La Shoah suscita emozioni e angosce che nascono nel profondo, quando gli occhi vedono una realtà, fino a quel momento diafana e lontana, che prende forma palpabile e si fa concreta, per divenire la scena in cui la disumanizzazione dello sterminio riesce ad accendere una nuova fiaccola, quella della memoria, che, di testimone in testimone, arrivi alle generazioni future per dissipare le «tenebre dell’indicibile» e «il terrore di uno spazio non terrestre» (Primo Levi).
La mostra “Testimoni dei Testimoni. Ricordare e raccontare Auschwitz”, che si è aperta nel Giorno della Memoria al Palazzo delle Esposizioni di Roma, vuole creare una catena che, dai testimoni oculari, che il passare degli anni sta portando via inesorabilmente, agganci i più giovani, testimoni dei testimoni, in una sequenza di trasmissione che consenta alla memoria di non perdersi nel tempo e nello spazio, ma di rimanere ferma, come traccia indistruttibile di una storia inenarrabile di demolizione umana che non deve ripetersi mai più.
A questo scopo, anno dopo anno, dei giovani vengono invitati a ripercorrere le tappe delle deportazioni durante il Viaggio della Memoria ad Auschwitz e Birkenau. Tra questi Marta Bugatti, Simone Capuano, Gabriele De Pascalis, Manuela De Pascalis, Livia D’Urso Flavio Fontana, Claudio Pastecchi, Michela Ponticelli, Mirela Carmen Rebega, Sara Ruffini, Filippo Zannini, insieme al Collettivo Studio Azzurro (artisti italiani pionieri nell’impiego dei nuovi media e nella poetica dell’arte partecipata), decidono di raccontare l’orrore dei lager accompagnando lo spettatore in un percorso reale che coinvolge corpo e spirito, per non dimenticare. Mai.
Anche noi del Caffè Geopolitico abbiamo camminato con questi giovani negli spazi espositivi, che ci hanno affascinato e inquietato. Siamo entrati nel buio di un vagone, simile a uno dei tanti che trasportava uomini ridotti come bestie, mentre, tra le tenebre ogni minuto più spesse, abbiamo sentito risuonare la voce metallica del Führer seguita da quella del Duce, durante il famigerato discorso del 1938 a Trieste sull’emanazione delle leggi razziali. E con queste parole che rimbombavano ancora nel vagone, le porte si sono aperte su uno spazio semivuoto in cui campeggiavano foto di deportati e punti di ascolto, mentre si accavallano i racconti dei sopravvissuti e i filmati originali dei campi di sterminio.
Chiediamo ad uno di loro, Gabriele De Pascalis, come è nata l’idea di questa mostra.
Gabriele:«L’idea è nata dopo il nostro Viaggio della Memoria del 2016, che ha suscitato in noi un’impellente necessità: quella di trasmettere tutto quello che avevamo visto e ricevuto dai deportati sopravvisuti che ci accompagnavano. I testimoni diretti della Shoah sono ormai vecchi e, pienamente consapevoli della fine sempre più vicina, ci hanno pregato di non interrompere la trasmissione di questa memoria. Lo abbiamo promesso a Sami Modiano e abbiamo così onorato questo impegno».
Che cosa vi ha colpito particolarmente?
Gabriele: «Siamo rimasti emozionati nel vedere la forza con cui i testimoni rievocano momenti di grande dolore per far sì che la loro memoria non finisca nell’oblio. Noi ragazzi abbiamo preso questa loro energia riversandola in un progetto del Comune di Roma (“Memoria genera Futuro”) da cui nasce la mostra “Testimoni dei Testimoni”. La Shoah sembra a tutti un evento passato, sicuramente terribile, atroce, ma passato. Noi siamo invece consapevoli che non è così. In un periodo in cui si ha paura dello straniero, del diverso e tanti sono gli emarginati e i perseguitati, solo la memoria di ciò che è stato potrà salvarci».
Quali sono i momenti fondamentali del percorso?
Gabriele: «La parte fondamentale della mostra è il racconto delle nostre personali esperienze sul Viaggio della Memoria, su cosa ha significato per noi. La mostra non ha solamente uno scopo storico, ma acquista un valore esperienziale: il visitatore che ascolterà quelle testimonianze automaticamente sarà come investito di una missione, contribuire a tramandare la memoria, ricevendo proprio da noi questo ‘testimone’, come una fiaccola che passa di mano in mano. E così accade nella stanza centrale dell’esposizione, in cui sarà il visitatore a dare nuovamente un’identità a chi, tra l’orrore e la barbarie di quei campi, l’ha persa: grazie a schermi sensoriali fissiamo i volti sfocati che solo attraverso di noi diventano nitidi, perché l’accostarsi a queste storie e farsene partecipi ridà un senso a queste vite, ridisegnandone i tratti».
Tenere accesa la fiaccola della memoria di questi eventi quale luce può portare al mondo globalizzato del XXI secolo?
Gabriele: «Quello che ci auguriamo è che porti soprattutto una luce di speranza e di uguaglianza. Molte discriminazioni avvengono perché qualche essere umano si ritiene in qualche modo superiore, ma abbiamo capito che non è così. Siamo tutti uguali. Nessuno ha il diritto di giudicare il prossimo ritenendosi migliore. Nel mondo in cui viviamo c’è molta oscurità: la luce di questa fiaccola può invece illuminare le persone e renderle capaci di comprendere l’importanza della dignità umana, per poter gioire della vita ricevuta in dono amando e rispettando quella degli altri».
Elisabetta Esposito Martino
La mostra “Testimoni dei Testimoni. Ricordare e Raccontare Auschwitz” sarà al Palazzo delle Esposizioni di Roma sino al 31 marzo 2019.