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Il Camerun al voto tra crisi e incognite sul futuro

Analisi Il 12 ottobre il Camerun vota per eleggere il Presidente. Paul Biya, al potere dal 1982, è ancora una volta favorito, in un Paese attraversato da molteplici crisi. L’opposizione è frammentata, ma la vera questione riguarda la futura successione al potere.

I PROTAGONISTI DEL VOTO: ESCLUSIONI E DEFEZIONI

Le elezioni si terranno in un clima che l’ONU ha definito repressivo e poco democratico, visti gli ostacoli posti all’opposizione e la difficoltà ad assicurare la partecipazione di tutti i cittadini. Il Presidente uscente Paul Biya – 92 anni – ha annunciato la propria candidatura solo il 13 luglio, dopo una lunga esitazione, anche per non innescare una lotta di potere interna che in ogni caso aleggia sulla politica camerunense: negli ultimi mesi il regime ha registrato la defezione di Bello Bouba Maigari e Issa Tchiroma, ex ministri e a lungo membri del Governo, che dopo aver rassegnato le dimissioni si sono candidati contro Biya.
Del resto, queste elezioni hanno visto un numero record di concorrenti, anche se delle 83 candidature iniziali soltanto 12 sono state autorizzate dal Consiglio costituzionale. Tra gli esclusi anche il principale oppositore, Maurice Kamto, che nel 2018 si era dichiarato vincitore denunciando brogli. Fuori dai giochi, Kamto non ha dato indicazioni di voto, invitando i suoi sostenitori a scegliere liberamente. Due candidati, Ateki Caxton e Akere Muna, si sono invece ritirati in favore di Maigari, nel tentativo di concentrare i voti, ma le opposizioni sembrano comunque troppo divise per poter sperare di scalzare Biya.

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Fig. 1 – Il Presidente del Camerun, Paul Biya, durante il comizio elettorale del 7 ottobre 2025 a Maroua, nel nord del Paese

UN PROGRESSIVO SCIVOLAMENTO VERSO L’INSTABILITÀ

L’ultimo decennio ha visto erodersi la tradizionale immagine del Camerun come oasi di stabilità. Il Paese è stato investito da una crisi di sicurezza su più fronti: il terrorismo jihadista di Boko Haram e dell’ISWAP, infiltrati dai confini settentrionali con Nigeria e Ciad; la rivolta separatista nelle regioni anglofone dell’Ambazonia a nord e a sud-ovest, dove nel 2017 i ribelli hanno dichiarato l’indipendenza; le turbolenze al confine orientale con la Repubblica Centrafricana, da cui arrivano profughi e bande armate dedite al saccheggio. In queste aree l’instabilità si lega anche alle condizioni socioeconomiche: le regioni periferiche del Paese sono le più povere e trascurate dal Governo di Yaoundé, favorendo la diminuzione della partecipazione politica, le pulsioni autonomiste e il reclutamento dei giovani nei gruppi armati e jihadisti. La questione giovanile è particolarmente grave, in un Paese in cui l’età media è attorno ai 19 anni e i ragazzi disoccupati, privi di referenti politici, non hanno altra prospettiva se non unirsi ai gruppi armati o emigrare.

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Fig. 2 – Bello Bouba Maigari, leader dell’Union nationale pour la démocratie et le progrès prima di una conferenza stampa, Yaoundé, 8 agosto 2025

SISTEMA DI POTERE, SCANDALI FAMILIARI E ASSENZE PRESIDENZIALI

Biya ha gestito per più di quarant’anni il sistema di potere camerunense col tipico approccio neopatrimoniale del “big man”, mediando i diversi interessi attraverso una politica di prebende e cooptazione e servendosi del settarismo interno e della repressione per conservare il vertice. Inoltre, ha saputo ben destreggiarsi nel panorama internazionale, restando sempre fedele alleato dell’ex madrepatria coloniale francese, ma anche mantenendo ottimi rapporti con attori come Russia e Israele.
Alcuni recenti “scandali” hanno messo in mostra la natura corrotta del regime. Già salita agli onori della cronaca per il proprio coming out (in Camerun la comunità LGBT è fortemente discriminata), la figlia di Biya, Brenda, è finita al centro di una polemica sui frequenti soggiorni a Ginevra, che si sospettano pagati con soldi pubblici. Ulteriore scandalo ha suscitato inoltre l’invito di Brenda a non votare per il padre, con un video su TikTok poi cancellato e al quale sono seguite le scuse. Proprio come altri longevi Presidenti africani, Biya viene messo in imbarazzo dall’incauta progenie, dedita a uno stile di vita sfarzoso in Europa e inopportunamente attiva sui social.
Ginevra comunque è la meta prediletta anche delle numerose visite private all’estero di Biya, l’ultima questo settembre. Come vengano pagati i soggiorni rimane poco chiaro e non è difficile credere alle accuse di malversazione. Nel 2018 un’inchiesta aveva calcolato che, durante la propria presidenza, Biya avesse trascorso ben quattro anni e mezzo all’estero per queste “visite private”. D’altro canto, le assenze del Presidente sono anche un modo di non esporlo agli occhi dell’opinione pubblica, per evitare speculazioni sulla sua salute: è addirittura vietato parlare su media e social dell’argomento, considerato “questione di sicurezza nazionale”. Ormai da anni le apparizioni di Biya in pubblico sono rare e l’attuale campagna elettorale è stata condotta dai suoi colleghi di partito, anche se l’immagine del Presidente è onnipresente ai comizi. Biya è tornato da Ginevra il 1° ottobre e ha presenziato ad un solo evento elettorale, il 7 ottobre, ma da tempo gli affari correnti sono in mano al suo braccio destro, Ferdinand Ngoh Ngoh, Segretario Generale alla Presidenza e tra i papabili successori.

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Fig. 3 – Ferdinand Ngoh Ngoh, Segretario Generale alla Presidenza del Camerun, durante il meeting tra UE e Unione Africana, Bruxelles, 17 febbraio 2022

IL PROBLEMA DELLA SUCCESSIONE DI UN PRESIDENTE ‘HIGHLANDER’

L’elezione di Biya è data per scontata, anche se, in linea di principio, non si possono escludere sorprese nel prosismo futuro. Innanzitutto, non è impossibile l’eventualità della morte improvvisa del Presidente, che aprirebbe scenari imperscrutabili. Una circostanza, compatibile sia con la morte di Biya sia con la sua riconferma, potrebbe essere la discesa in campo delle Forze Armate, come avvenuto nel vicino Gabon nel 2023 con un colpo di Stato che ha deposto la longeva dinastia Bongo. È poco probabile però che un golpe possa godere dell’appoggio popolare, anzi rischierebbe di esacerbare le tensioni interne, soprattutto per quanto riguarda le pulsioni separatiste dell’Ambazonia. Inoltre, poco dopo l’annuncio della sua candidatura, Biya ha proceduto a un ricambio dei vertici militari, per assicurarsene la lealtà ed evitare uno scenario “gabonese”. Infine, non si può del tutto escludere che un candidato alternativo vinca le elezioni, per quanto poco probabile. In questo caso il regime potrebbe reagire, anche duramente, per garantirsi la sopravvivenza.
Tuttavia, nemmeno una tranquilla vittoria di Biya eliminerebbe il problema di fondo, che presto o tardi si presenterà: la successione al potere. Tutti gli analisti parlano di questa elezione come l’inizio di una fase di transizione. Se Biya dovesse sopravvivere fino alla fine del nuovo mandato (nel 2032), sarebbe poco serio ricandidarlo. La questione è ormai ineludibile e rischia di approfondire le fratture interne al partito di Governo e alla rete di potere. Paul Biya è stato per decenni il perno di questo sistema: dovesse venire a mancare il punto d’equilibrio rappresentato dal Presidente, è probabile che le divisioni interne maturino in uno scontro politico che – per quanto potenzialmente positivo in termini di rinnovamento democratico – potrebbe minare la tenuta di un Paese già attraversato da profonde faglie etniche, religiose, linguistiche, socioeconomiche e generazionali.

Giovanni Tosi

Reunification Monument – Yaounde” by Mark Fischer is licensed under CC BY-SA

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Perchè è importante

  • Il 12 ottobre in Camerun si terranno le elezioni presidenziali. Il Presidente uscente Paul Biya, al potere dal 1982 e dato per favorito, affronta un’opposizione frammentata e indebolita dalla repressione, in un Paese attraversato da una duplice crisi, sociale e di sicurezza.
  • Le elezioni potrebbero segnare l’inizio della fine di un’era: Biya ha 92 anni e l’incertezza sulla sua successione rischia di sfociare in una lotta di potere, acuendo ulteriormente le già profonde divisioni etniche, linguistiche e sociali.

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Giovanni Tosi
Giovanni Tosi

Classe 1998. Ho conseguito, presso l’Università degli Studi di Milano, una laurea triennale in Filosofia e una magistrale in Storia, con una tesi sulla Cina e la Responsibility to Protect. I miei principali interessi di analisi riguardano la politica estera dei Paesi afro-asiatici, l’evoluzione storico-politica delle Organizzazioni internazionali e il processo di transizione sistemica innescato dall’ascesa dei Paesi emergenti. Per il resto, mi piace leggere, suonare e camminare in montagna.

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