundi non dispongono delle infrastrutture sanitarie e dei fondi necessari per mettere in atto sorveglianza e campagne vaccinali su vasta scala.
Altra difficoltà chiave è rappresentata dall’identificazione delle categorie più vulnerabili, senza che questo alimenti lo stigma. Prevenzione e accesso al trattamento sono infatti ostacolate dalla carenza di dati accurati sulle popolazioni maggiormente colpite, spesso sottostimati a causa della riluttanza dei soggetti coinvolti a chiedere assistenza sanitaria. Infatti, sebbene l’OMS e numerosi esperti siano stati cauti nel collegare l’Mpox alla comunità LGBT per evitare la stigmatizzazione verificatasi nel 2022, le ultime statistiche suggeriscono che le reti sociali e sessuali di questa comunità siano particolarmente rilevanti nella diffusione del virus. Ciò rende necessario bilanciare la protezione delle categorie vulnerabili con interventi mirati di prevenzione e trattamento. Diventa quindi essenziale superare le barriere culturali e tradizionali, per implementare strategie sanitarie inclusive. In questo sta la sfida che l’Mpox pone ai Governi africani: riconoscere che una riduzione dello stigma sociale, accompagnata a una maggiore consapevolezza pubblica, potrebbe concorrere al contenimento della malattia.

Beatrice Gobbi

Logan Circle Heritage Trail Preview 16056” by tedeytan is licensed under CC BY-SA

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Perchè è importante

  • L’epidemia di Mpox colpisce tutti i generi e le fasce d’età, ma secondo l’OMS il 96,4% dei casi confermati è di sesso maschile. Nonostante la cautela globale nel collegare il virus alla comunità LGBT per evitare la stigmatizzazione, le ultime statistiche suggeriscono che le reti di questa comunità siano particolarmente rilevanti nella diffusione dell’Mpox.
  • Occorre superare le barriere culturali e tradizionali per implementare strategie sanitarie inclusive. In questo sta la sfida che l’Mpox pone ai Governi africani: riconoscere che una riduzione dello stigma sociale, accompagnata a una maggiore consapevolezza pubblica, potrebbe concorrere al contenimento della malattia.

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Beatrice Gobbi
Beatrice Gobbi

Nata a Milano nel 1998, si è laureata prima in Cooperazione Internazionale e in seguito in Relazioni Internazionali con un’analisi comparativa del nazionalismo curdo in Iraq e in Iran. Da sempre appassionata di mondo islamico, negli anni ha affiancato questo interesse alla geopolitica delle risorse e al peacebuilding ambientale. Di giorno si occupa di progetti di sostenibilità presso il Politecnico di Milano e di sera scopre la letteratura e la cucina africana e mediorientale.

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