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Ma quale modello turco?

Focus Egitto – Il paradigma del modello turco sembra essere uno dei prismi più gettonati per analizzare in prospettiva futura l’Egitto. Adesso che Mubarak si è fatto da parte (in misura più o meno spontanea…), cosa rappresenterebbe davvero il modello turco? Più che al modello attuale, rappresentato dal partito islamico al governo e messo a confronto con la Fratellanza Musulmana in Egitto, si dovrebbe ripercorrere la storia e tornare al 1980. Da lì partì il modello turco, con alcune similitudini con l’attuale Egitto

IL MODELLO DELL’AKP? – Mentre il mondo si interroga su quali saranno adesso le prossime evoluzioni della crisi della situazione politica in Egitto, sempre di più aleggia una frase sui media e sui maggiori centri di analisi: “modello turco”. Tale frase era cominciata a girare già prima delle dimissioni di Mubarak dalla Presidenza del Paese e pareva riferirsi più che altro alla forte influenza che il movimento della Fratellanza Musulmana ha sulla società egiziana. Mentre il mondo si divideva in due tra chi considera i Fratelli Musulmani una realtà radicale e volta a raggiungere l’obiettivo ultimo dell’islamizzazione dell’Egitto da un lato e chi, dall’altro, è disposto a dare fiducia al movimento in nome di ideali democratici e in virtù del carattere moderato della Fratellanza, la retorica del modello turco serpeggiava per dare credito a questa seconda opinione. Nello specifico, richiamarsi alla Turchia era un modo per esaltare il governo dell’AKP, il partito di ispirazione islamica al potere ad Ankara e guidato dal Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan, evidenziando gli enormi progressi compiuti dalla Turchia in questi anni dal punto di vista della crescita e dell’apertura economica e della democratizzazione del Paese. Allo stesso modo, si diceva, la Fratellanza Musulmana potrà prendere esempio, anzi in qualche modo ha ispirato, l’AKP, e quindi anche l’Egitto potrebbe avere un governo di matrice islamica, ma integrato nella comunità internazionale, democratico al suo interno e amico dell’Occidente.

NO, QUELLO DEL 1980 – Il modello turco che sembra richiamarsi alla mente adesso, piuttosto, è invece quello del 1980, più che del 2003, anno della vittoria di Erdogan alle elezioni politiche (vittoria che sarebbe stata riconfermata nel 2007). Fino al 1980 la Turchia era un Paese attraversato da profonde crisi politiche, economiche e di sicurezza. Al potere vi era un elite che non aveva ancora aperto del tutto la strada alla società civile e alla dialettica interna e che si serviva dell’Esercito per reprimere, in nome del nazionalismo di stampo kemalista e dell’ossessione della sicurezza, qualsiasi opposizione, fosse essa di matrice marxista o islamista. Nel 1980 qualcosa cambiò: vi fu l’ennesimo colpo di Stato ad opera dei militari, contro elementi della sinistra ormai arrivati ad essere fin troppo influenti nella vita politica del Paese e contro l’islamismo sempre visto come una minaccia. Ma, per una volta, tale colpo di Stato sarebbe risultato (dopo i due precedenti, negl ianni ’60 e ’70) funzionale alla costruzione di una nuova Turchia. Da lì sarebbe arrivato al potere, nel 1982, Turgut Ozal, colui che avrebbe aperto il Paese all’economia esterna e al processo di democratizzazione interna.

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L’ONDA LUNGA DEL GOLPE – E’ da quel momento che si è propagata l’onda lunga dell’inclusione all’interno del panorama politico turco di tante anime diverse, dalla società civile, al mondo dell’economia e dell’imprenditoria, fino a quell’Islam politico che, attraverso anche una propria evoluzione interna, dopo 20 anni sarebbe arrivato al potere, dove è ancora oggi, a capo di uno dei Paesi più dinamici e in crescita di tutto il mondo e con un successo indiscutubile. Fu quella la vera rivoluzione turca. Dopo la presa di potere dei militari nel 1980 Ankara ratificò una nuova costituzione (da aggiustare, certo, come poi è stato in parte fatto) e da quel momento partì il processo politico, appoggiato dall’Occidente, che avrebbe portato la Turchia a poter porsi come modello per gli altri Paesi mediorientali oggi. Da qui potrebbe partire anche l’Egitto: una transizione guidata e assicurata dai militari, in un simile contesto, sembrava essere comunque inevitabile. Con il giusto appoggio occidentale e con il reintegro di tutte le forze politiche e sociali all’interno del panorama politico interno, forse anche Il Cairo potrà costruire una nuova stagione. In quel caso il modello turco sarebbe stato attuato, ma ciò sarà chiaro solo nel medio-lungo periodo.

 

Stefano Torelli

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