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Dopo le urne i machete: voci di guerra in Burundi

Da Bujumbura – “Se faranno la guerra per cambiare questo governo li supporterò senza esitazioni, spero che non sia solo per il loro interesse”. La violenza come ultima arma rimasta per far sentire la sua voce, per A.Z., giovanissimo militante dell’opposizione che mi confida di riporre le sue ultime speranze per un futuro migliore nella formazione politica FNL. FNL che, secondo la vox populi, dopo il ritiro dal processo elettorale sarebbe impegnato nell’organizzazione di una resistenza armata.

Burundi, 21/10/2010

Dopo mesi di elezioni accompagnate dalle polemiche e abbandonate a metà percorso dall’opposizione (vedi il nostro precedente articolo dal Burundi “Elezioni in Burundi: tra democrazia e (in)stabilità”), il Burundi si trova in preda alle voci di una nuova ribellione.

TRA VOCI E SMENTITE – Difficile distinguere la verità tra assassinii mirati, più di cento giornalisti e militanti in carcere, leader politici in esilio da mesi, e un governo che ha vinto le elezioni tra mille polemiche. Di certo ci sono 16 cadaveri ritrovati sulle sponde del lago Tanganica nelle ultime due settimane (nella foto: il fiume Rusizi, che sfocia nel lago Tanganica): militanti dell’FNL arrestati e uccisi senza processo, secondo le associazioni dei diritti umani. Cui si sommano le decine di morti all’indomani delle elezioni contestate di maggio, e le altre decine denunciate durante il primo mandato del governo in carica. Le voci di una rivolta si moltiplicano tra la gente e sui siti internet, ma la linea ufficiale è che si tratta di banditi armati. Banditi che si nascondono nelle stesse foreste dove si annidavano i ribelli qualche anno fa. Mentre crescono anche misteriose aggressioni e furti ai civili. E se ufficialmente l’esercito ha affermato la sua “unità, neutralità e imparzialità” nella difesa dello stato, salgono le voci di malcontenti e abbandoni tra i militari, motivati, si dice tra i corridoi, da salari bassi, simpatie per l’opposizione, e forse anche tensioni etniche residue tra i ranghi armati.

Chi sia dietro a questi ultimi eventi è ancora poco chiaro: il governo accusa l’opposizione di ricorrere alla violenza per capovolgere l’esito delle elezioni perdute, ma l’opposizione si dichiara perseguitata e contraria all’uso della forza. Anche se, per bocca di qualche leader, dice che “tutto può arrivare”, pur di riprendersi dei voti secondo loro rubati con la frode. Cattivi perdenti o idealisti rivoluzionari? Il governo, intanto, continua la sua deriva autoritaria, rifiutando il dialogo con chi è al di fuori dalle istituzioni, e minacciando (o provocando?) chi si oppone con continui arresti e limitazioni delle libertà fondamentali.  (Nella mappa seguente: incidenti di violenza elettorale tra giugno e ottobre 2010 in Burundi – dal progetto Amatora mu mahoro).

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CHE PROSPETTIVE? – Resta da chiedersi che sostegno darà la popolazione e chi finanzierà questi nuovi ribelli. Vero è che in Burundi la gente è stanca di guerra, ma lo spettro di una nuova dittatura può motivare tanti, dai poveri ai giovani come A.Z. Il denaro è un'altra incognita: non ci sono molte risorse per i dissidenti in questo paese povero, senza miniere, che vive di un’agricoltura di sussistenza. Ma sono poche le ore di cammino che li separano dal Kivu, la regione più instabile del Congo, crocevia di traffici d’armi, gruppi ribelli ancora attivi e mercenari.

Il rappresentante della missione ONU in Burundi ha appena dichiarato che se gli attori politici rifiutano il dialogo “il ritorno alla violenza non è da sottostimare”. Che oltre al sostegno popolare i “banditi” trovino anche le armi e il denaro, questo è il timore, o la speranza, di tanti.

Manuela Travaglianti [email protected] 22 ottobre 2010

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