Analisi – L’emergenza coronavirus pone a Pechino nuove e inaspettate sfide sul fronte domestico. Una delle piĂą importanti è la necessitĂ di gestire e filtrare le informazioni su un tema così complesso e delicato. Dall’osservazione degli sforzi cinesi i Paesi occidentali possono trarre diverse lezioni, prima di tutto per se stessi.
UN’EMERGENZA INFORMATIVA
Nel bel mezzo di un’epidemia che paralizza improvvisamente il Paese, il Governo cinese mette in moto a tutta potenza la propria macchina di controllo e filtraggio dell’informazione, che lavora alacremente a fianco dell’enorme apparato in movimento per il contrasto del nuovo coronavirus. Contenere le fake news e le teorie del complotto, catalizzare il sentimento nazionale verso un pensiero patriottico, identificare e isolare chi specula e semina il panico, stroncare razzismo e campanilismo sul nascere: queste le prioritĂ perseguite senza sosta. Ma gettando le reti si finisce per catturare un po’ di tutto, finanche informazioni veritiere e giornalismo d’inchiesta, e nell’internet cinese si consuma un dramma nel dramma: la perdita piĂą o meno smaliziata del confine tra realtĂ e finzione, tra calunnia e legittimo sospetto. Per noi occidentali, se non altro, ci sono molte lezioni da imparare.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Madre e figlia con mascherine protettive in un supermercato di Hong Kong, 31 gennaio 2020. La paura del virus ha accentuato l’antipatia di molti abitanti locali verso la Cina continentale
GUERRA ALLE FAKE NEWS
L’apparato di monitoraggio dell’internet cinese si pone un chiaro ordine di prioritĂ : prima di tutto, Pechino vuole filtrare quelle che individua come fake news mirate a creare panico e screditare le AutoritĂ cinesi, ad esempio la teoria dell’ex ufficiale dell’intelligence israeliana ed esperto di armi non convenzionali Dany Shoham, che sul Washington Times sostiene che il virus sia stato creato in un laboratorio militare. Negli Stati Uniti i maggiori media alt-right portano avanti anche la narrativa di una cosiddetta “arma di spopolamento di massa”, che la Cina avrebbe schierato di proposito per alleggerire le proprie pesanti spese di welfare.
Ogni condivisione di simile materiale viene rimossa quasi immediatamente da Weibo, Wechat, QQ, YouKu e ogni altra piattaforma. Un numero imprecisato di arresti è perpetrato dalle AutoritĂ cinesi per “diffusione di false informazioni” avvenute anche su piattaforme non accessibili in Cina, come Facebook. L’accanimento contro le news tacciate di falso non si limita soltanto alla Cina, ma viene perseguito anche da altri Paesi asiatici in buoni rapporti con Pechino: in Malesia, ad esempio, sono state arrestate 6 persone per simili motivi negli ultimi giorni di gennaio.
Inoltre Pechino è intenzionata a utilizzare la grande sfida della costruzione di un nuovo ospedale a Wuhan, spettacolarizzando il processo attraverso un livestream che il popolo della mainland potrĂ seguire sui propri dispositivi, nonchĂ© a tratti sulle principali reti televisive di Stato: si vuole catalizzare l’attenzione verso la dimensione collettiva dello sforzo, con lo spin patriottico tipico del Dragone. Molti i messaggi di solidarietĂ che fanno leva sul senso di popolo, esemplificato dal rapidissimo erigersi di una nuova struttura sanitaria, e dalle immagini di medici che lasciano i propri cari per andare a operare nella provincia di Hubei. Allo stesso tempo, privati cittadini invitano spontaneamente i loro contatti a segnalare e far rimuovere i post che demonizzano i residenti di Wuhan o della provincia di Hubei, tristemente all’ordine del giorno.
Fig. 2 – Un messaggio di scuse ufficiali della Croce Rossa Cinese dell’Hubei sul proprio sito web per un errore tecnico nell’acquisto e nella distribuzione di mascherine protettive
FILTRARE LE INFORMAZIONI: LEGITTIMO O NO?
Il contenimento delle teorie del complotto va di pari passo con l’evidenziare le news supportate dalla comunitĂ scientifica e con una stretta decisiva a tutte le informazioni non verificate: situazioni a volte delicate, dove determinare la veritĂ può essere impossibile, e dove il confine tra realtĂ e invenzione si fa labile.
Da Seul arriva il caso di un cittadino cinese a terra in stato confusionale nella stazione metro dell’universitĂ Konkuk, con foto e video immediatamente diffusi come prova di un’infezione incontrollata in corso nella capitale coreana. In realtĂ , nient’altro che una brutta sbornia per lo sfortunato protagonista di questo ennesimo caso di falso allarme. D’altra parte, su Wechat circolano video di anziani a terra in preda a furiosi episodi di tosse (o peggio, immobili) e abbandonati a loro stessi, a volte in luoghi riconoscibili della cittĂ di Wuhan, tra cui figurano anche i corridoi di alcuni principali ospedali. Molto di questo materiale, la cui provenienza resta spesso incerta, finisce per essere rimosso alla stregua di fake news ben piĂą evidenti o chiaramente debunked.
La questione si fa spinosa quando a essere coinvolta nel vortice dell’informazione piĂą o meno verificabile è un’istituzione fondamentale quale la Croce Rossa Cinese. Inizialmente la scarsitĂ di materiale in alcune strutture sanitarie cardine catalizzava il plauso dell’opinione pubblica verso i medici operanti nella provincia di Hubei, mentre oggi questa stessa condizione scatena rabbia sociale.
Fig. 3 – Il premier cinese Li Keqiang visita il cantiere del nuovo ospedale di Wuhan, epicentro dell’epidemia di coronavirus, 27 gennaio 2020. La nuova struttura è stata pubblicizzata ampiamente su social media e siti governativi cinesi
CROCE ROSSA CINESE SOTTO ACCUSA
Diversi netizens avrebbero documentato un numero imprecisato di casi di omissione, corruzione e impreparazione della Croce Rossa Cinese, nonchè di dure reazioni da parte della popolazione e di altri volontari civili, che in certi casi rifiutano addirittura di associarsi alla sua azione.
Bisogna sottolineare che molti dei suddetti casi non sono del tutto verificabili, eppure sostenere che la Croce Rossa Cinese non goda di buona fama nel Paese è legittimo: non a caso tra i netizens cinesi torna in auge il caso simbolico di Guo Meimei, giovanissima dirigente della CRC che, nel 2014, sui social vantava l’opulenza raggiunta grazie proprio al sistema corrotto. Ricordare ai netizens inferociti che la giovane ha scontato cinque anni di prigione e che, nel frattempo, massicce misure anti-corruzione sono state prese dal Governo cinese non sembra dissipare la coltre di dubbi e maldicenze che circonda la CRC.
Alcuni recenti casi di malagestione delle risorse sono stati confermati proprio dalla dirigenza, che ha rilasciato delle pubbliche scuse il 31 gennaio, avvalorando una parte delle informazioni riguardanti errori di gestione di batch di maschere protettive N95, news che inizialmente sarebbero state combattute in quanto presunte false. Secondo le pubbliche scuse offerte dalla dirigenza, errori tecnici avrebbero provocato la spedizione a medici e pazienti di maschere KN95, che diversamente dalle N95 non sarebbero adatte alla protezione in prima linea. Inoltre, tali maschere sarebbero state inviate alle strutture sanitarie sbagliate.
Ma la rabbia online non cessa con l’ammissione di colpa, e resta da chiarire perchè a gennaio ormai concluso solamente 3mila maschere risultassero inviate all’ospedale Wuhan Xiehe (notoriamente in maggior difficoltĂ ) su un totale di 245mila unitĂ N95 spedite in tutto dalla Croce Rossa, di cui, ad esempio, 36mila giunte invece al Wuhan Ren’nai, specializzato in aborti e non equipaggiato adeguatamente per emergenze virologiche: solo uno dei diversi casi documentati di errori grossolani nella distribuzione del materiale. Tutto ciò, mentre su Weibo e Wechat medici e infermieri invocavano l’invio di materiale protettivo negli ospedali al cuore dell’epidemia.
Fig. 4 – Su Wechat un medico di turno al Wuhan Xiehe lamenta di aver esaurito buona parte delle protezioni fondamentali per gli operatori di prima linea e chiede ai propri contatti di spedire materiale adeguato agli standard
IL PLAUSO DELL’OMS
Nonostante tutti questi problemi, molti hanno apprezzato gli sforzi informativi di Pechino sulla vicenda. Durante le conferenze stampa che hanno preceduto e seguito la decisione dell’OMS di dichiarare lo stato di emergenza internazionale, ad esempio, sia il Direttore Generale Tedros Adhanom che il Direttore Esecutivo del Programma Emergenze Michael Ryan hanno definito la reazione cinese all’epidemia “allo stato dell’arte”, sottolineando la trasparenza del Governo di Pechino nel comunicare con i partner internazionali per concertare la gestione dell’emergenza, e la serrata collaborazione tra gli istituti di ricerca cinesi e i poli ospedalieri di virologia coinvolti nella task force dell’OMS.
Federico Zamparelli