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Il disgelo tra Pechino e Tokyo

Il premier nipponico Naoto Kan ha partecipato come da protocollo al vertice del G8, svoltosi in questi giorni in Canada. Durante una cena privata, Kan ha proposto informalmente agli altri grandi di invitare ai prossimi incontri anche la Cina. Dopo le scaramucce con gli Stati Uniti per la base di Okinawa, è forse questo il tentativo da parte di Tokio di formalizzare una nuova alleanza con Pechino?

A TORONTO – Spetterà alla Francia, prossima sede del vertice, decidere se la Cina potrà sedersi al tavolo con gli altri rappresentanti delle più potenti economie mondiali, ma il Giappone ha comunque messo la proposta sul banco: incoraggiare Pechino “ad avere un ancora maggiore senso di responsabilità” nelle questioni internazionali. Questa la motivazione di Naoto Kan, da poco tempo premier ma già in grado di regalare colpi di scena. Le fonti governative giapponesi hanno confermato l’accaduto, ma si sono limitate a descrivere le reazioni degli altri membri del vertice. La dichiarazione fa da cornice ad un G8 molto criticato per via dei mancati accordi conclusi in questa sessione canadese, seguito da un G20, che probabilmente ne prenderà il posto senza tanti rimpianti, probabilmente senza fornire una svolta decisiva per combattere la crisi economica mondiale in corso. Unica novità: Obama ha affermato che il sistema di Wall Street diventerà più responsabile grazie a regole più severe e a una maggiore protezione dei consumatori.

UNA STORIA DIFFICILE – Prima che la sua popolarità crollasse e venisse sostituito da Kan, anche per Hatoyama (Primo Ministro fino a pochi mesi fa) ridisegnare i rapporti con la vicina Cina era un elemento di primaria importanza per la politica estera giapponese. Frutto di continue discussioni bilaterali, fu il rapporto redatto il 31 gennaio di quest’anno, un documento di 549 pagine, che racchiude i risultati degli ultimi tre anni di discussioni congiunte sulla storia dei due paesi. Escluso il periodo del dopoguerra, ovviamente. Nonostante sia risultato irrisolto il dibattito sui fatti di Nanchino avvenuti nel 1937, e anche se la Cina ha volontariamente glissato sul massacro di Tiananmen del 4 giugno 1989, il piano originale di ricalcare gli aspetti riguardanti la storia antica, medievale, moderna e contemporanea ha visto la luce. L’allentamento dei contrasti sino-giapponesi era dunque evidente già da tempo: da diversi anni, Tokyo guarda alla Cina non solo come un partner economico forte e potente, ma anche come il gigante continentale assetato di amicizie politiche, quasi quanto di energia.

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NON SOLO ECONOMIA – Sempre a gennaio, la Cina ha scavalcato economicamente il Giappone, confermandosi potenza mondiale, seconda solo agli Stati Uniti. In base ai dati del Fmi, il Pil cinese avrebbe toccato i 4.910 miliardi nel 2009, mentre quello atteso per il Giappone si attesterebbe a 5.100 miliardi di dollari. E ancora sembra che la Cina continui a crescere per tutto il 2010 del 9%, a fronte dell’1,3% del Giappone. Inoltre, un grosso flusso di esportazioni sono dirette dal Giappone verso la Cina, mentre quest’ultima scavalca il primo anche per la produzione di diamanti, raggiungendo quest’anno gli oltre 1,5 miliardi di dollari. Il Giappone sembra insomma essersi reso conto che la massiccia presenza cinese in tutto il mondo ha dato frutti da un punto di vista geostrategico oltre che economico, e ignorarla o farle guerra non sarebbe affatto utile. Come reagiranno gli Stati Uniti di fronte al miglioramento delle relazioni sino-giapponesi?

Alessia Chiriatti

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Alessia Chiriatti
Alessia Chiriatti

Ho conseguito la Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi sul conflitto in Ossezia del Sud ed il titolo di Master per le Funzioni Internazionali presso la SIOI. Ho inoltre conseguito il titolo di Analista delle Relazioni Internazionali con Equilibri S.r.l. Ho infine collaborato con la rivista Eurasia e presso la sede centrale del Forum della Pace nel Mediterraneo dell’UNESCO. I miei principali interessi di ricerca riguardano la politica estera della Turchia ed i suoi rapporti con Siria e Georgia, e si collocano nell’ambito della gestione dei conflitti, della cooperazione alla pace e dei Peace studies.

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