In 3 sorsi – Rispetto al primo mandato di Donald Trump, il Messico appare maggiormente preparato al ritorno dei repubblicani. Anche se le premesse, a volte, non sembrano delle migliori, la speranza di dialogo con gli Stati Uniti esiste.
1. QUESTIONE MIGRATORIA
Pur mancando poco meno di due mesi al ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump, come già attraverso la sua campagna elettorale presidenziale, ha iniziato a tracciare le basi sulle future relazioni tra Stati Uniti e Messico. Il tema principale è e sarà quello legato all’immigrazione. Il Presidente eletto pretende che la nuova Amministrazione messicana, guidata da Claudia Sheinbaum, rinnovi le politiche statali per fermare definitivamente gli attraversamenti illegali verso gli USA. E le sue pretese sono accompagnate dalle minacce: il fronte repubblicano, oltre all’ormai noto avvertimento di mettere in pratica una deportazione senza precedenti, ha dichiarato che il primo giorno di mandato firmerà un ordine esecutivo per porre fine al diritto di cittadinanza ai figli degli immigrati clandestini nati negli Stati Uniti. In risposta a tutto questo, Sheinbaum ha assicurato che il Messico, qualora Trump dovesse attuare la deportazione, sarà pronto ad accogliere tutti i migranti. Inoltre, la Presidente ha fatto sapere che insieme al proprio staff sta lavorando a un report per dimostrare che la società USA funziona anche grazie alla manodopera a basso costo dei lavoratori privi di documenti. E i dati del 2022, analizzati dagli economisti dell’Istituto di Tassazione e Politica Economica (ITEP), le danno ampiamente ragione. In quell’anno, circa 10,9 milioni di immigrati privi di documenti hanno pagato 96,7 miliardi di dollari in tasse federali, statali e locali e buona parte di quel denaro, 59,4 miliardi, è stata raccolta dal Governo statunitense.
Fig. 1 – Una parte dei 3.141 metri che separano il Messico dagli Stati Uniti: si tratta del decimo confine terrestre per lunghezza
2. CAMBIARE PIANO
Altro tema caro a Trump è quello del narcotraffico, il cui interesse deriva dall’affrontare la crisi del consumo di fentanyl che sta colpendo gli States. In questo caso, come per il pattugliamento del confine sud, Trump propone l’uso dell’esercito  per combattere i cartelli della droga. Questa soluzione, però, sembra poco probabile, sia per gli alti costi comparati ai dubbi risultati che porterebbe, sia perché Sheinbaum ha più volte ribadito che non ci sarà nessun intervento militare statunitense all’interno del territorio messicano. In ogni caso il Governo di Città del Messico è costretto a cambiare strategia nella lotta alla droga dopo la fallimentare politica Abrazos, no balazos attuata dal predecessore Andrés Manuel López Obrador. Quando l’ex Presidente messicano assunse l’incarico nel 2018 promise che avrebbe posto fine alla guerra al narcotraffico, usando una strategia inedita: con abbracci, non proiettili. L’idea era di limitare le occasioni di scontro tra i narcos e le Forze dell’Ordine e di concentrarsi sullo sviluppo sociale delle aree più povere del Paese, quelle su cui i trafficanti hanno più presa. Tuttavia, i cartelli hanno approfittato dell’assenza della polizia per conquistare nuovi territori e solo nell’ultimo anno il numero di omicidi si è lievemente ridotto, restando comunque spaventosamente alto: 23 ogni 100mila abitanti.
Fig. 2 – Un accampamento di senzatetto negli Stati Uniti: gli homeless sono tra i più grandi consumatori di fentanyl e solo a Los Angeles, nell’ultimo decennio, l’oppioide ne ha uccisi oltre 2mila
3. ECONOMIA E PRIMI DIALOGHI
Lunedì 25 novembre, Trump ha scritto su Truth che non appena sarebbe tornato alla Casa Bianca, avrebbe imposto dazi del 25% su tutti i prodotti provenienti da Messico e Canada, nel caso in cui i due Paesi non avessero fermato il flusso di stupefacenti e migranti che attraversano la frontiera USA. L’imposizione di nuove tasse rappresenterebbe, però, una flagrante violazione del trattato USMCA firmato dai tre Paesi nordamericani nel 2020, sotto la presidenza dello stesso Trump, che aveva sostituito l’accordo NAFTA del 1994. I cambiamenti più rilevanti riguardarono la produzione automobilistica: le auto, per essere scambiate senza dazi doganali, dovevano essere composte per il 75% da parti lavorate in America del Nord e almeno il 40% del valore delle parti doveva essere prodotto da operai statunitensi. Ma Trump sembra voglia modificare anche questa parte dell’accordo. Il 25 settembre 2024, durante un comizio elettorale in Georgia, aveva minacciato dazi al 100% su tutte le auto prodotte su suolo messicano, con l’auspicio di portare tutte le case di produzione automobilistiche negli USA. Nel frattempo, mercoledì 27 novembre, quarantotto ore dopo i post su Truth, Trump e Sheinbaum hanno parlato telefonicamente. I due leader hanno definito la chiacchierata meravigliosa, segno che è ancora presto per sentenziare che tipo di relazioni costruiranno i due vicini. Trump non ha comunque chiarito se l’intenzione di alzare i dazi sia reale o meno, ma la Presidente ha fatto capire che il Messico è pronto ad affrontare la seconda Amministrazione trumpiana, a differenza del primo mandato.
Simone Grussu
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