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Sea control e sea denial: il controllo del mare oggi (I)

La strategia marittima moderna coinvolge forze di mare, aria e terra che operano congiuntamente e che, a seconda dei casi, integrano le proprie operazioni anche sulla base dei concetti di ‘sea denial’ e ‘sea control’. Se possiamo affermare con una certa sicurezza che la strategia marittima dei nostri tempi non si basa solo sulle forze navali o sulla strategia navale, piĂą discordanti sono i pareri, seppur autorevoli, sulle possibilitĂ  e modalitĂ  di utilizzo di sea denial e sea control.

 

PER UNA STRATEGIA MARITTIMA MODERNA – I concetti di sea control, sea denial e power projection rappresentano i principali compiti delle forze marittime ai nostri giorni. Tuttavia, una riflessione sulla strategia marittima odierna e su questi punti si fa sempre piĂą pressante se non necessaria. I cambiamenti nello scacchiere internazionale sfidano le basi concettuali alle quali si è fatto riferimento finora e invitano a una profonda analisi dei principi di base del potere marittimo. Innanzitutto è importante sottolineare che quello di potere marittimo o seapower – cui corrisponde una strategia marittima ben piĂą ampia della strategia navale – è un concetto geopolitico piĂą che geostrategico. Carlo Jean puntualizza che il potere marittimo concerne le attivitĂ  marittime civili e quelle militari, la strategia globale e non solo quella generale militare.

Il concetto di potere marittimo andrebbe, perciò, sempre mantenuto distinto da quello di potere navale. Il sea power viene esercitato sul mare sia attraverso operazioni offensive condotte contro forze nemiche, sia attraverso operazioni per proteggere forze amiche e i traffici marittimi secondo il concetto di force protection che attualmente riguarda anche l’incolumità vera e propria degli assetti e del personale a essi assegnato.

Secondo la dottrina strategica odierna, le applicazioni militari del potere marittimo sono governate dai concetti di power projection, sea control e sea denial. Indagarli più approfonditamente aprirebbe uno spazio a notevoli punti di riflessione sulle attuali sfide alla dottrina marittima contemporanea che, è noto, pone molte delle sue basi nelle elaborazioni concettuali del pensiero americano degli ultimi anni.

 

SEA DENIAL E SEA CONTROL – La dottrina militare definisce le operazioni di sea denial come quelle organizzate per impedire l’uso del mare da parte di una forza avversaria. In altri termini, si tratta di operazioni che tendono a negare l’utilizzo di un’area di mare per un certo periodo di tempo. Il sea denial avviene generalmente in casi di guerra asimmetrica e prevede una postura difensiva, lasciando l’iniziativa principale all’attore che conduce un attacco, con alcune eccezioni. I mezzi utilizzati per attuare il sea denial sono le piccole unitĂ  veloci missilistiche (fast attack craft), batterie costiere antinave, mine e soprattutto sommergibili. Il sea denial è spesso definito attraverso ciò che lo differenzia dal sea control. Quest’ultimo, invece, descrive una situazione in cui una potenza ha libertĂ  di utilizzo di un’area marittima per i propri obiettivi ed è in grado di impedirne l’utilizzo a un avversario. Il concetto di sea control è stato generalmente associato a situazioni di conflitto simmetrico.  La proiezione di potenza (power projection) si riferisce invece alla possibilitĂ  che le forze navali possano favorire forze da combattimento a terra o attaccare obiettivi terrestri. Tra sea control e power projection esiste una certa sovrapposizione in quanto il sea control potrebbe essere necessario per eseguire operazioni militari durante un conflitto, comprese quelle che richiedono proiezione di potenza. Il sea denial è una strategia meno totalizzante (e ambiziosa) del sea control: pur mirando a negare l’utilizzo di un certo tratto di mare a un avversario, il sea denial non implica che chi lo pratica punti anche al sea control per usi propri. Non si tratta di una strategia nuova, ma applicabile anche da attori di ridotte capacitĂ  marittime sfruttando il continuo potenziamento tecnologico delle armi navali.

Un P3C “Orion” e un Breguet Atlantic. Il mezzo aereo ha rivoluzionato la guerra in mare

Esistono casi recenti di utilizzo del sea denial, per esempio i tentativi iraniani e iracheni di negare l’accesso al Golfo Persico durante la “Tanker War”. L’Iran mise in atto una vera e propria guerriglia navale mentre l’Iraq sferrava attacchi con i suoi caccia. Molti anni dopo, durante l’operazione “Desert Storm” per la liberazione del Kuwait invaso dagli iracheni, la Marina americana subì gravi perdite.  La nave anfibia “Tripoli” (LPH10) fu messa fuori combattimento da una mina posata davanti alle coste kuwaitiane e l’incrociatore “Princeton” (CG59) fu sottoposto a un attacco dello stesso tipo.

Nel caso del sea control è difficile citare casi storici che lo rappresentino appieno negli ultimi anni. Infatti, cessata la minaccia sovietica durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno potuto godere di un controllo totale sul mare. Tutto ciò ha creato una sorta di lacuna nella dottrina strategica che non si è più occupata di puro sea control se non nel suo utilizzo in operazioni militari integrate come l’air-sea battle. In ogni caso, non si è ancora pervenuti a una definizione del concetto precisa e totalmente al passo con i nuovi scenari.

Secondo Robert Rubel, la presenza di aeromobili a lungo raggio diminuisce infinitamente la possibilitĂ  che vengano effettuate operazioni esclusivamente dal mare. Probabilmente le fasi iniziali dell’operazione “Enduring Freedom” rientrano ancora nella categoria, sebbene fossero disponibili land-based tankers e reconnaissance aircraft.

 

VERSO UNA NUOVA STRATEGIA MARITTIMA – La fine della Guerra Fredda ha segnato l’inizio di un’epoca di incontestato dominio sui mari per la flotta navale americana. L’effetto negativo di questo potere immenso è probabilmente un concetto di sea control non più adeguato ai tempi. Ai cruciali cambiamenti nello scenario geopolitico dopo la fine della Guerra Fredda non è corrisposto un avanzamento della dottrina soprattutto in termini di controllo del mare. Data la disponibilità di mezzi da combattimento molto avanzati e il profilarsi di nuovi assetti geostrategici, bisognerebbe chiedersi quanto operazioni di puro sea control siano pensabili e quali siano le alternative. Durante esercitazioni o dispiegamenti di forze, diversi Paesi dell’area asiatico-pacifica hanno dimostrato la rinnovata importanza del controllo del mare, anche se in termini più ristretti rispetto all’idea americana (Australia, Giappone, Corea del Sud). Con l’aumento della propria dipendenza marittima da certe risorse, gli stessi Paesi hanno manifestato un interesse crescente nel controllo delle aree marittime circostanti. La Cina, poi, manifesta questa tendenza più degli altri, dotandosi di forze di controllo del mare sempre più avanzate, come navi da guerra, sottomarini e forze aeronavali. In generale, la comparsa all’orizzonte della Cina come possibile forza di controllo marittimo regionale richiede un ripensamento del sea control in termini nuovi. Inoltre, mentre il sea denial può essere tuttora utilizzato in varie forme, l’idea del sea control puro è sfidata nei suoi principi base dall’avanzamento tecnologico degli armamenti e in particolare da aeromobili a lungo raggio, che prefigurano operazioni e contro-operazioni di sea control basate sulla combinazione di assetti tridimensionali (navali, aerei, terrestri). Infatti, la risposta americana alla Cina sembra essere arrivata con il concetto di “Air-Sea Battle”, che teorizza l’integrazione di forze aeree e navali in tutti i campi operativi: aria, terra, mare, spazio e cyberspazio.

 

(Continua…)

 

Annalisa De Vitis

 

Esercitare il potere in mare: composizione di un gruppo da battaglia USA.

 


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Annalisa De Vitis
Annalisa De Vitis

Appassionata di geopolitica, strategia militare e cinema. Il mio background va dagli studi di relazioni internazionali a quelli di comunicazione politica. Ho studiato in Italia, Belgio e Stati Uniti. Dopo aver concluso un dottorato di ricerca in politica estera e comunicazione, svolgo studi a e analisi per organizzazioni e università statunitensi ed europee che si occupano di politica estera. Il mio focus  è  il Medioriente e ho un particolare interesse per gli studi sul terrorismo.

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