Lo Zimbabwe è chiamato a scegliere il nuovo Presidente: da un lato l’89enne Mugabe, al potere da 33 anni, dall’altro il grande oppositore, il premier Tsvangirai. Tra notizie di brogli e minacce, il timore è il ritorno alle violenze del 2008.
1. LO ZIMBABWE ALLE URNE – Oggi, in Zimbabwe è il giorno delle elezioni: Robert Mugabe, autoritario Presidente da 33 anni, contro Morgan Tsvangirai, Primo Ministro e rappresentante del maggiore partito di opposizione, il Movement for Democratic Change (MDC). La data per le consultazioni è stata scelta dalla Corte Costituzionale, ma rappresenta un vantaggio per Mugabe, poiché gli ha permesso di evitare le grandi riforme concordate con le altre formazioni politiche. Nel 2008, infatti, con il patrocinio della Comunità di Sviluppo dell’Africa Meridionale, il partito del Presidente, lo Zanu-PF, e il principale fronte dell’opposizione, il MDC, avevano stipulato un accordo che prevedeva una serie di importanti riforme per il reinserimento del Paese a pieno titolo nella comunità internazionale. In particolare, le maggiori pressioni erano per la ristrutturazione delle Forze di Sicurezza, la riorganizzazione del settore dell’informazione e la revisione delle liste elettorali, interventi che le opposizioni chiedevano fossero preliminari alle urne, ma che Mugabe è riuscito a posticipare.
2. NOTIZIE PREOCCUPANTI – Proprio riguardo allo svolgimento delle consultazioni, le proteste sollevate sono già numerose: per esempio, nei registri dei votanti sono ancora presenti circa un milione di cittadini deceduti. Per di più, ONG, Istituti di ricerca e attivisti hanno denunciato nell’ultimo anno un incremento di atti criminali connessi al percorso elettorale, dalle intimidazioni, alla compravendita dei voti, passando addirittura per la limitazione degli aiuti e dei sussidi nei confronti dei dissidenti. Il timore non riguarda solo l’eventualità – ritenuta da molti osservatori assai probabile – di brogli e frodi alle urne, bensì anche il rischio che possa ripetersi quanto accaduto dopo le elezioni del 2008, con violenze e scontri in tutto il Paese. Per esempio, non sono mancate le polemiche dirette contro il voto anticipato per le Forze Armate e di polizia, tenutosi il 14 e 15 luglio in circostanze che le opposizioni hanno definito caotiche e disorganizzate, al punto che un alto esponente del MDC di Tsvangirai ha presentato alla commissione elettorale un pacco di schede sulle quali era attribuita la preferenza al proprio partito, ma che sarebbero state gettate tra l’immondizia.
3. UNO SCENARIO INCERTO – Al momento non è semplice tentare una previsione dei risultati elettorali. Mugabe e lo Zanu-PF hanno certo subìto una costante flessione dei consensi dal 2000, cosicché il Presidente non ha esitato ad affidarsi sia all’impiego di violenze, minacce e incarcerazioni arbitrarie tramite polizia e militanti del partito, sia a rendere intere regioni dello Zimbabwe del tutto dipendenti dall’assistenza dello Stato. Tuttavia, il fronte delle opposizioni non è compatto, e spesso Tsvangirai e il MDC si sono trovati a mantenere la posizione da soli, subendo le critiche per l’ingresso nel Governo di coalizione formatosi dopo i fatti del 2008. Certo è che il Paese non sta attraversando un periodo economicamente positivo: nonostante, infatti, siano stati condotti a termine importanti provvedimenti per evitare il collasso, agendo soprattutto sul ripristino di una discreta sicurezza alimentare e sul controllo dell’iperinflazione (al 231.150.888,87% nel luglio 2008), la situazione resta preoccupante, con migliaia di cittadini ancora del tutto legati agli aiuti statali. Al momento, però, il problema prioritario è la coesione sociale e politica: in questo senso, con Tsvangirai che denuncia già decine di casi di brogli e Mugabe che da una parte promette di ritirarsi in caso di sconfitta, ma al contempo dall’altra minaccia l’arresto per chi si pronunci sui risultati prima del verdetto ufficiale, il rischio di un ritorno alle violenze del 2008 è reale.
Beniamino Franceschini