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Bangladesh: in cerca di diritti tra i telai

Dal crollo di una fabbrica ad aprile con 1.129 morti, il Bangladesh vive momenti difficili. Lavoratori scesi in piazza per rivendicare i propri diritti stanno fronteggiando la polizia, che risponde con la forza. Inoltre, poiché l’opinione pubblica internazionale chiede miglioramenti della qualità della vita degli operai, il Governo sembra preoccupato di un blocco degli ordini e di un rallentamento dell’economia.

 

24 APRILE 2013, SAVAR (DHAKA) – Al posto del Rana Plaza, uno stabile di 8 piani sede di una banca, qualche negozio e molte aziende di confezione tessile, i giornali di tutto il mondo ritraggono soccorritori di corsa, polvere, detriti, corpi scomposti e mostrano, per la prima volta agli occhi internazionali, la situazione dei lavoratori del settore tessile in Bangladesh. Bastano poche ore perché l’indignazione dei Paesi sviluppati si faccia sentire e con essa quella delle firme della moda, che chiedono condizioni economiche più favorevoli per i lavoratori. Di fronte a questa strage, nelle maggiori città del Bangladesh migliaia di uomini e donne scendono in piazza creando un movimento spontaneo che abbraccia i sindacati e che, come un monsone, irrompe nell’estate e fa sentire ancora adesso la sua voce e le sue richieste di maggiori diritti. Benché le manifestazioni continuino, anche le morti bianche non cessano. Dal canto suo il Governo mostra un atteggiamento ambiguo: se da una parte promette un aumento dei salari, dall’altra parte risponde ai movimenti di piazza con reparti della polizia in assetto anti sommossa e con lacrimogeni, arrestando i responsabili sindacali. Intanto la moda occidentale torna a sfilare sotto i riflettori.

 

Sembrano addormentati, insieme in un abbraccio, coperti da polvere e detriti, nel crollo del Savar Rana Plaza di Dhaka
Sembrano addormentati, insieme in un abbraccio, coperti da polvere e detriti, nel crollo del Savar Rana Plaza di Dhaka

UN PAESE TESSITURA – Secondo esportatore mondiale di prodotti tessili, con 3 milioni e mezzo di lavoratori, 4500 fabbriche e l’80% delle esportazioni annuali per 27miliardi di dollari di valore, il Bangladesh potrebbe essere descritto come un grande telaio o una grande azienda manifatturiera, composta di mani che tessono e cuciono a bassissimo costo (1600-1800 taka al mese, pari a 38 dollari) vestiario per le più importanti firme del casual occidentale come H&M, Zara, Tommy Hilfiger, Levi Strauss, Benetton, e catene di distribuzione come Carrefour e Coin-Oviesse. Alcune imprese delocalizzano la produzione, però la maggior parte acquista il prodotto già finito attraverso società create appositamente o prestanome locali, il che consente una gestione estremamente flessibile, rivolgendosi di volta in volta al mercato più conveniente: Bangladesh, ma anche Pakistan, India, Vietnam. Il venir meno dell’Accordo Multifibre (1 gennaio 2005), e con esso del sistema di quote di prodotti tessili sottoposti a limite d’esportazione dai Paesi in via di sviluppo a quelli sviluppati, ha di fatto liberalizzato il mercato e, oltre a spiazzare i produttori occidentali, ha scatenato una lotta senza quartiere per la conquista di quote di mercato negli Stati emergenti. Le conseguenze mostrano tutta la spietatezza della corsa delle firme della moda alla ricerca di una produzione in grande quantità, velocissima e a costi bassi, una produzione pronta a rispondere alle richieste nevrotiche del consumatore occidentale: per sostenere la concorrenza, il primo e più semplice dei modi è il contenimento dei salari. Poiché il settore tessile si caratterizza per un’alta intensità di fattore lavoro, in generale i Paesi in via di sviluppo godono di un vantaggio comparato determinato dal basso costo della manodopera. Il Bangladesh si dimostra uno dei Paesi più adatti poiché vi è già una tradizione consolidata nel tessile, soprattutto con manodopera femminile, i salari, come già detto, sono molto bassi (fermi al 1994), e i turni di 15 ore al giorno. Inoltre la mancanza di una normativa sulla sicurezza non impegna i produttori in maggiori investimenti o manutenzione, benché in questo modo l’ambiente di lavoro diventi disumano, dato che il rischio d’incendio e di incidenti è altissimo: ogni mese si registrano morti, non ultimi quelli a fine settembre.

 

Dettaglio di piazza in manifestazione pacifica
Dettaglio di piazza in manifestazione pacifica

LA PIAZZA CHIEDE PIÙ DIRITTI – 13 maggio 2013: le ricerche di corpi e feriti nella voragine che ha preso il posto del Rana Plaza si concludono. Il conto è pesantissimo, con 1.129 morti e 2.515 feriti, per lo più donne lavoratrici presso le aziende di pronto-moda presenti nell’edificio. Nelle settimane seguenti decine di migliaia di lavoratori del tessile scendono in sciopero nella regione intorno alla capitale Dhaka per rivendicare aumenti che portino i loro salari ad almeno 5.000 taka, cioè circa 78 dollari al mese, e per maggiore sicurezza nelle officine. Vengono bloccate fabbriche e occupate importanti arterie stradali fino all’aeroporto internazionale. Le risposte della polizia e del patronato non si sono fatte attendere, da una parte con manganelli, lacrimogeni e proiettili di gomma che hanno causato il ferimento negli scontri di almeno un centinaio di lavoratori, dall’altro con la serrata di fabbriche nel distretto di Ashulia. La protesta non si è fermata, anzi, ha ripreso vigore e ha investito altri distretti. Benché i lavoratori siano rientrati in fabbrica sotto la sorveglianza della polizia, le agitazioni non si sono esaurite, soprattutto a seguito dell’arresto di 21 sindacalisti e all’assicurazione di interventi repressivi per il futuro di fronte al rifiuto dei lavoratori alla proposta del patronato di salari da 3000 taka.

 

LA RISPOSTA DEL GOVERNO – Nonostante la promessa del ministro della Pesca Shahjahan Khan di un aumento salariale per novembre, sia la mancanza di un’indicazione concreta di tale aumento e delle trattative per una riforma strutturata, sia il persistere dell’attivitĂ  della polizia nel sorvegliare le fabbriche, impedire gli scioperi e rispondere alle proteste di piazza con la violenza mostrano un atteggiamento alquanto ambiguo nei confronti dei lavoratori. Dal canto suo l’Unione Europea è intervenuta chiedendo che sui contratti tra le aziende committenti dei Paesi membri e quelle produttrici del Bangladesh si inserisca una clausola “sicurezza” sul luogo di lavoro, mentre gli esperti internazionali valutano in 3-5 milioni di dollari la manovra per mettere a norma il settore. Forse si può ricondurre l’ambiguitĂ  del Governo alla paura che maggiori costi possano ridurre la competitivitĂ  e far sì che gli investitori occidentali trovino in altri Paesi nuovi paradisi per le loro produzioni.

 

Maria Sole Zattoni

 

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Maria Sole Zattoni
Maria Sole Zattoni

Desk Officer Assistant in progetti sanitari in Africa per una Fondazione italiana e masterizzanda presso la Scuola di Management SDA Bocconi. Un background giuridico e studi in emergenze umanitarie. Ho maturato esperienze lavorative a livello internazionale nel terzo settore e governativo . Appassionata di cooperazione allo sviluppo e di lingua e cultura araba, non dimentico l’importanza degli elementi macro economici e finanziari nell’analisi e nella risoluzione delle emergenze internazionali complesse.

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