Analisi – La dichiarazione di autonomia del Consiglio di Transizione Meridionale rompe l’Accordo firmato con il Governo il novembre scorso. La rottura è il risultato dei crescenti attriti tra il partito separatista e l’Arabia Saudita. Sembra esserci margine per recuperare l’Accordo, ma molto dipenderà dall’azione di Abu Dhabi.
LE RADICI DELL’INDIPENDENTISMO
Il 25 aprile il Presidente del Consiglio di Transizione Meridionale (STC), Aidrus Al-Zubaidi, ha proclamato l’autonomia dello Yemen del Sud dal Governo nazionale, guidato da Abdo Mansur Hadi. Criticata da Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, la dichiarazione ha causato non pochi malumori a Riad, la quale non è soltanto l’azionista di maggioranza dell’esecutivo yemenita, ma anche la città che ha dato il nome all’accordo di pace tra tale Governo e STC. L’Accordo di Riad del 5 novembre 2019 era nato dalla necessità di riunificare la coalizione yemenita anti-Huthi, dopo che in agosto i dissapori tra STC e Governo internazionalmente riconosciuto di Hadi avevano alimentato una serie di scontri armati tra le rispettive milizie e la presa di Aden da parte dell’STC. L’Accordo aveva dato vita a un esecutivo unitario formato dai due contraenti, ma non a un esercito integrato. Ora, con lo scoppio di nuovi combattimenti sull’isola di Socotra e nella città di Zinjibar, una decisa azione diplomatica da parte di Riad e Abu Dhabi sembra indispensabile per salvare la coalizione anti-Huthi. Alleato degli Emirati Arabi Uniti, il Consiglio di Transizione Meridionale è il principale partito dello Yemen del Sud e portabandiera delle istanze indipendentistiche. Il Consiglio nacque ufficialmente nel 2017, dopo che la sostituzione di Al-Zubaidi dalla carica di govenatore di Aden aveva messo i separatisti in rotta con Hadi. Nel 2015 l’alleanza tra Hadi e i separatisti aveva permesso di bloccare l’avanzata dei ribelli Huthi verso il Golfo di Aden e sedimentare il fronte approsimativamente lungo la linea di confine che fino al 1990 aveva diviso la Repubblica Araba dello Yemen (Yemen delNord) dalla Repubblica Popolare Democratica dello Yemen (Yemen del Sud). È proprio su quest’ultima che si fondano le aspirazioni separatiste del STC. Sebbene entrambe economicamente sottosviluppate, la Repubblica Popolare Democratica dello Yemen seguì una traiettoria storica molto diversa della sua vicina del nord. Nato dal protettorato inglese di Aden nel 1967 e saldamente ancorato al blocco sovietico, lo Yemen del Sud fu caratterizzato da politiche di stampo progressista, quali istruzione e sanità gratuite, la parità dei diritti tra i sessi e una Costruzione laica dello Stato. Lo Yemen del Nord, invece, governato per secoli da una successione di imam e sotto influenza saudita, rimase una società principalmente rurale e tradizionale nel corso della propria storia. Le divergenze politico-culturali e l’acuirsi della crisi economica portarono Nord e Sud alla guerra civile a soli quattro anni dall’unificazione, nel 1994, conclusasi con la netta vittoria delle forze dell’ex Presidente Saleh sui gruppi dello Yemen meridionale. Tuttavia, molti continuarono ad associare il deterioramento dello sviluppo umano nel sud con l’unificazione, un sentimento che tornerà in superficie con lo scoppio delle Primavere Arabe.
LO SCACCHIERE MERIDIONALE
La dichiarazione di Al-Zubaidi non è stata accolta con eccessivo entusiasmo neanche nel resto del sud dello Yemen. Infatti soltanto le province sotto il controllo dell’STC (Aden, Lahj e Dhalea) hanno risposto favoraevolmente alla chiamata, mentre i governatori di Hadhramaut, Shabwa, Al-Mahra, Abyan e Socotra non vi hanno dato seguito. Nelle ultime due si sono concentrati i primi combattimenti. A Socotra alcune milizie dell’STC hanno attaccato le forze fedeli al Governo di Hadi nella capitale locale Hadibu. A Zinjibar invece, capoluogo della provincia di Abyan, truppe governative e milizie legate al partito islamico Islah hanno attaccato le postazioni dell’STC causando 14 vittime in totale. Con una situazione militare che difficilmente varierà, il progetto autonomista di Al-Zubaidi parte quanto meno in salita. Pesa soprattutto l’assenza della regione petrolifera del Paese, l’Hadhramaut, i cui introiti avrebbero potuto sostenere economicamente il neo-Governo autonomo. Uno dei fattori principali che hanno portato alla dichiarazione del 25 aprile è il malcontento popolare dovuto al deterioramento dei servizi di acqua ed elettricità ad Aden, in particolare a seguito di una recente alluvione. Per la prima volta le proteste si sono rivolte non solo contro il Governo di Hadi, ma anche contro l’STC. A ciò si è aggiunto lo scoppio del coronavirus, con decine di vittime già confermate. Pertanto, se il gruppo separatista non dovesse trovare i fondi per ristabilire i servizi alla popolazione, il sostegno di cui gode potrebbe presto svanire e con esso il progetto autonomista.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Combattente dell’STC nei dintorni di Zinjibar, circa 60 chilometri a est di Aden, 18 maggio 2020
LE RAGIONI DELLA ROTTURA
Aldilà delle proteste popolari, le ragioni della mossa dell’STC vanno ricercate nei suoi recenti attriti con i sauditi. Un corollario fondamentale dell’Accordo di Riad prevedeva che la Monarchia saudita sostituisse gli Emirati, appena ritiratisi dallo Yemen, nel ruolo di patrono dell’STC. Al contrario, i sauditi hanno cercato di limitare la posizione dell’STC sul terreno e di conseguenza, certi reparti legati al Consiglio hanno smesso di ricevere gli stipendi, l’STC non è stata invitata ai negoziati con le Nazioni Unite, la Giordania ha bloccato il rientro di alcuni rappresentanti dell’STC in Yemen e alcuni ufficiali separatisti sono stati sostituiti da comandanti militari filo-governativi. In risposta, l’STC ha impedito a diversi membri del Governo di entrare ad Aden, sede ufficiale dell’esecutivo internazionalmente riconosciuto. Il partito di Zubaidi ha scelto un momento propizio per lanciare il guanto di sfida all’Arabia Saudita. Non solo una lotta all’interno della coalizione rafforzerebbe la posizione degli Huthi al tavolo negoziale, ma Riad dovrebbe anche investire risorse rilevanti per estirpare le forze del STC da Aden. Ora questa opzione sembra sempre meno percorribile, vista la pressione messa dal crollo del prezzo del petrolio, una circostanza che probabilmente influenzerà la strategia saudita in Yemen. Allo stesso tempo, l’STC sta dando segnale di essere disposta a mediare con Hadi, dal momento che essa non ha preso d’assalto i ministeri e ha optato invece per organizzare dei comitati paralleli. Questo potrebbe indicare che piuttosto di una vera indipendenza, molto difficile da ottenere e gestire al momento, l’obiettivo dell’STC sia quello di veder implementate le concessioni ottenute in novembre. Tutto sembra indicare che l’Accordo di Riad può essere recuperato e il mediatore più indicato sembrano essere gli Emirati Arabi Uniti data la loro vicinanza a entrambe le parti.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Incontro tra l’Emiro di Dubai, lo Sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum e il Principe Ereditario saudita Mohammad bin Salman in occasione del quarantesimo summit annuale del Consiglio di Cooperazione del Golfo, 10 dicembre 2019
PROSPETTIVE IMMEDIATE E FUTURE
Sebbene formalmente alleate, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno avuto da sempre obiettivi diversi in Yemen. La prima vorrebbe vedere uno Yemen unito e sotto la propria sfera d’influenza, mentre la seconda mira a proteggere i propri interessi economici nel sud, oltre a combattere l’AQAP (affiliata ad Al-Qaida) e il partito Islah, legato alla Fratellanza Musulmana e alleato di Hadi. Ora gli Emirati hanno tre opzioni. Affossare l’STC non sarebbe difficile in quanto essa dipende da Abu Dhabi e Al-Zubaidi vive negli Emirati, ma ciò dissiperebbe un’importante bacino d’influenza in Yemen. Rimanere in disparte sembra anche sconsigliabile, poiché porterebbe due suoi alleati a indebolirsi vicendevolmente, a beneficio dei suoi rivali (gli Huthi e Islah). La soluzione più conveniente sembra dunque la mediazione vista anche l’attuale debolezza dei contendenti. Tuttavia rivitalizzare l’Accordo di Riad richiederebbe l’iniezione di nuove risorse finanziarie, dal momento che la situazione corrente è anche il frutto di mancati finanziamenti per stipendi e servizi essenziali. Anche gli Emirati stanno risentendo del crollo del greggio e quindi potrebbero non essere disposti a investire nella stabilità dello Yemen, Paese da cui si sono recentemente ritirati. Se ciò dovesse accadere, la divisione del sud in sfere d’influenza contrapposte si consoliderebbe.
Indipendentemente dall’evolversi della crisi attuale, le aspirazioni indipendentistiche di molti yemeniti del sud non svaniranno. Se anche il conflitto con gli Huthi dovesse terminare, il declino del sud post-unitario molto probabilmente non si arresterebbe, continuando così ad alimentarne il malcontento nei confronti del Governo centrale. Pertanto, come dimostrano gli ultimi trent’anni, la questione meridionale yemenita è destinata a manifestarsi ciclicamente.
Corrado Čok
Immagine di copertina: “Al-Hajarayn” by twiga_swala is licensed under CC BY-SA