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Kenya: un piano regionale dietro l’attacco al Westgate?

I combattimenti al Westgate di Nairobi sono finiti: il bilancio dei morti è di 61 civili, 6 uomini delle forze di sicurezza e 5 terroristi, oltre ad almeno 200 feriti, sebbene molte persone siano ancora sotto le macerie. Nel frattempo si indaga sulla composizione del gruppo (in particolare sulla presenza della “Vedova bianca”) e sulla realizzazione dell’attacco.

 

1. LA FINE DELL’ASSEDIO – Secondo il Governo keniota, la battaglia nel centro commerciale Westgate è terminata dopo quasi tre giorni di assedio e tutti gli ostaggi sono stati liberati. Il presidente Kenyatta ha affermato che l’operazione sia stata un completo successo, ma che il bilancio dei feriti (almeno 200) e delle vittime (61 civili, 6 membri delle forze di sicurezza e 5 terroristi) potrebbe peggiorare, poiché numerose persone sono intrappolare sotto le macerie di un tetto crollato. Inoltre, le Autorità keniote stanno ancora perquisendo l’edificio con grande cautela, al fine di individuare eventuali ostaggi rimasti isolati e accertarsi che non vi siano altri terroristi nascosti. Fonti ufficiali, infatti, hanno confermato l’arresto di 11 attentatori, ma non è chiaro da quanti elementi fosse composto il gruppo, nonostante sull’account Twitter di al-Shabaab fossero riportati 17 nomi. Il Kenya ha proclamato tre giorni di lutto nazionale.

 

2. LE IDENTITÀ DEI TERRORISTI – Il ministro degli Esteri di Nairobi, Amina Mohamed, parlando a una televisione statunitense, ha affermato che tra i terroristi ci siano anche «due o tre americani e una cittadina britannica», riprendendo in sostanza sia quanto scritto nei tweet di al-Shabaab, sia le voci circa la presenza della “Vedova bianca”, l’inglese Samantha Lewthwaite, moglie di uno degli attentatori di Londra nel 2007 e compagna di un combattente islamista somalo. Per di più, una commessa del Westgate, intervistata dal “Daily Mail”, ha raccontato di essere scampata a una raffica sparata da una donna con «la pelle bianca, i capelli neri lunghi e una maglia larga e nera». Al-Shabaab ha smentito su Twitter, scrivendo di «non usare sorelle in questo tipo di operazioni militari». Tuttavia, bisogna tener presente che le Autorità non hanno confermato alcunché in merito, né si sono espresse circa l’autenticità dei tweet del gruppo somalo e dei nomi indicati quali partecipanti all’attacco. Pertanto è necessario mantenere una certa prudenza.

 

3. IPOTESI SULL’ORGANIZZAZIONE REGIONALE – I terroristi avrebbero utilizzato un deposito a Nairobi (forse un box auto o un magazzino) per nascondere le armi, una circostanza che indica la presenza di complici sul campo. Non tutti gli osservatori, infatti, sono concordi nell’attribuire la responsabilità ad al-Shabaab, chiamando in causa al-Qaida o gruppi di islamisti kenioti. Non è da escludersi, però, che l’operazione abbia avuto una valenza regionale, ossia che abbia coinvolto tutte la rete combattente del Corno d’Africa e dell’Africa orientale. Al-Shabaab è parte di al-Qaida dagli inizi del 2012, ma non c’è completa identificazione tra le due formazioni, così come non ci sono sovrapposizioni perfette nelle intenzioni e nel modus operandi all’interno della stessa organizzazione somala. Dopo la sconfitta militare, infatti, al-Shabaab ha cominciato a riorganizzarsi su due livelli, vale a dire quello interno, impegnato nella lotta contro il Governo di Mogadiscio e più vicino alle tradizionali istanze nazionalistiche somale, e quello esterno, con basi nell’Ogaden etiope e nelle Province Nordorientali keniote, integrato nella rete di al-Zawahiri e ormai propenso a seguire la sua vocazione sovranazionale. Difficilmente l’attacco al Westgate potrebbe essere stato condotto da al-Qaida, poiché essa, fortemente ridimensionata nell’Africa orientale, evita di esporre i propri uomini in modo diretto sul campo, fornendo però sostegno logistico e finanziario. Pertanto, è probabile che l’azione di Nairobi abbia visto il lavoro congiunto di al-Qaida nella fase elaborativa, macro-logistica e di network; degli islamisti kenioti per il sostegno in loco; di al-Shabaab per l’esecuzione.

 

Beniamino Franceschini

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’UniversitĂ  di Pisa, sono docente di Geopolitica presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa.

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