Consigli non richiesti – L’intervista – Che con un nuovo Governo ci sia l’occasione per rilanciare la politica estera nazionale? Sì, a patto che vengano riaffermate le giuste prioritĂ
Parola dell’Ambasciatore Gianni Castellaneta, diplomatico di grandissima esperienza che nel corso della sua carriera ha rappresentato l’Italia a Washington ed è stato Consigliere diplomatico di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Castellaneta è oggi Presidente di doBank e sostiene anche il “Caffè Geopolitico” facendo parte del nostro Comitato Scientifico (il Caffè ha collaborato con lui nella stesura del libro “In prima fila – Quale posto per l’Italia nel mondo?” edito da Guerini e Associati).
E proprio questa domanda abbiamo rivolto a lui: dove si dovrebbe collocare l’Italia in ambito internazionale?
Non credo che sia necessario reinventare la ruota o scoprire l’acqua calda nel ridefinire le priorità della politica estera nazionale. Luigi Di Maio dovrebbe avere ben presente che l’Italia è una media potenza con una vocazione prevalentemente regionale. La domanda che dovrebbe porre a se stesso e ai suoi collaboratori è: “In quali scenari possiamo offrire un valore aggiunto?” A mio avviso, la risposta è semplice: nel Mediterraneo e nei Balcani, nostro “cortile di casa” dove si deve proiettare la nostra geopolitica. Il tutto senza dimenticare che la nostra collocazione nell’Unione Europea e nella NATO e le relazioni transatlantiche devono rimanere i punti cardinali della nostra politica estera. Ovviamente, questo non significa trascurare altre aree importanti dove possiamo comunque dire la nostra attraverso il “soft power” sfruttando ad esempio notevoli legami culturali, come nelle Americhe e in Australia a causa della massiccia presenza di cittadini di origine italiana. E poi, dovremmo cercare di agire da facilitatori nel percorso di mediazione con Paesi in cui abbiamo importanti interessi da difendere, come l’Iran.
Cosa ne pensa dei rapporti con l’UE, che con il precedente esecutivo avevano vissuto una fase abbastanza “travagliata”?
Penso che in questo momento, anche grazie alla favorevole congiuntura che ci ha portato a conquistare pedine “di peso” a Bruxelles, abbiamo davanti una grande occasione per migliorare molto l’Europa dall’interno. Sono maturi i tempi per la riforma del Patto di Stabilità e del Trattato di Dublino, e con questo governo potremmo avere le carte in regola per influenzare il dibattito nella direzione migliore per l’Italia. C’è poi la questione molto “calda” della Brexit, sulla quale non credo che possiamo rimanere inerti visti i nostri interessi commerciali e gli oltre 700mila residenti italiani in Regno Unito. Il Governo deve farsi promotore di un nuovo negoziato che porti ad una revisione dell’accordo di recesso ed evitare una “hard Brexit”.
Riaffermare la nostra vocazione europeista e atlantica è quasi un atto dovuto. Che dire, però, dei rapporti con il vero “elefante nella stanza”, ovvero la Cina?
Pechino è un partner fondamentale con cui non dobbiamo avere paura di fare “affari” che siano funzionali i nostri interessi economici. I nostri porti, come quello di Trieste, potrebbero trarre molti benefici dagli accordi siglati con la Cina per farne i punti di approdo delle merci in arrivo da Oriente. Molto diverso è invece l’ambito della cooperazione con la Cina in settori strategici, quali difesa e telecomunicazioni: in questo caso non possiamo agire da soli, ma l’UE deve esprimersi con una voce sola. Penso che la nomina a Capo di Gabinetto di Ettore Sequi, Ambasciatore a Pechino, sia una buona scelta che va nella direzione giusta.
Da ex Presidente di SACE lei sa benissimo quanto sia importante la diplomazia economica per un Paese con la vocazione da esportatore come l’Italia. Pensa che Di Maio faccia bene ad insistere su questo aspetto?
Sì, credo che l’intenzione del nuovo Ministro di spostare l’area delle politiche commerciali e di promozione dell’export e degli investimenti dal Ministero dello Sviluppo Economico a quello degli Esteri vada nella direzione giusta di dare più forza alla nostra azione internazionale, consentendo un raccordo più stretto tra l’Istituto per il Commercio Estero e la nostra rete di Ambasciate. Se questa operazione, già tentata in passato ma mai riuscita per varie resistenze, andasse in porto sarebbe un’ottima cosa e agevolerebbe la nostra penetrazione commerciale nei mercati esteri.
Insomma, possiamo concedere a questa nuova fase un pizzico di ottimismo?
Penso di sì, ci sono condizioni favorevoli. Mi piacerebbe che la Farnesina non abdicasse al suo ruolo politico e non si limitasse a fornire esclusivamente supporto “tecnico”, come stava accadendo di recente. Vorrei che il nostro Ministero degli Esteri potesse giocare un ruolo simile a quello del Dipartimento di Stato negli USA.
Davide Tentori