Ieri il premier libico Ali Zeidan è stato rapito per alcune ore da una milizia formalmente inserita nel sistema di sicurezza del Paese, salvo poi essere rilasciato senza alcun intervento. La vicenda potrebbe essere connessa alla dura reazione di parte dell’opinione pubblica e delle Istituzioni alla cattura da parte degli USA di al-Libi: alcuni osservatori, per esempio, parlano di un avvertimento che potrebbe essere preliminare a un colpo di Stato.
1. LA DINAMICA – Per la Libia, la giornata di ieri è stata assolutamente di terrore e incertezza. Cerchiamo brevemente di ripercorrere l’accaduto. All’alba, un gruppo composto da un centinaio di armati ha compiuto un’irruzione nell’albergo Corinthia di Tripoli, catturando il primo ministro Ali Zeidan, per poi rilasciarlo spontaneamente alcune ore dopo, senza il bisogno di azioni di forza. A condurre l’operazione sono state le milizie della Camera dei rivoluzionari di Libia, che, in un primo momento, hanno affermato di aver agito su mandato della Procura generale. Le accuse di corruzione e reati contro l’ordine pubblico mosse ad Ali Zeidan sarebbero state correlate alle dichiarazioni del segretario americano Kerry, secondo il quale il Governo di Tripoli sarebbe stato al corrente della rendition di al-Libi. Tuttavia, dopo la smentita della Procura, che anzi ritiene illegali le procedure contro Ali Zeidan, è arrivata la dichiarazione ufficiale di un portavoce ministeriale: l’ordine di arresto è stato avanzato dal Dipartimento anticrimine del ministero dell’Interno.
2. I RETROSCENA – Resta da capire, pertanto, se la vicenda sia da intendersi come un tentativo di deporre il Primo Ministro o come un atto intimidatorio. La Camera dei rivoluzionari, infatti, è formalmente sottoposta ai ministeri dell’Interno e della Difesa, cosicché appare assai improbabile che nessuno nelle Istituzioni libiche fosse a conoscenza dell’operazione. Al momento della cattura di al-Libi, Tripoli aveva sollevato il proprio dissenso nei confronti di Washington, ma l’opinione pubblica libica aveva reagito con maggiore veemenza, poiché la rendition statunitense era stata intesa come una violazione della sovranità nazionale condotta con la complicità del Governo, sensazione rafforzata dalle affermazioni di Kerry circa i contatti precedentemente intercorsi tra Libia e USA. Le critiche più dure sono giunte dalle formazioni islamiste, anche all’interno del Parlamento, il cui presidente Nuri Busahmein, avente le funzioni di capo dello Stato, è molto vicino alla Camera dei rivoluzionari e ai partiti d’ispirazione islamica, cosicché è considerato da molti osservatori l’organizzatore dell’arresto di Ali Zeidan.
3. UN PAESE SENZA CONTROLLO – Al di là della complessità e della fluidità degli schieramenti, sui quali gravano anche le forti critiche circa i rapporti tra il Primo Ministro e l’Occidente, è indubbio che la Libia sia attualmente senza controllo. In molte zone del Paese continua, di fatto, la guerra civile, mentre gli scontri tra milizie rappresentanti le fazioni politiche o tribali si succedono in regioni quasi del tutto sottoposte a un regime d’anarchia. In questo senso, per tenere sotto controllo l’evoluzione della crisi, la NATO, tramite il segretario Rasmussen, si è detta pronta a rafforzare la propria presenza nel Paese, una misura che sarebbe parallela allo spostamento di 200 marines e 6 velivoli statunitensi nella base di Sigonella, in Sicilia. Anche l’Italia segue con interesse la situazione, considerato che il segretario generale del ministero degli Esteri è da qualche giorno a Tripoli.
Beniamino Franceschini