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L’occasione persa dalla Banca Mondiale

In 3 Sorsi A seguito delle sorprendenti dimissioni del presidente Jim Yong Kim, la Banca Mondiale ha concluso il processo per selezionare il suo successore. Nonostante le richieste per un processo meritocratico e trasparente, la scelta è ricaduta sul candidato statunitense David Malpass, in ossequio di quel “gentlemen’s agreement” tra USA e Europa siglato alla fine della Seconda guerra mondiale.

1. IL SUCCESSORE DI JIM YONG KIM

Lo scorso gennaio il presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim si è dimesso dalla sua carica, a più di tre anni dalla scadenza naturale del mandato, per accettare un lavoro in una società privata di investimenti. La notizia è stata accolta con grandissima sorpresa e incredulità nell’ambiente internazionale, facendo sorgere più di un dubbio sul futuro della Banca e sulla sua leadership nell’affrontare questioni fondamentali come i cambiamenti climatici e la lotta alla povertà.
Il successore di Jim Yong Kim inizierĂ  ufficialmente il suo mandato il 9 aprile. Sfortunatamente la selezione per eleggere la massima carica della Banca non si è mai svolta in maniera trasparente e meritocratica. Un gentlemen’s agreement fra Europa e Stati Uniti alla fine della Seconda guerra mondiale ha infatti sancito una spartizione delle cariche: mentre agli USA sarebbe spettata la presidenza della Banca Mondiale, l’Europa avrebbe ottenuto quella del Fondo Monetario Internazionale. Quest’accordo ha sempre retto e le diverse Amministrazioni americane hanno nominato il Presidente della Banca (Jim Yong Kim è stato espressione della presidenza Obama) pressochĂ© indisturbate. Gli USA e gli Stati europei, infatti, controllano la maggioranza assoluta dei voti nell’Executive Board, l’organo che elegge il Presidente.
Tuttavia le pressioni sul Board per ribaltare questa consuetudine si sono intensificate negli ultimi anni, con alcuni risultati tangibili. Nel 2012 Jim Yong Kim venne sfidato da due candidati, il colombiano José Antonio Ocampo e la nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala, considerata da molti come la più qualificata a ricoprire la carica di Presidente. I risultati finali della votazione non furono resi pubblici, come di consueto in questi casi, ma sembra logico pensare che la maggioranza dei voti europei siano andati a favore di Kim, anche per ricambiare il supporto americano alla nomina della francese Christine Lagarde alla presidenza del Fondo Monetario Internazionale. Sebbene non eletta, Okonjo-Iweala affermò che il processo «non sarebbe mai più stato lo stesso» e che era tempo di eleggere un Presidente non americano. Quasi a confermare questa previsione, Il Board della Banca aveva recentemente promesso una selezione aperta, trasparente e meritocratica.

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Fig. 1 – L’ex presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim

2. UN CANDIDATO SENZA AVVERSARI

Le promesse del Board si sono però infrante alla prova dei fatti. Alla scadenza dei termini è infatti pervenuta un’unica candidatura ufficiale, quella del trumpiano di ferro David Malpass, che ha corso quindi senza avversari ed è stato agevolmente eletto all’unanimitĂ . Nelle settimane precedenti solamente il Libano aveva proposto un candidato alternativo, il banchiere Ziad Hayek, salvo poi ritirare la nomina a causa di non meglio specificate «pressioni pervenute da altri Governi».
Malpass è un sostenitore della prima ora di Donald Trump, avendo servito come consigliere economico del Presidente statunitense durante la sua campagna elettorale nel 2016 e ora come sottosegretario agli Affari Internazionali del ministero del Tesoro. Fortemente critico verso l’approccio multilaterale, Malpass ha recentemente affermato che Istituzioni come la Banca Mondiale «si sono allargate troppo e sono diventate eccessivamente invadenti».
Numerosi esponenti di rilievo della societĂ  civile si sono giĂ  espressi contro Malpass, contestando sia il merito che il metodo della scelta e criticando La mancanza di coraggio della comunitĂ  internazionale nel contrastare una nomina imposta da Trump.

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Fig. 2 – David Malpass, nuovo Presidente della Banca Mondiale

3. QUALE FUTURO PER LA BANCA MONDIALE?

Desta quindi preoccupazione vedere un economista come Malpass alla guida della principale Istituzione finanziaria internazionale dedita alla lotta alla povertĂ  e ai cambiamenti climatici. Giova ricordare che la Banca Mondiale ha investito, solo nel 2018, circa 67 miliardi di dollari per supportare la crescita economica di Paesi in via di sviluppo per favorire il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). La Banca ha inoltre da poco approvato un ambizioso pacchetto di investimenti per 200 miliardi di dollari nel periodo 2021-25, per combattere i cambiamenti climatici. Ecco quindi che la nuova leadership sarĂ  chiamata a gestire un enorme patrimonio non solo finanziario, ma anche politico, vista la centralitĂ  della Banca nelle questioni multilaterali e internazionali.
Sebbene l’attuale presidente ad interim Kristalina Georgieva si sia affrettata a confermare l’impegno della Banca nel rafforzare i processi multilaterali e nella lotta ai cambiamenti climatici, sappiamo bene come proprio l’Amministrazione Trump, di cui Malpass è esponente di rilievo, abbia ritirato gli USA dall’accordo di Parigi sul clima e sia estremamente avversa alle Istituzioni internazionali.
Probabilmente il timore di possibili ritorsioni finanziarie e politiche da parte degli Stati Uniti ha spaventato possibili candidature alternative, ma il rispetto dell’anacronistico gentleman agreement da parte dell’Europa provocherà un forte indebolimento della credibilità della Banca, già fortemente scossa dal caso Kim, proprio quando ci sarebbe estremo bisogno di una Banca Mondiale forte, efficace e più coinvolta nelle dinamiche mondiali.

Lorenzo De Santis

Immagine di copertina: Shiny Things, Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)

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Lorenzo De Santis
Lorenzo De Santis

Appassionato da sempre in tematiche internazionali e di cooperazione allo sviluppo, mi sono laureato in relazioni internazionali nel 2014 con una tesi sugli accordi multilaterali sulla lotta ai i cambiamenti climatici. Ho lavorato presso il Dipartimento britannico della cooperazione internazionale (DFID) e con il think tank Overseas Development Institute (ODI) a Londra, dove risiedo tuttora.

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