Ristretto – Almeno tredici morti, decine di feriti e migliaia di sfollati. Questo è l’esito dei nuovi scontri militari tra Thailandia e Cambogia, che stanno di fatto dimostrando tutta la fragilità dell’Accordo di pace negoziato dalla Casa Bianca nei mesi scorsi.
La nuova ondata di combattimenti tra i due Paesi del Sud-est asiatico è iniziata nella notte tra il 7 e l’8 dicembre dopo che due soldati thailandesi sarebbero rimasti feriti in una schermaglia di confine. Come rappresaglia la Thailandia ha lanciato ripetuti attacchi aerei e di artiglieria contro il territorio cambogiano, risultati finora nella morte di nove civili e nell’evacuazione di oltre 50mila persone. Phnom Penh ha ovviamente reagito, lanciando – secondo fonti thailandesi – razzi BM-21 contro aree abitate e dispiegando forze speciali e cecchini lungo il confine. Queste azioni avrebbero provocato la morte di quattro persone e l’evacuazione di migliaia di civili thailandesi. Al terzo giorno di scontri la crisi sembra lontana da qualsiasi risoluzione e i due Paesi si rimpallano la responsabilità per la sua genesi, che sta chiaramente mettendo a rischio il futuro dell’Accordo di pace firmato a Kuala Lumpur a fine ottobre. Un accordo mediato principalmente dalla Malesia e dagli USA di Trump, con il Presidente americano che aveva partecipato sorridente alla cerimonia di firma dell’intesa. Per Trump si trattava ovviamente dell’ennesimo tassello per rafforzare la propria immagine di “uomo di pace” internazionale e aspirare magari a ottenere quel tanto sospirato Premio Nobel sfuggito quest’anno a favore della leader dell’opposizione venezuelana Maria Corina Machado. Ma l’intesa tra Bangkok e Phnom Penh è parsa subito fragile e scarsamente supportata sia dall’ASEAN che dagli USA, la cui attenzione diplomatica si è rapidamente spostata verso altri conflitti in corso (in primis quello ucraino). Il risultato è stato un graduale ma persistente degrado della situazione, con il Governo thailandese che ha ripetutamente accusato la Cambogia di non rispettare i termini dell’Accordo e di avere installato nuove mine nelle aree teatro dei precedenti scontri tra le due parti nel luglio scorso. Dopo il ferimento di quattro soldati il mese scorso, la Thailandia ha sospeso unilateralmente l’implementazione dell’Accordo e la tensione è subito tornata a salire lungo il confine. Fino alla conflagrazione degli ultimi giorni.
Ora una comunità internazionale presa alla sprovvista dal precipitare degli eventi, nonostante fosse facilmente prevedibile, cerca di rilanciare il processo di pace, anche se con scarso successo. La Malesia starebbe spingendo per un cessate il fuoco, mentre il Segretario di Stato USA Marco Rubio ha invitato le parti a rispettare gli impegni presi. Ma per adesso Bangkok e Phnom Penh non sembrano intenzionate a una de-escalation. Anche perché, come notato da diversi osservatori, entrambi i Governi hanno interesse a portare avanti le ostilità : per la Cambogia significa infatti distogliere l’attenzione dal proprio coinvolgimento in vari fenomeni criminali regionali, compreso quello delle scam cities, mentre per il premier thailandese Anutin Charnvirakul è un modo per rafforzare un esecutivo debole e fortemente criticato, soprattutto per la malagestione delle recenti inondazioni nelle province meridionali. Non sembrano quindi esserci le condizioni per una risoluzione del conflitto, anche se una tregua potrebbe essere comunque raggiunta nei prossimi giorni. Ma sarebbe, appunto, solo una tregua.
Simone Pelizza
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