Dopo una rincorsa silenziosa e paziente, non appena la campagna elettorale brasiliana è entrata nel vivo, Dilma Rousseff, “erede” designata di Lula, ha superato – e distanziato – nelle intenzioni di voto il suo rivale principale, José Serra. A un mese e mezzo dalle elezioni ecco gli scenari che si presentano per la potenza sudamericana
DILMA SE NE VA – E pensare che fino a un anno fa José Serra raccoglieva oltre il doppio delle intenzioni di voto dei brasiliani, in vista delle prossime elezioni presidenziali che, ormai imminenti, si terranno domenica 3 ottobre. Il candidato del principale partito di opposizione al Governo di Lula, il Partito della Socialdemocrazia Brasiliana, dominava i sondaggi forte dei suoi successi come governatore dello Stato di São Paulo, la megalopoli perno dello straordinario successo economico brasiliano. E invece Dilma Rousseff, candidata a prendere il posto di Lula da Silva (che in base alla costituzione non può ripresentarsi per un terzo mandato consecutivo) ha recuperato, conquistando consensi in maniera costante e – apparentemente – inarrestabile. Se all'inizio della campagna elettorale, circa un mese e mezzo fa, i due erano appaiati (leggi l'articolo del “Caffè”), il trend favorevole alla Rousseff non si è arrestato ed è notizia di queste ultime ore che la candidata del Partito dei Lavoratori (PT) ha accumulato un vantaggio di addirittura 17 punti percentuali: 47% contro 30%.
PARTITA FINITA? – Si tratta ovviamente di sondaggi, ma di ragioni per pensare che la Rousseff può davvero diventare la prima donna Presidente del Brasile ce ne sono parecchie. Anzi, probabilmente ce n'è una sola che è però più che sufficiente per ottenere la vittoria, e si chiama Lula. Il presidente uscente viene da due mandati trionfali ed è stimato in maniera pressochè unanime in patria (dove ha un consenso popolare attorno all'80%) e all'estero. In questi otto anni il Brasile ha saputo rendersi protagonista di una crescita economica stabile e solida, riuscendo a generare per la prima volta ricchezza che è stata condivisa anche dalle fasce più povere della popolazione.
E' dunque l'immagine del “presidente operaio” (in questo caso non solo metaforicamente, dato che Da Silva davvero lavorò in una fabbrica, come testimonia il moncherino del suo mignolo sinistro) il principale asso nella manica della Rousseff, che sta riuscendo a far dimenticare il suo personale “scheletro nell'armadio”, ovvero il suo passato da guerrigliera filo-marxista durante gli anni della dittatura militare.
I critici di Lula sostengono che la vittoria della Rousseff non sarà altro che un modo per il Presidente di aggirare la costituzione e di rimanere – di nascosto – nella stanza dei bottoni, un po'come sta avvenendo in Argentina con il tandem Néstor – Cristina Kirchner. Si tratta di un'osservazione sicuramente fondata, che però tiene solo parzialmente conto della realtà. Dilma Rousseff, economista e Ministro uscente della Casa Civil, non è un “personaggio” e non riesce a riscuotere grande appeal negli elettori: però ha dalla sua il merito di essere una delle principali menti del successo economico brasiliano. Anche a lei, infatti, si deve il programma “Bolsa Familia”, che attraverso un sistema di sussidi, è riuscito a strappare alla povertà oltre trenta milioni di brasiliani in questi ultimi anni.
SERRA E MARINA – José Serra insegue, cercando di recuperare terreno. Già sconfitto da Lula alle elezioni del 2002, dovrà probabilmente rassegnarsi alla sconfitta anche questa volta, pur essendo un politico navigato e rispettato, alla guida dello Stato più popoloso e ricco del Brasile. Serra, tuttavia, pecca anch'egli di scarso appeal, oltre a subire il peso insostenibile della figura di Da Silva.
Intanto, più indietro cerca di inserirsi una terza candidata, l'esponente del Partido Verde Marina Silva. I sondaggi la danno al 10%: potenzialmente un buon risultato, che però sottolinea una volta di più il netto vantaggio della Rousseff, che rasenta il 50% dei consensi pur con una sostanziosa fetta di voti “rubata” a sinistra.
Davide Tentori