In 3 sorsi – Zelensky sembra voler modificare radicalmente la posizione dell’Ucraina sulla questione della fornitura d’acqua alla Crimea, nonostante il fatto che le conseguenze geopolitiche del cambiamento potrebbero essere irreversibili.
1. UN “TEST” ALL’OPINIONE PUBBLICA
Sotto la presidenza Zelensky, il Governo ucraino sta valutando la possibilitĂ di ripristinare la fornitura d’acqua alla Crimea, a fronte della siccitĂ che sta colpendo la penisola. Finora, non è stata adottata alcuna posizione ufficiale, ma vari esponenti di spicco del partito di maggioranza “Sluha Narodu” (“Servo del Popolo”) hanno sostenuto l’idea in televisione e sui social media. Per il capo del comitato sul bilancio, Yuri Aristov, questa potrebbe essere un’occasione utile per rinsanguare le depauperate finanze dello Stato. Il leader del partito, Davyd Arakhamia, sarebbe pronto a utilizzare la leva dell’acqua per ottenere delle concessioni nel Donbass. Il neopremier Denys Shmyhal, invece, all’indomani dell’elezione, ha espresso la preoccupazione che una crisi umanitaria possa colpire i cittadini ucraini residenti nella penisola.
L’apertura del dibattito pubblico sulla questione costituisce un’inversione di marcia rispetto alla posizione dell’ex Presidente Poroshenko, per il quale conditio sine qua non del ripristino della fornitura era la de-occupazione. L’impressione generale è che tra Mosca e Kiev sia già in essere un accordo riservato e che Zelensky stia utilizzando la tecnica, a lui ormai cara, del “test” all’opinione pubblica per comprendere i sentimenti del Paese al riguardo.
Fig. 1 – Elezioni presidenziali del 2019: manifesto di Petro Poroshenko con la didascalia “21 aprile. Scelta decisiva!”
2. L’IMPORTANZA DELL’ACQUA PER LA CRIMEA
L’aridità è una caratteristica intrinseca di vaste zone della penisola di Crimea, ma, fino al 2014, più dell’85% del fabbisogno idrico locale veniva soddisfatto dal flusso d’acqua convogliato dal Dnipro nel Canale del Nord attraverso l’istmo di Perekop. All’indomani dell’annessione, l’Ucraina ha bloccato il flusso con l’obiettivo di alzare i costi dell’occupazione e, nel 2017, ha costruito una diga nella provincia meridionale di Kherson.
L’inizio dei lavori per la costruzione del canale risale al 1957, solo tre anni dopo la “cessione” operata da Nikita Khrushcev. La decisione del Segretario generale sovietico, infatti, è stata guidata, oltre che da ovvie motivazioni politiche, anche da necessità strettamente pratiche: appariva chiaro che l’Ucraina, grazie all’esistenza di collegamenti territoriali diretti, fosse l’unica in grado di rifornire in maniera efficiente la penisola con gli input necessari alla sua sopravvivenza.
A sei anni dall’annessione, Mosca è riuscita ad annullare molti dei costi connessi all’occupazione (come l’assenza di collegamenti diretti con il territorio della Federazione e l’insufficienza energetica), mentre si è dimostrata pronta a sopportarne altri (principalmente d’immagine). Il problema della scarsità idrica, tuttavia, è rimasto fuori dalla sua portata e ha causato danni all’ecologia (disastro di Armjansk del 2018) e all’attività agricola.
Fig. 2 – Il Canale del Nord nei pressi di Armjansk, settembre 2018
3. UN GIOCO PERICOLOSO
La riapertura del Canale del Nord potrebbe avere, per l’Ucraina, irreversibili conseguenze geopolitiche. Il ripristino della fornitura, infatti, sarebbe necessariamente condizionato alla conclusione di un accordo di vendita con la Federazione russa oppure con i rappresentanti di Mosca in Crimea. L’opinione diffusa è che questo avrebbe il significato di un riconoscimento de facto dell’annessione e della rinuncia definitiva a rivendicare la sovranità ucraina sulla penisola. Se ciò dovesse accadere, il timore è che i Governi occidentali non avrebbero più ragione alcuna per mantenere in piedi le sanzioni economiche contro Mosca.
Le ripercussioni potrebbero farsi sentire anche nel Donbass. Fino ad ora, infatti, lo stato “congelato” del conflitto appare come la dimostrazione lampante del fallito tentativo di Putin di aprire un “corridoio” verso la Crimea, ma un netto alleggerimento dei costi derivanti dall’occupazione potrebbe comportare un dispiegamento più deciso della sua politica di potenza in Ucraina orientale.
Oksana Ivakhiv
Photo by irinariviera is licensed under CC BY-NC-SA