Alla luce dello storico accordo tra le potenze dei 5+1 e l’Iran e in vista della prossima conferenza di Ginevra sulla Siria, l’attenzione sull’Egitto è in costante calo, sebbene le tensioni del Paese in politica interna ed estera non si siano affatto esaurite.
A LENTI PASSI VERSO IL REFERENDUM – Il Paese è in ritardo sui tempi previsti dalla road map tracciata dal presidente ad interim Adli Mansur e dal generale El-Sisi, ministro della Difesa e comandante delle Forze Armate. A oggi avremmo infatti già dovuto conoscere i risultati del referendum sugli emendamenti alla Costituzione approvata nel dicembre 2012 dal deposto Mohamed Morsi, invece si dovrà attendere ancora circa un mese per la consultazione popolare, alla quale dovranno poi seguire le elezioni parlamentari e quelle presidenziali. Se i sostenitori dei militari sono sostanzialmente favorevoli al referendum, i Fratelli Musulmani l’hanno di recente definito una «farsa promossa dai golpisti». Il più recente invito al voto viene invece dai salafiti di En-Nour, i quali sostengono che esso sarà la via per porre fine alla polarizzazione all’interno della società. Il partito aveva già sostenuto la deposizione di Morsi, così come aveva fatto il loro principale sponsor estero, l’Arabia Saudita.
A preoccupare gli attivisti per i diritti umani sono però alcuni articoli della Costituzione sulla quale gli egiziani saranno chiamati a esprimersi, primo tra tutti il 203, che prevede processi militari per i civili accusati di attacchi diretti alle Forze Armate. Il timore è che la norma venga usata contro manifestanti pacifici, giornalisti e intellettuali dissidenti, soprattutto grazie alla scelta di non specificare cosa si intenda per «attacchi diretti alle Forze Armate».
Ognuno sta dunque, più o meno liberamente, esprimendo la propria opinione sullo scenario che va delineandosi. Solo pochi giorni fa, anche il magnate egiziano Nagib Sawiris, fedele amico di Mubarak, sostenitore dei militari e già presidente del consiglio di amministrazione di Wind, si è premurato di indicare come ricetta per la ripresa economica del Paese due anni senza proteste e senza scioperi. Tra la popolazione, però, la tensione è solo in parte allentata. Manifestazioni dei pro-Morsi vengono disperse settimanalmente coi lacrimogeni e molte voci tanto delle proteste anti-Mubarak che di quelle contro il suo successore languono in carcere con l’accusa di aver contravvenuto alle nuove leggi sulle pubbliche adunanze, le quali impongono di fornire un preavviso di tre giorni per ogni corteo, attribuendo alle Autorità la facoltà di vietarle se ritenute una minaccia per l’ordine pubblico.
CRISI DIPLOMATICHE E IMBARAZZI ALL’ESTERO – Anche in politica estera le posizioni egiziane non cessano di destare perplessità. Nelle scorse settimane è scoppiata persino una vera e propria crisi diplomatica tra Il Cairo e Ankara, che ha portato all’espulsione dei rispettivi ambasciatori. È stato proprio l’Egitto a dar fuoco alle polveri il 23 novembre, motivando la scelta col fatto che «il Governo turco sostiene organizzazioni che cercano di creare instabilità». Attenendosi al principio di reciprocità, Ankara ha a sua volta dichiarato l’ambasciatore egiziano “persona non grata”. Da parte egiziana il riferimento agli Ikhwan è palese: le tensioni tra i due Paesi si erano originate infatti proprio al momento della deposizione di Morsi lo scorso 3 luglio. Da quel momento il primo ministro turco Tayyp Erdogan si è sempre espresso negativamente sull’operato dell’esercito egiziano e ha dichiarato che «mai rispetterà coloro che prendono il potere attraverso un golpe militare». Già nei mesi scorsi Erdogan non aveva esitato a biasimare l’Occidente, Israele e gli Stati arabi per il silenzio sulla destituzione di Morsi.
EL-SISI NUOVO NASSER? – Sebbene l’attenzione globale sul Paese sia oggi in calo, non mancano alcune analisi sulla politica interna ed estera di El-Sisi, detentore di ampio potere decisionale accanto al presidente Mansour. Molti analisti ritengono che El-Sisi abbia imboccato una via marcatamente nasserista dal punto di vista politico ed economico. A ben guardare, le similitudini tra il Generale e Gamal ‘Abd El-Nasser appaiono in realtà soltanto parziali e inerenti a questioni di forma più che di sostanza: risulta tendenzioso per esempio vedere in El-Sisi un anacronistico rappresentante dei Paesi non-allineati basandosi su poco più che l’aneddotica, di cui è esempio la famosa telefonata di Obama dopo la deposizione di Morsi, alla quale il Generale si sarebbe audacemente rifiutato di rispondere. Sull’eventualità di candidarsi alle presidenziali del 2014 El-Sisi non si è finora sbilanciato, lasciando intendere che non lo farà, senza però escludere categoricamente tale possibilità.
Al di là della figura del Generale, ciò che appare certo è che la distribuzione del potere in seno alla società egiziana non sia cambiata sostanzialmente dall’era pre-Mubarak. I militari ne detengono una porzione immensa, condividendolo a livello sociale con la Fratellanza, indebolita, ma non annientata. I liberali non hanno di fatto alcuna autonomia e, secondo la felice immagine fornita dall’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fisher «stanno sulle spalle dei militari». Tutto ciò secondo molti rappresenta la fine della Primavera egiziana.
TRISTI PRIMATI IN CAMPO SOCIALE – La Primavera sembra da tempo finita anche in campo sociale, con nuovi e vecchi primati sulla diffusa violenza di genere. Durante l’anno che va terminando Il Cairo è stata eletta capitale araba delle molestie sessuali, nonché Paese col più alto numero di mutilazioni genitali femminili, le quali, secondo un recente rapporto dell’UNICEF, interesserebbero il 91% delle donne egiziane. Riguardo alle molestie sessuali, una ricerca condotta dal Centro Egiziano per i Diritti delle Donne rivelava già nel 2010 che quasi metà delle egiziane e delle straniere in Egitto è quotidianamente vittima di abusi che vanno da commenti offensivi per strada, a pedinamenti, ad aggressioni vere e proprie.
L’instabilità generatasi all’inizio del 2011 non ha fatto altro che aggravare questo fenomeno, in particolare nei periodi di maggiore latitanza delle Forze dell’Ordine dalle vie cittadine, anche se moltissime voci hanno condannato abusi e molestie perpetrati proprio da polizia e militari contro alcune manifestanti. Quel che è certo è il fatto che i molestatori possano ancora contare, oggi come prima del 2011, su un elevatissimo grado di impunità. L’Egitto è ora in attesa di conoscere la nuova Costituzione, di creare un nuovo Parlamento e di tornare a eleggere con consultazioni democratiche il proprio Presidente della Repubblica. Tra la popolazione è diffusa l’impressione che la Primavera sia finita senza divenire estate. Eppure, al di là delle opinioni politiche, c’è chi ancora fa proprie le parole del grande poeta dei poveri Ahmed Fuad Negm, morto lo scorso 3 dicembre dopo che i suoi versi contro ogni forma di dittatura sono stati per tre anni declamati nelle vie del Cairo e scritti sui muri della città: «L’uomo coraggioso è coraggioso, il codardo è codardo, scendi col coraggioso, scendi in Piazza».
Sara Brzuszkiewicz