Miscela Strategica – Apriamo un dossier piĂą approfondito sulla crisi in Ucraina. Il conflitto regionale, a causa degli interessi in gioco, ha ora coinvolto l’intera comunitĂ internazionale. Le posizioni sono diversificate, spicca tra tutte il confronto tra Stati Uniti e Russia, ma gli effetti della tensione arrivano molto lontani, in Cina per esempio.
In una nuova carrellata di interventi dei nostri analisti, allarghiamo lo sguardo sulla vicenda per comprendere il ruolo di tutti gli attori di primo piano coinvolti.
GLI SVILUPPI DELLA VICENDA – La reazione internazionale alla crisi ucraina continua ad essere lenta e poco efficace: nella mattinata di oggi a Roma si è svolta una riunione informale alla Farnesina a cui hanno partecipato i ministri degli esteri di Stati Uniti, Italia, Francia e Germania – oltre al viceministro britannico – per coordinare le posizioni prima del Consiglio europeo straordinario di Bruxelles in programma sempre oggi  a mezzogiorno.
L’Unione Europea, inoltre, ha deciso di bloccare i beni all’estero del presidente ucraino deposto Viktor Yanukovich, e di altri 17 membri del suo entourage, sospettati di appropriazione indebita di fondi pubblici.
Sul fronte ONU, tornerà a riunirsi proprio oggi, per la terza volta dall’inizio della crisi, il Consiglio di Sicurezza, il cui esito sarà scontato e inconcludente, visto che la Russia è membro permanente con diritto di veto.
In precedenza, lo ricordiamo, Germania, Gran Bretagna e Usa hanno minacciato di non partecipare al vertice G-8 previsto a Sochi il prossimo giugno.
La condanna più dura è arrivata dagli Stati Uniti che hanno interrotto ogni collaborazione economica e militare con Mosca, inviando il 4 marzo il segretario di Stato John  Kerry a Kiev con la promessa di un miliardo di dollari di aiuto all’Ucraina, la cui economia è gravemente compromessa e legata a risorse finanziarie finora concesse dalla Russia.
La comunità internazionale non sembra seguire con la giusta velocità l’aggravarsi della situazione, visto che questa mattina il Parlamento della Crimea ha votato all’unanimità per la secessione da Kiev e l’annessione alla Russia.
Secondo il leader del Cremlino Vladimir Putin, la deposizione del presidente ucraino Viktor Yanukovich , privo ormai di un futuro politico, è avvenuta con un’azione incostituzionale e armata – un vero e proprio colpo di Stato –  per questo motivo la Russia “si riserva il diritto di ricorrere a tutti i mezzi per proteggere i russi in Ucraina”.
E’ questo il messaggio alle diplomazie coinvolte, ribadito in conferenza stampa il 4 marzo scorso, quando ormai le forze militari russe avevano ampiamente consolidato la propria posizione in Crimea.
Il presidente russo, dissimulando le carte in tavola, ha ancora affermato che non sarebbero di Mosca i soldati che circondano le basi militari della penisola ucraina, la cui identificazione è difficoltosa per la mancanza di distintivi nazionali e insegne.
La ferma posizione del Cremlino ha irritato, tra l’altro, la cancelliera tedesca Angela Merkel che, secondo indiscrezioni, a telefono con il presidente americano Barack Obama avrebbe commentato come irrazionale il comportamento di Putin, privo di “contatto con la realtà ”.
Il presidente russo, invece, sembra muovere attentamente le sue pedine con provocazioni e distensioni in modo da arrivare con una posizione di forza al referendum sulla secessione dall’Ucraina, indetto dal nuovo governo filorusso della Crimea per il 30 marzo prossimo ed ora anticipato al 16 del mese.
Infatti risale al 3 marzo l’ultimatum, poi smentito, del comando della flotta russa del Mar Nero indirizzato alle forze ucraine chiamate ad arrendersi entro le 4 di mattina del giorno successivo. Come un gesto distensivo, Putin ha ordinato la fine delle esercitazioni in corso dal 26 febbraio nei distretti centrale e occidentale del Paese, anche ai confini con l’Ucraina: i reparti impegnati dovranno  rientrare nelle loro sedi entro il 7 marzo. Le manovre militari avevano allarmato il governo ad interim di Kiev che nel frattempo aveva richiamato i riservisti.
Disinformazione e confusione sono ampiamente utilizzati per nascondere nell’immediato le mosse del Cremlino e alcune informazioni, di fonte governativa, devono essere attentamente valutate come quella in base alla quale in Crimea circa 5.500 militari ucraini sarebbero passati dalla parte dell’esercito “senza insegne”.
Contemporaneamente la Russia ha testato il lancio di un missile intercontinentale – un RS-12M Topol, SS-25 secondo la classificazione Nato – lanciato dal cosmodromo di Kapustin Yar vicino a Volgograd, nella regione di Astrakhan. Secondo l’agenzia di stampa russa Ria Novosti, sarebbero stati pianificati due ulteriori lanci nel mese di marzo. Gli Stati Uniti hanno negato che questi lanci possano costituire una provocazione, ma è chiaro che il loro naturale svolgimento non favorirà i rapporti internazionali estremamente tesi.
Si procede con una sorta di gioco dell’oca: un passo avanti verso la distensione e due passi indietro verso posizioni rigide, circostanza che fa intuire una soluzione ancora lontana della crisi.
Non bisogna dimenticare, inoltre, come ai sensi del Il Memorandum di Budapest del 5 dicembre 1994 – sottoscritto dalla Federazione Russa, dal Regno Unito, dagli Stati Uniti e dall’Ucraina – Kiev aderì al Trattato di non-proliferazione nucleare, trasferendo alla Russia il suo arsenale atomico presente sul territorio, e i contraenti riconobbero la sua integrità territoriale nell’ambito dei confini esistenti, Crimea inclusa. Quest’integrità è ormai sempre più compromessa.
La Russia sta giocando una partita internazionale difficile, aspettando probabilmente una pronuncia “popolare” per giustificare l’annessione de facto della penisola e innescando inoltre un effetto “domino” pericoloso, difficile da controllare. E’ questo il caso del Consiglio regionale di Odessa, cittĂ dell’Ucraina meridionale sul mar Nero, e del palazzo del governo di Donetsk – roccaforte del deposto presidente Yanukovich – occupati nei giorni scorsi da centinaia di manifestanti filorussi.
Francesco TucciÂ
LA BATTAGLIA PER L’ENERGIA – La partita geopolitica dell’energia tra Russia, Ucraina e UE si è arricchita di altri elementi quando Alexei Miller, AD di Gazprom, ha annullato ogni accordo di sconto al prezzo del gas fornito a Kiev, riportandolo a 400$/mmc da 268,5$/mmc. Nel 2008-2009, quando successe qualcosa di analogo dopo la vittoria della “Rivoluzione Arancione” di Viktor Yushenko e Yulia Timoshenko il risultato fu che l’Ucraina rifiutò di pagare e la Russia chiuse i rubinetti, con ripercussioni in tutta Europa. SuccederĂ di nuovo? Al di lĂ delle decisioni ucraine, la situazione è oggi molto differente. L’Europa continua a importare circa il 30% del suo gas dalla Russia, ma la Germania, uno dei maggiori importatori, può permettersi di ignorare quasi ogni disputa Mosca-Kiev grazie al North Stream che corre sotto il Mar Baltico e che costituisce il suo canale preferenziale privilegiato. Il risultato è che oggi solo il 50% del gas russo verso la UE passa per l’Ucraina (era l’80% nel 2009).
L’Ucraina rimane un passaggio critico per nazioni come Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Austria, Italia e Romania. Eppure oggi tale problema rimane minore. Perché? Innanzi tutto paesi come l’Italia importano anche da altre fonti (Nord Africa e Mare del Nord ad esempio). Poi l’inverno sta finendo, e quindi la richiesta di gas, già ai minimi per effetto della crisi industriale, nei prossimi mesi scenderà considerevolmente. Si aggiunga che tutti questi paesi godono ancora di forti riserve nazionali che sono impiegabili in caso di scarsità . Infine è sempre possibile un’ulteriore riduzione di emergenza dei consumi a livello industriale se necessario.
Il risultato è che ognuno di questi paesi può resistere anche 2-3 mesi se anche non arrivasse più nulla dalla Russia tramite l’Ucraina, ovvero potrebbe passare tranquillamente l’estate, tempo sufficiente per vedere una soluzione delle tensioni.
Il che ci porta alla seconda valutazione: alla Russia conviene chiudere l’invio di gas? Potrebbe essere usata, come già detto, come una “punizione” per gli Europei che appoggiano il nuovo governo ucraino, ma avrebbe dunque effetti limitati e la Russia ha altrettanto bisogno del denaro europeo di quanto l’EU abbia bisogno del gas russo. In questo braccio di ferro infatti si innesta una valutazione strategica di lungo termine: la Russia ha un’economia che dipende fortemente dai proventi degli idrocarburi e rinunciandoci oggi rinuncia a fondi importanti: non può permettersi di farlo a lungo.
Ma non solo: proprio la crisi del 2009 portò l’EU a cercare vie di approvvigionamento alternative costringendo la Russia a promettere maggiore affidabilità . Che succederebbe se, per esempio, gli USA decidessero di esportare il proprio shale gas (via LNG) in Europa? O se l’Europa intraprendesse un forte programma di costruzione di rigassificatori (per importare LNG da tutto il mondo)? La Russia sta già rendendosi conto che l’Europa non rimarrà dipendente per sempre, e sta già espandendo la sua capacità di esportazione verso est (Cina e Asia), ma ci vorranno ancora anni per invertire la tendenza. Per ora il suo incubo peggiore è rimanere piena di gas ma con pochi clienti, o con clienti non disposti a pagare abbastanza. Se ciò succederà o meno, dipenderà anche dalle proprie scelte. Non può più tirare troppo la corda sul gas.
Lorenzo Nannetti
BERLINO E MOSCA – Rispetto ad altri politici occidentali, nella crisi russo-ucraina Angela Merkel ha tenuto un atteggiamento piĂą diplomatico, non rappresentato del tutto dall’affermazione sull’estraneitĂ di Vladimir Putin alla realtĂ . Sull’eventualitĂ di escludere la Russia dal G8 o di boicottare la prossima riunione del gruppo a Sochi, per esempio, la cancelliera è stata molto scettica, replicando direttamente alla proposta statunitense. Certo, non c’è da stupirsi, visti i dati economici che uniscono Berlino e Mosca: il 35% del petrolio necessario alla Germania arriva dalla Russia, così come il 40% del gas, con importanti progetti condivisi tra i due Paesi.
Per di più, oltre 6mila aziende tedesche investono circa 22 miliardi di euro nella Federazione russa: un volume che rende Berlino il terzo partner commerciale di Mosca. Tuttavia, i rapporti sono assai stretti anche dal punto di vista geopolitico, considerato innanzitutto che, di fatto, la Germania e la Russia condividono in modo quasi paritario una certa influenza sull’Europa orientale, fondamentale soprattutto all’economica tedesca. Non è un mistero che il Paese ad aver tratto il maggior giovamento dal crollo del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica sia la Germania, la quale, piuttosto che la pace in senso assoluto, ha la priorità di mantenere un equilibrio tra i forti legami con la Russia e l’assicurazione di tranquillità a Est, laddove Kiev è da leggersi come Riga, Tallinn, Vilnius o Varsavia.
Nonostante non vi sia poi una grande amicizia tra Putin e Merkel, è fondamentale per la Germania scegliere con la Russia toni concilianti e non aggressivi, poiché la penetrazione tedesca nell’Europa orientale è prettamente una questione di soft power – non di smart, ma proprio di soft power, – che il realismo muscolare di Mosca può far vacillare anche solo proiettando l’ombra di un carro armato di carta. Un aspetto delicato, però, è che, considerando le difficoltà di Bruxelles in politica estera, quando si parla dello spazio europeo ex-sovietico, la posizione tedesca rischia di essere intesa per esclusione la posizione di fatto dell’Unione.
Beniamino FranceschiniÂ
IL RUOLO DELLA CINA – Nell’evolversi della situazione in Crimea di questi giorni, in molti si sono chiesti cosa ci sia dietro il silenzio o poco piĂą di Pechino. “E la Cina, da che parte sta?” La risposta a questa domanda è la stessa che si potrebbe declinare per diverse situazioni: “Dalla sua, ovviamente”. Proviamo a spiegarci un po’ meglio. Da una parte, uno dei principi cardine della politica estera cinese è quello della non interferenza negli affari interni dei vari Paesi.
La dichiarazione ufficiale, in questo caso, del portavoce del Ministero degli Esteri Qin Gang parla di una Cina che “rispetta l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”. Certo, nello stesso tempo non è grande mistero che tra Pechino e Mosca vi siano relazioni strette, e quando il Ministro degli Esteri russo Lavrov parla di punti di vista “largamente coincidenti” tra i due Paesi sul tema Ucraina, in seguito ad una telefonata con il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, è possibile che calchi un po’ la mano, ma neanche troppo.
In ogni caso, la Cina ha tutto l’interesse in questo momento di non esporsi troppo, di non schierarsi apertamente, ma nello stesso tempo di “prendere nota” di quanto sta avvenendo, ricordandosene per eventuali necessità future. Una volta di più, Pechino registra che nel mondo di oggi chi fa la voce grossa e se lo può permettere, difficilmente incontra ostacoli concreti da parte della comunità internazionale. E se tra questi vi è un Paese come la Russia che ha il Pil della California, figuriamoci la Cina. E quindi, il giorno che Pechino deciderà di affrontare con maniere forti eventuali dispute che avverranno all’interno del Paese (ad esempio con Tibet e Xinjiang) o all’esterno (confini instabili con l’India, isole Senkaku/Diaoyu con il Giappone) ancor più difficilmente ascolterà l’opinione della comunità internazionale, consapevole che, per fare un paragone, chi passa col rosso guidando un Suv non rischia sostanzialmente alcuna multa.
Questo non vuol dire prevedere conflitti nel breve periodo che vedano un coinvolgimento cinese. Ma se consideriamo che il Premier cinese Li Keqiang ha appena dichiarato che il budget per la Difesa aumenterĂ del 12,2% nel 2014 con 808,23 miliardi di yuan (132 miliardi di dollari, dato ufficiale che da sempre gli Usa considerano sottostimato) e che contrariamente alla prassi l’attuale Presidente della Repubblica Popolare Xi Jinping – ritenuto particolarmente vicino agli ambienti militari – ha ottenuto la carica di Capo della Commissione Militare Centrale del Paese con circa un anno di anticipo, avendo dunque un maggiore potere politico-militare nelle proprie mani, non è difficile prevedere un maggiore investimento militare ed una maggiore assertivitĂ cinese nelle relazioni internazionali.
Alberto RossiÂ
SE MOSCA ATTACCASSE… – Una questione che è sorta in questi ultimi giorni di crisi in Crimea è quella delle eventuali mosse di Kiev se Mosca invadesse davvero la regione. Finora vi sono stati parecchi reports, mai del tutto confermati, riguardo a voli cargo russi nei cieli ucraini e addirittura di sconfinamenti da parte di aerei da caccia. In caso di invasione vera e propria le forze armate ucraine difficilmente sarebbero in grado di opporre una resistenza credibile senza supporto esterno. Innanzitutto, le forze di terra sono divise in tre comandi macro-regionali: Comando Operativo Occidentale, Comando Operativo Meridionale e Direttorato Territoriale Nord.
Il Comando Meridionale comprende l’est del Paese e la Crimea, ovvero le zone a maggioranza russofona. La lealtĂ di queste forze a Kiev è tutta da dimostrare. Nel loro complesso, le Forze Armate ucraine sono equipaggiate con mezzi e armi di origine sovietica. Solo le forze di terra (che controllano anche la contraerea) costituiscono un deterrente a un’eventuale invasione russa, ma la loro capacitĂ di resistenza sarebbe inficiata dall’insufficiente copertura aerea. L’aeronautica ucraina, infatti, schiera un numero di caccia (Su-27 e Mig-29) non in grado di contrastare le forze aeree di Mosca nel medio periodo. In base a questi dati, Kiev necessita di un forte sostegno, quantomeno politico ed economico, da parte dell’Occidente per fronteggiare la minaccia russa. Per prima cosa, se i Paesi europei e gli Stati Uniti permettessero ai russi di invadere la Crimea creerebbero un pericolosissimo precedente.
Qualsiasi Stato potrebbe giustificare un’invasione di un Paese limitrofo con lo scopo ufficiale di “proteggere” gli abitanti parlanti la stessa lingua. Inoltre, dopo essersi dichiarati a favore delle proteste in Ucraina e della cacciata di Janukovyc, abbandonare il neo-alleato ucraino non gioverebbe alla loro credibilitĂ internazionale, giĂ compromessa in altri teatri, tra i quali quello siriano.
Al momento attuale, l’unica azione possibile è un operazione di pattugliamento aereo che eviti l’arrivo in Crimea di forze russe via aria, con i caccia ucraini intenti ad eseguire la cosiddetta denyflight sopra lo spazio aereo nazionale. Rimane l’incognita sulla fedeltĂ al governo di Kiev di parte dell’aeronautica.
Emiliano BattistiÂ
SE KIEV ATTACCASSE… – Cosa accadrebbe se Kiev continuasse con la mobilitazione e si aprissero le ostilitĂ ? Come reagirebbe Mosca? Dal punto di vista militare, le speranze degli ucraini di poter resistere alle forze armate russe non sono elevate. Ciononostante non è tra le opzioni del Cremlino invadere l’intero Paese in risposta ad una provocazione, tantomeno ad un eventuale incidente che potrebbe accadere.
Da un lato, la motivazione stessa che ha portato all’occupazione della Crimea (e che con grande probabilità giustificherebbe un maggiore coinvolgimento nel Paese), vale a dire la protezione dell’etnia russa, limita l’azione russa alla zona meridionale ed orientale dell’Ucraina, dove questa etnia è maggiormente presente. Dall’altro lato, non sarebbe conveniente per i Russi penetrare oltre le aree a maggioranza russa, poiché l’occupazione che ne seguirebbe sarebbe alquanto difficoltosa: le tensioni che già si registrano nella penisola di Crimea sarebbero accentuate nella parte occidentale dello Stato ucraino e l’ostilità della popolazione maggiore; il che potrebbe portare a manifestazioni di protesta contro gli occupanti anche piuttosto accese e a forte rischio di episodi di violenza.
La penetrazione russa si limiterebbe, quindi, alle aree dell’Ucraina con una robusta presenza russa, con delle truppe che potrebbero però spingersi verso Kiev, allo scopo di esercitare pressioni sulle autorità . Verrebbero occupate il più velocemente possibile le città più importanti nelle quali già si sono manifestate manifestazioni a favore della Russia, quali Kharkiv, Donetsk e Odessa, in collaborazione con gruppi para-militari locali, così come già avvenuto in Crimea.
Ciò che non deve darsi per scontato è l’intento della Federazione di creare una secessione di una parte dello Stato ucraino, o addirittura annetterla. Nel primo caso, Mosca stessa appoggerebbe movimenti indipendentisti su base etnica che essa stessa avversa al proprio interno (si pensi a Dagestan, Cecenia, Inguscezia), fornendo implicitamente una legittimazione all’azione di questi ultimi.
Nel caso dell’annessione, come ha evidenziato anche Timothy Snyder in un articolo per Foreign Policy, si creerebbe un pericoloso precedente, che potrebbe ritorcersi, in un sicuramente non vicino futuro, contro la Russia stessa; basta rivolgere lo sguardo all’estremo oriente della Federazione, dove i Russi sono pochi e molti invece gli abitanti Cinesi… Con considerazioni di questo tipo, l’ipotesi che Mosca continui a cercare una soluzione che mantenga una Ucraina unita e che non si allontani continua a rimanere valida.
Matteo Zerini
LA NATO E LA RUSSIA – Gli sviluppi della crisi in Ucraina hanno portato al confronto diretto tra Stati Uniti e Russia. In termini piĂą generali si è assistito, dopo tanto tempo, al montare della tensione tra la Russia e i Paesi della NATO, anche se con sfumature diverse e con posizioni non univoche. Qualcuno ha riproposto l’immagine di una nuova Guerra Fredda, ma le dinamiche che si sono delineate non hanno nulla di simile ai confronti passati. Piuttosto, ciascuna forza politica in campo ha cercato di farsi valere sfruttando i propri punti di forza, dissimulando le debolezze, e tentando goffamente di portare l’avversario sul proprio terreno di scontro preferito, senza successo.
La Russia sembra aver conseguito il proprio obiettivo politico: forzare le parti coinvolte al tavolo dei negoziati, possibilmente con Mosca in posizione di forza. La crisi creata “manu militari” permette a Putin di sfruttare le debolezze e le divisioni interne della NATO e del blocco occidentale in genere, particolarmente evidenti quando si “arriva ai triarii”.
Tuttavia Mosca è un gigante dai piedi d’argilla. La situazione economica e politica del Paese è precaria e campagne militari intense e prolungate non sarebbero sostenibili nel medio-lungo periodo. Inoltre eventuali sanzioni economiche sarebbero un disastro per le attivitĂ economiche e finanziarie russe, che dipendono pesantemente dalle relazioni commerciali e dagli accordi con l’estero (tra cui anche Cina, Germania, Giappone, Corea del Sud, India, Australia). Il tavolo dei negoziati è quindi la soluzione piĂą conveniente a Mosca in questo momento, ora che ha le carte in mano per ottenere buone condizioni e, possibilmente, forzare Unione Europea e Stati Uniti ad arrestare il proprio progetto di ulteriore espansione ad est. Non da ultimo, la bolletta che l’Ucraina ha maturato nei confronti della Russia (gas, aiuti, finanziamenti) ha cifre da capogiro, dell’ordine delle decine di miliardi di euro. Appropriarsi delle sorti ucraine significherebbe anche non rientrare piĂą di quanto speso.
Se a pagare, invece, fosse l’UE o Washington, la Russia uscirebbe dalla crisi perdendo un altro pezzetto di Europa orientale – vedremo se simbolicamente o fisicamente – ma profumatamente rimborsata.
La NATO, nella sua versione 3.0, trascura da tempo la possibilitĂ di un conflitto simmetrico ad alta intensitĂ e di lunga durata. Per esser chiari, la NATO Response Force, e comunque le forze congiunte dei Paesi che compongono l’Alleanza, continuano a garantire una potenza di fuoco impressionante. Le sue capacitĂ complessive sono però in declino da anni, in seguito ai pesanti tagli che i Paesi occidentali hanno operato sui loro strumenti militari.
Con l’assenza del nemico convenzionale numero uno, il Patto di Varsavia, e terminate le operazioni sui Balcani, la NATO è divenuta uno strumento meno militare e piĂą politico, soprattutto nella gestione del complesso conflitto in Afghanistan (es.: il processo di creazione e gestione dei PRT). La reazione all’operato russo in Crimea non è stata pronta nĂ©, tantomeno, corale. Poca reattivitĂ , scarsa visione comune e timori di ogni genere attagliano l’Alleanza, che non ha saputo trovare una risposta immediata all’iniziativa di Mosca, peraltro prevedibile. Nel complesso pesa anche lo sganciamento americano dal continente europeo per focalizzarsi sulle nuove prioritĂ strategiche statunitensi, che auspicano un’Europa piĂą responsabile per quanto attiene alla propria autodifesa e il progressivo spostamento (giĂ in atto) delle forze di prima linea in Asia e nel Pacifico.
L’Ucraina riveste per gli Stati Uniti importanza marginale, con buona pace di chi conta soldatini e aerei per cercare qualche barlume di confronto bipolare. Ovviamente Washington ha i propri interessi in Ucraina, ma fisiologicamente al proprio ruolo di superpotenza con interessi globali. Non c’è dunque un “quid” che farebbe imbracciare le armi agli statunitensi. Anche per gli USA, meglio il piano politico-diplomatico. E così la diplomazia a stelle e strisce si è focalizzata su sanzioni prettamente economiche. Anche qui, però, non è tutto oro quello che luccica. Se è vero che la Russia ha il fianco scoperto, dall’altra uno scossone economico sui mercati internazionali, conseguente le sanzioni, colpirebbe come un boomerang gli stessi Paesi occidentali. In maniera lieve, ovvio, ma sufficiente a vanificare i timidi segnali di ripresa che il 2014 promette.
Una considerazione finale: non va sottovalutata l’importanza del Governo di Kiev nella vicenda, tenuto presente lo stato delle cose. Se la “nuova Ucraina” passasse davvero all’azione contro la Russia nei prossimi giorni, gli equilibri finora delineati verrebbero nuovamente sconvolti e non è detto che si possano ripristinare in tempi brevi, a dispetto del fatto che da un conflitto aperto sia i Paesi NATO che la Russia uscirebbero politicamente ed economicamente malconci. Insomma, nessun patema di conflitto mondiale, ma tanta preoccupazione per le conseguenze di eventuali decisioni poco ponderate da parte di uno o piĂą degli attori internazionali coinvolti.
Marco Giulio Barone
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