In 3 sorsi – Le recenti tensioni tra i due vicini del Sud-est asiatico mettono a repentaglio l’Accordo di pace raggiunto a ottobre con la mediazione degli Stati Uniti e della Malesia.
1. GLI ULTIMI SVILUPPI SUL CAMPO
Lo scorso 10 novembre quattro soldati thailandesi sono stati feriti dall’esplosione di una mina durante un pattugliamento nella provincia di Sisaket, lungo il confine con la Cambogia. In seguito all’evento, Bangkok ha annunciato la sospensione dell’implementazione dell’Accordo di pace siglato con Phnom Penh poche settimane prima in Malesia, accusando il vicino di aver violato il patto con l’installazione di nuove mine, poiché l’area era già stata sottoposta a precedenti ispezioni.
La Thailandia ha posticipato indefinitamente il rilascio di 18 soldati cambogiani detenuti come prigionieri di guerra, i quali avrebbero dovuto essere liberati secondo quanto stabilito dalle parti a Kuala Lumpur. Il Governo thailandese ha riferito che avrebbe comunicato la decisione agli Stati Uniti e alla Malesia, i quali hanno operato come mediatori nell’Accordo.
La Cambogia ha smentito la tesi della Thailandia, affermando che la mina esplosa fosse presente già da tempo e accusando il vicino di aumentare le tensioni. La situazione è peggiorata il 12 novembre, quando in uno scontro a fuoco al confine un civile cambogiano è stato ucciso e tre sono rimasti feriti, con Phnom Penh e Bangkok che si sono rivolte accuse incrociate. La Thailandia ha confermato che l’Accordo resterà sospeso finché la Cambogia non metterà fine a qualsiasi atto ostile.
Fig. 1 – Un cartello avvisa del pericolo mine nella provincia thailandese di Si Sa Ket, vicino al confine con la Cambogia, agosto 2025
2. IL RUOLO DI DONALD TRUMP
Tali sviluppi giungono solo a poche settimane dall’Accordo tra Thailandia e Cambogia, siglato il 26 ottobre a margine del Summit dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) a Kuala Lumpur. La firma del patto si è svolta alla presenza di Donald Trump, del Premier thailandese Anutin Charnvirakul e dei suoi omologhi cambogiano Hun Manet e malese Anwar Ibrahim.
L’inquilino della Casa Bianca aveva giocato un ruolo di primo piano la scorsa estate, durante il breve conflitto scoppiato dal 24 al 28 luglio a seguito di settimane di tensioni tra Bangkok e Phnom Penh. Gli USA avevano convinto i due Paesi a raggiungere un cessate il fuoco minacciando di interrompere i negoziati commerciali e imporre pesanti dazi sui prodotti thailandesi e cambogiani.
A sottolineare l’evidente interesse commerciale statunitense nella vicenda è stato il fatto che, dopo l’Accordo, Trump ha concluso un’intesa con Phnom Penh, in base alla quale queasta si impegna a eliminare le tariffe sul 100% dei prodotti agricoli e industriali statunitensi, mentre Washington mantiene i dazi al 19% sui prodotti cambogiani. Nella stessa sede, Trump ha anche raggiunto un framework di intesa con Bangkok, avviando negoziati tuttora in corso.
Dall’altra parte, l’obiettivo è far sì che la Thailandia arrivi a eliminare le tariffe sul 99% dei prodotti statunitensi, mentre Washington propone di applicare una tariffa del 19% sui prodotti thailandesi. Inoltre, USA e Thailandia hanno siglato un patto di cooperazione tra i due Paesi sull’estrazione, la lavorazione e il commercio di terre rare. Dopo la sospensione dell’Accordo con la Cambogia, Trump ha fatto pressing sulla Thailandia, minacciando di interrompere i negoziati, che però proseguono.
In realtà , Trump è stato accusato di aver voluto esclusivamente rafforzare la posizione di Washington nel Sud-est asiatico e avanzare gli interessi commerciali statunitensi, non avendo reale interesse a risolvere la disputa di confine tra Thailandia e Cambogia. Essa non è affatto affrontata dall’Accordo del 26 ottobre, il quale, va rimarcato, non è realmente un trattato di pace.
Fig. 2 – La firma dell’Accordo di pace tra Thailandia e Cambogia a Kuala Lumpur, 26 ottobre 2025
3. QUALE FUTURO PER LA DISPUTA DI CONFINE?
Al fine di una chiusura definitiva della questione, andrebbe trovata una soluzione rivolta alle cause profonde del conflitto e non meramente basata su pressioni economiche. La contesa tra Thailandia e Cambogia si protrae dagli inizi del Novecento, quando durante la colonizzazione francese dell’Indocina venne tracciata una sommaria linea di frontiera con l’ex Siam. Dopo l’indipendenza della Cambogia, tuttavia, il confine divenne oggetto di disputa.
Negli anni, Phnom Penh e Bangkok non sono riuscite a individuare una soluzione condivisa, poiché la prima ha scelto di appellarsi alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), mentre la seconda non ne riconosce la giurisdizione e preferisce meccanismi bilaterali. Il prolungato disaccordo tra i due vicini non potrà che portare rinnovate ondate di violenza come quella in corso.
In vista di un Accordo reale e completo, sarebbe auspicabile anche un ruolo più incisivo dell’ASEAN, la cui azione è stata finora ristretta dal principio di non ingerenza negli affari interni degli Stati. Ciò è stato dimostrato dalla scarsa efficacia delle ispezioni di verifica del cessate il fuoco compiute dagli emissari dell’Associazione.
Riguardo al ruolo degli attori esterni alla regione, anche la Cina, al pari degli Stati Uniti, ha dichiarato l’intenzione di svolgere un ruolo di mediazione. Tuttavia, il rischio è che la disputa tra Cambogia e Thailandia, già fomentata dai sentimenti nazionalistici di ambedue i Paesi, si trasformi in un “conflitto per procura” tra le due superpotenze al fine di acquisire sempre maggior influenza in una delle aree più strategiche per gli equilibri mondiali.
Simone Frusciante
“Cambodian flag in the sky” by permanently scatterbrained is licensed under CC BY


