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Tanzania: sopravvivere al cambiamento climatico

Analisi – In Tanzania l’agricoltura rappresenta il 60% del PIL e impiega l’80% della forza lavoro. Tuttavia la sopravvivenza del settore è messa a dura prova dalle temperature sempre più elevate.

IL CLIMA CHE CAMBIA

Le oscillazioni climatiche sono, da sempre, una peculiarità del complesso sistema terreste. A partire dalla rivoluzione industriale, però, abbiamo assistito a una costante crescita delle temperature, che negli anni più recenti si è inacutita e ha fatto accendere il dibattito politico e scientifico circa le possibili cause. La maggior parte di scienziati, climatologi e organizzazioni mondiali sta confluendo verso l’idea che alla base del riscaldamento globale ci sia la sempre più crescente concentrazione nell’atmosfera di gas a effetto serra, derivanti dall’attività umana. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) si ha certezza scientifica sia sul fatto che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è incrementata a partire dalla rivoluzione industriale, sia sull’ aumento che ha interessato le temperature del Pianeta. Pertanto, lo spazio alle speculazioni si può lasciare soltanto per ciò che concerne il possibile rapporto di casualità tra queste due variabili, anche se i sostenitori dell’assenza di correlazione non sono molti.
In Climate Change and Land (IPCC, 2019) è stato dimostrato che dal 1961 al 2013 le aree affette da siccità sono aumentate a un tasso di crescita maggiore dell’1% annuo, con una varietà inter-annuale molto alta. Nel 2015 circa 500 milioni di persone hanno vissuto in aree che sono diventate progressivamente più aride durante il periodo 1980-2000. Questo è avvenuto soprattutto nel Sud Est asiatico e nelle aree contigue alla regione del Sahara, includendo il Nord Africa, l’Africa Centro Orientale e la Penisola Arabica. Le conseguenze di una simile situazione non sono solo fisiche-naturali, intendendo per quest’ultime il deterioramento dei suoli e dei terreni a causa del verificarsi di eventi estremi con maggiore frequenza, ma anche socio-economiche. Secondo il Report dell’IPCC, infatti, gli effetti del cambiamento climatico metteranno a rischio la sicurezza alimentare soprattutto in Asia e in Africa, dove si sentiranno le conseguenze più dure della desertificazione che renderà vastissime aree improduttive, mentre gli eventi estremi avranno effetti potenzialmente distruttivi sui raccolti. È dunque probabile che assisteremo a un aumento dei fenomeni migratori e delle guerre per l’accaparramento di risorse sempre più scarse (terreni produttivi e acqua).

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Fig. 1 – Un tratto desertico in Mauritania piantumato per limitare l’avanzamento delle sabbie

L’AFRICA SUBSAHARIANA NEL VORTICE DELLE ALTE TEMPERATURE

Nell’Africa del Sud (Angola, Namibia, Mozambico, Zimbabwe, Zambia, Botswana e Sud Africa), i risultati di uno studio hanno dimostrato che le temperature medie annue sono cresciute di un range tra 1,5 e 2,5 °C. In particolare, nel periodo estivo si parla di un incremento tra 1,75 °C e 2,25 °C. Questa condizione rappresenta un problema dalle dimensioni decisamente consistenti per un Paese caratterizzato da un’economia prettamente agricola come, per esempio, la Tanzania, dove gli effetti negativi del cambiamento climatico stanno già avendo un impatto sui mezzi di sussistenza delle persone e sui settori dell’economia del Paese. Le frequenti e gravi siccità che hanno coinvolto gran parte del Paese si ripercuotono sulla produzione alimentare e sulla disponibilità d’acqua, condannando così la popolazione all’insicurezza alimentare. L’estremo abbassamento del livello dell’acqua del Lago Vittoria, del Lago Tanganica e del Lago Jipe, verificatosi negli ultimi anni, e la drammatica recessione di 7 chilometri del Lago Rukwa in circa 50 anni, sono associati, almeno in parte, al cambiamento climatico e stanno minacciando le attività economiche e sociali. Inoltre, dal 1912 si è persa una quantità pari all’80% del ghiaccio del Kilimangiaro e si prevede la sua scomparsa totale entro il 2025.
Pertanto, in un quadro di questo tipo, le strategie di adattamento sono un mezzo fondamentale per implementare azioni resilienti che possano garantire la sopravvivenza delle popolazioni più esposte al fenomeno.

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Fig. 2 – Una pozza d’acqua nella Tanzania orientale prosciugata dalla siccità cominciata nel 2016

GLI EFFETTI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO SUL SETTORE AGRICOLO IN TANZANIA

Per comprendere le conseguenze del cambiamento climatico sulla produttività della terra in Tanzania, gli autori dello studio Climate change and total factor productivity in the Tanzanian economy hanno usato un modello matematico per analizzare l’impatto del fenomeno ipotizzando alcuni differenti scenari. In particolare, il modello ne ha simulati quattro: due scenari controfattuali senza cambiamento climatico, crescita bassa e alta TFP (produttività totale dei fattori) e due con cambiamento climatico, crescita bassa, ma elevata TFP. Si è fatto riferimento a un periodo di tempo di 75 anni (2010-2085) e la produzione agricola è stata considerata come una quota del PIL. Si è inoltre ipotizzato una forza lavoro non mutevole nel periodo di tempo considerato e l’impatto del cambiamento climatico è stato definito in termini di declino della produttività della terra piuttosto che delle rese. I risultati hanno dimostrato che l’agricoltura ha registrato una diminuzione importante in tutti e quattro gli scenari, ma molto più consistente negli scenari dove era stata ipotizzata un’elevata TFP: alla fine del periodo considerato, infatti, l’agricoltura rappresentava meno del 2% del PIL negli scenari ad alta TFP, rispetto a circa il 14% negli scenari a bassa TFP.
Ci sono due altri fattori da considerare, connessi al cambiamento climatico, che generano un impatto negativo sul settore agricolo: il primo è relativo al danno causato al raccolto. Le elevate temperature e la diminuzione del tasso di piovosità, infatti, inficiano sia le rese che la loro qualità. Inoltre, piogge sempre più scarse rappresentano un ostacolo non trascurabile per un settore, come quello agricolo, che dipende fortemente dalla disponibilità di acqua (indispensabile non solo per il raccolto, ma anche per il sostentamento del bestiame). Ciò riguarda ancor più la Tanzania: un Paese collocato in una zona geografica a tratti semi-arida, nel quale però l’agricoltura rappresenta il 60% del PIL e impiega l’80% della forza lavoro.
Quest’ultima è il secondo fattore la cui produttività viene ostacolata dal climate change a causa dell’aumento della diffusione della malaria, una delle più comuni malattie nei paesi tropicali.

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Fig. 3 – L’agricoltura rappresenta il 60% del PIL della Tanzania

ADATTAMENTO E RESILIENZA: LE STRADE PER LA SOPRAVVIVENZA

Per quanto si possano ancora trovare opinioni contrastati sull’effettiva esistenza del cambiamento climatico, i dati scientifici e le relative certezze tendono a non lasciare troppo spazio alle speculazioni: stiamo assistendo a dei mutamenti climatici caratterizzati da un’intensità e una rapidità mai viste prima, con conseguenze irreversibili. È lecito, quindi, affermare che il fenomeno determinerà dei vincitori e dei vinti: far parte di una categoria piuttosto che di un’altra dipenderà dalla capacità di adattamento delle singole nazioni, più che dalla possibilità di ostacolare il fenomeno. Decidere quali mezzi utilizzare per adattarsi a una nuova situazione climatica è una questione tutt’altro che semplice: soprattutto per Paesi in Via di Sviluppo come la Tanzania. Questi, infatti, saranno quelli che pagheranno le conseguenze maggiori (nonostante il loro scarso contribuito alle emissioni di gas serra globali), poiché dovranno fronteggiare una domanda di beni alimentari sempre più crescente (a causa dell’aumento della popolazione) con territori sempre più esposti all’aridità. In questo contesto emerge l’importanza – vitale – dell’essere resilienti: lo dimostra il progetto “Ecoboma promosso dalla Fondazione Oikos a stretto contatto con la comunità Masai locale, che si sta dimostrando un virtuoso esempio di adattamento. Implementato in Tanzania subito dopo una siccità senza precedenti, quella del 2017, si è posto il raggiungimento di ambiziosi obiettivi: ottenere una strategia concreta per migliorare la gestione dell’acqua attraverso la costruzione di infrastrutture; portare avanti uno studio approfondito del fenomeno del cambiamento climatico attraverso l’installazione di due stazioni meteorologiche per la raccolta di dati; sostegno alla coltivazione di un particolare tipo di cereale più resistente alla siccità. Inoltre si sta puntando molto anche sul settore della concia vegetale, che permetterebbe sia di diversificare l’economia che di farlo in modo sostenibile.
Un’azione sinergica tra diversi attori, dove la comunità indigena gioca un ruolo fondamentale, sembra essere – ancora una volta – una soluzione vincente.

Serena Sonaglioni

Photo by gunnarmallon is licensed under CC BY-NC-SA

Dove si trova

Perchè è importante

  • L’ultimo Rapporto dell’IPCC ha dimostrato che nel 2015 circa 500 milioni di persone hanno vissuto in aree che sono diventate progressivamente più aride durante il periodo 1980-2000.
  • In Tanzania le frequenti e gravi siccità in molte parti del Paese si ripercuotono sulla produzione alimentare e sulla disponibilità d’acqua, condannando così la popolazione all’insicurezza alimentare.
  • Il cambiamento climatico, nelle regioni già aride e basate prevalentemente sul settore agricolo, sta mettendo a dura prova la sopravvivenza della popolazione locale.
  • Il fenomeno determinerà dei vincitori e dei vinti: far parte di una categoria piuttosto che di un’altra dipenderà dalle capacità di adattamento e resilienza.

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Serena Sonaglioni
Serena Sonaglioni

Mi chiamo Serena, sono nata nel 1992 e la mia vita è divisa tra due terre (le Marche e la Toscana) e la costante voglia di viaggiare. Ho conseguito il diploma di laurea magistrale in Economia dell’Ambiente e dello Sviluppo, presso la Scuola di Economia e Management “Richard M. Goodwin” di Siena: sostenibilità, storia economica e cambiamento climatico sono i temi che più mi interessano. Firenze è il mio posto nel mondo. Tra le pagine de Le città invisibili, ho fatto uno dei più bei viaggi della mia vita.

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