La proposta russa di sottomettere l’arsenale chimico siriano al controllo internazionale, accettata dal regime di Damasco, apre nuovi spiragli diplomatici che potrebbero influenzare un’eventuale decisione USA di attaccare la Siria in risposta proprio all’uso di armi chimiche. Saranno importanti i dettagli tecnici, che ci diranno se la proposta è davvero applicabile. Li scopriamo in 10 punti.
1. DIPLOMAZIA – Paradossalmente lo step più semplice appare essere proprio la firma di Bashar Assad per l’adesione alla Chemical Weapons Convention (CWC), punto preliminare fondamentale, che prevede la consegna di tutti i dettagli riguardo ai siti di produzione e stoccaggio delle armi chimiche e l’accesso illimitato a ispettori e team dedicati alla neutralizzazione. Proprio quest’ultimo aspetto risulta però quello critico.
2. BINARY CHEMICAL WEAPONS – Molte armi chimiche, come ad esempio il Sarin, non vengono prodotte tal quali, perché non sono stabili a lungo e maneggiarle è ovviamente molto rischioso. Pertanto, per avere sempre un arsenale pronto, si tende a fabbricare piuttosto i due precursori, cioè due sostanze che solo se unite formano l’arma chimica. La produzione e lo stoccaggio risultano quindi più semplici ed essi vengono combinati solo quando si intende usarli, in proiettili che tengono le due sostanze separate fino al lancio, momento nel quale si combinano e possono dunque scatenare l’agente nervino in tutta la sua efficacia. Nel caso del Sarin, per esempio, l’arma chimica che più di altre si ritiene in mano ad Assad, questi due precursori sono alcol isopropilico (un solvente comune, usato diluito anche nei detergenti per lenti da occhiali) e metil-fosfonil-difluoruro. Oltre alla produzione di questi due componenti (soprattutto il secondo, meno comune), è necessario controllare anche eventuali depositi di munizioni già pronte all’uso.
3. CHEMICAL HAZARD – Prima di proseguire è bene rendersi conto che la manipolazione e gestione di sostanze chimiche in quantità così elevate (si parla di tonnellate) è generalmente molto più complessa anche solo di armi e munizioni tradizionali. Questo comporta una serie di necessità e accorgimenti operativi perché tutto avvenga in sicurezza; ovviamente un ambiente difficile come quello del conflitto siriano rende tutto ancora più complicato. Soprattutto l’eventuale smantellamento di proiettili già pronti, nei quali basta poco per provocare formazione dell’arma letale, risulta critico.
4. TRASPORTO – Apparentemente la cosa più semplice potrebbe essere il trasporto del materiale pericoloso fuori dal Paese, per via di terra (e possibilmente mare) o aerea. Nella pratica però la cosa risulta molto difficile. Le sostanze possono essere trasportate in fusti o altri contenitori appositi, ma anche i veicoli devono essere adeguati: devono infatti garantire contenimento delle sostanze in caso di urti, incidenti, o rottura dei contenitori, perfino se accidentale. Anche in Europa infatti il trasporto di sostanze chimiche richiede mezzi adeguati ed è affidato a ditte specializzate. Il problema è che, nonostante tali mezzi esistano, i volumi coinvolti richiedono una quantità di strumenti così massiccia e prolungata da essere un incubo logistico, soprattutto in un Paese in guerra.
5. PERICOLO DI ATTACCHI – Ricordiamo infatti che, non essendoci possibilità di mandare ulteriori forze di sicurezza a vegliare sull’operazione, sia i depositi, sia gli eventuali convogli rischierebbero di essere presi di mira da parte di estremisti interessati a prendere il controllo delle armi ora che non sono più in luoghi protetti.
6. DISTRUZIONE IN LOCO – Da un punto di vista logistico appare dunque più semplice neutralizzare le armi in loco; anche qui però vanno presi in considerazione numerosi dettagli. Il metodo più semplice infatti è la combustione delle molecole ad altissima temperatura, per esempio in inceneritori. Tuttavia è necessario che le condizioni di impianto siano accuratamente controllate e mantenute a livello ottimale, altrimenti una combustione imperfetta potrebbe causare la produzione di sottoprodotti (scorie) tossici, distruggendo sì l’arma originaria, ma creando la possibilità poi di altri tipi di danni ambientali. Non solo gli impianti siriani non sono così moderni come tale tecnologia richiederebbe, ma forse sarebbe proprio necessario costruirne prima di nuovi (cosa che richiede tempo). In ogni caso questo processo, per le quantità coinvolte, potrebbe richiedere anni di lavoro – sempre nel mezzo di un conflitto.
7. ALTERNATIVE – Esistono tecniche alternative. Una di queste è l’idrolisi, ossia la “rottura” della molecola con, semplicemente, acqua e idrossido di sodio per ridurla a sostanze meno tossiche. Altre sostanze possono essere impiegate a seconda della molecola da neutralizzare (ricordiamoci che il Sarin non è l’unica arma ritenuta in mano ad Assad, e ognuna potrebbe necessitare di trattamenti diversi). Ma anche in questo caso servono gli impianti per farlo (piccoli laboratori sono insufficienti per le quantità in gioco) e tra costruzione e operazioni di neutralizzazione si parla sempre di anni di lavoro in ambiente difficile. Inoltre anche le sostanze meno tossiche prodotte necessitano comunque di stoccaggio, controllo, smaltimento, tutte operazioni cui pensare quando si trattano arsenali così grandi.
8. QUALCHE VANTAGGIO – In realtà bisogna sempre ricordare che i due precursori non sono sostanze particolarmente tossiche e questo pone un vantaggio nella loro gestione, specie per il fatto che, proprio per evitare formazione indesiderata di gas nervino, i depositi di entrambe vengono tenuti ben lontani l’uno dall’altro. Questo implica due cose: innanzi tutto che tutte le operazioni siano più semplici rispetto alla manipolazione del Sarin già formato. Secondariamente che, proiettili già pronti a parte, basti neutralizzare uno dei due (in particolare il difluoruro, meno comune) per rendere inutilizzabile l’altro per usi bellici. Tutto questo può far divenire l’intero processo moderatamente più semplice e veloce, ma si parla sempre di mesi, forse anni.
9. ONESTÀ – Naturalmente tutto questo presuppone una totale buona fede da parte di Assad e la sua reale disponibilità a svelare ogni informazione sui suoi programmi di armi chimiche, i siti produttivi e di stoccaggio, e a dare via libera a ispettori e team di lavoro, il tutto mentre attorno infuria ancora il conflitto. È ancora da capire se Assad sia sincero nel suo intento di “comprarsi” la salvezza dall’attacco USA rinunciando alle armi chimiche o se stia solo cercando di sfruttare la mossa russa per guadagnare altro tempo.
10. TUTTO DA VEDERE – La neutralizzazione di armi chimiche, già formate o nel loro stato di precursori, è un processo complesso e generalmente lungo, che richiede impianti moderni dedicati, gestiti con le migliori tecnologie a disposizione. Tutto questo è difficile in un ambito sviluppato e moderno: farlo in Siria è ancora più complicato e pericoloso e anche nel caso di reale e totale collaborazione ogni possibile strada avrà bisogno di una accurata pianificazione. Per questo sarà necessario verificare quali siano i dettagli di ogni proposta per capire se si tratti di un tentativo serio o solo di una mossa politica in realtà non applicabile.
Lorenzo Nannetti