In 3 sorsi – Stallo sulla tassa digitale globale: il raggiungimento di un accordo è rimandato a metà 2021. Nonostante i progressi sul piano tecnico, persistono infatti le divergenze sul piano politico.
1. IL QUADRO DELLA RIFORMA FISCALE INTERNAZIONALE
Dall’inizio del 2019 l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) coordina oltre 130 Paesi nelle negoziazioni finalizzate a riformare il sistema fiscale internazionale alla luce della digitalizzazione dell’economia. Uno dei principali obiettivi è contrastare l’elusione fiscale da parte delle multinazionali digitali (come Google e Amazon), che tendono a trasferire i propri utili in Paesi diversi da quelli dove generano valore, beneficiando così di regimi fiscali più vantaggiosi. Come soluzione l’OCSE promuove l’adozione di nuove norme comuni che consentirebbero agli Stati di stabilire se e quando tassare una multinazionale sulla base del suo rapporto diretto con il consumatore finale, anziché sulla base della sua presenza fisica nel territorio. I contrasti, però, non mancano, specialmente tra chi preme perché tali norme siano vincolanti, come l’Unione Europea, e chi insiste affinché esse abbiano carattere opzionale, come gli Stati Uniti. A giugno 2020, le divergenze avevano addirittura spinto quest’ultimi a sospendere le trattative con i Paesi europei, suscitando dei dubbi sul futuro dell’accordo.
Fig. 1 – Le cosiddette GAFA, ovvero le 4 multinazionali del digitale più grandi al mondo: Google, Apple, Facebook e Amazon
2. PROGRESSI SUL FRONTE TECNICO, MA NON SU QUELLO POLITICO
Dopo lo stallo, nella seconda settimana di ottobre 2020, la vicenda ha visto sviluppi importanti, seppur ambigui. Infatti, se da un lato l’OCSE ha sottolineato i passi avanti sul fronte tecnico, dell’altro ha rimandato il raggiungimento dell’accordo politico – previsto entro il 2020 – a metà 2021. Oltre alle difficoltà nel processo di negoziazione dovute alla pandemia da coronavirus, alla base di questo ritardo rimarrebbero gli interessi politici contrastanti dei Paesi coinvolti. A dire il vero il responsabile OCSE per la politica fiscale, Pascal Saint-Amans, ha affermato di guardare al bicchiere mezzo pieno, poiché il “pacchetto di norme è quasi pronto”. È in questo senso che va compresa la pubblicazione delle relazioni sul primo e secondo pilastro della strategia OCSE, le quali rivelano la convergenza degli Stati membri su vari aspetti tecnici, gettando le basi per l’accordo. D’altro canto, però, secondo il Segretario Generale dell’OCSE Ángel Gurría, se l’impasse politica non viene superata, si rischia l’aumento di misure unilaterali e di potenziali rappresaglie commerciali, con distorsioni del mercato a provocare una riduzione annuale del PIL mondiale dell’1%.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il Segretario Generale dell’OCSE, Ángel Gurría
3. GLI SCENARI: DAI RAPPORTI INTERNAZIONALI ALLA MACROECONOMIA
Un rischio del genere non sembra così remoto, se si considera che alcuni Paesi europei hanno già introdotto la propria tassa digitale (come Italia e Francia) e che gli Stati Uniti, in risposta, hanno minacciato l’imposizione di dazi commerciali ai loro danni. Molto probabilmente, dunque, il futuro dei negoziati dipenderà dall’esito delle elezioni presidenziali americane, che potrebbe provocare un cambiamento nell’approccio di Washington. Da parte sua l’UE aveva affermato che, in assenza di un accordo entro l’anno, sarebbe andata avanti da sola per introdurre una digital tax europea. Più facile a dirsi che a farsi, non solo per l’opposizione di Paesi come Irlanda e Olanda che attraggono le multinazionali del web grazie a regimi fiscali agevolati, ma anche perché le decisioni dell’UE in materia fiscale richiedono il voto unanime dei Paesi membri. Inoltre, data l’attuale pandemia, il tema della regolamentazione fiscale digitale va ben oltre i rapporti transatlantici e interni dell’UE, e tocca questioni macroeconomiche cruciali. Infatti una digital tax internazionale garantirebbe entrate preziose per le casse statali per far fronte all’emergenza sanitaria ed economica – si stima che la soluzione dell’OCSE genererebbe circa $100 miliardi da redistribuire tra i Paesi – e per alcuni, come il Commissario europeo per l’economia Paolo Gentiloni, il fatto che siano proprio le multinazionali del web a uscire vittoriose dall’attuale crisi rende tale misura ancor più doverosa.
Cristiano De Vergori