Le recenti elezioni amministrative turche hanno incoronato nuovamente il partito islamico del premier. Tuttavia, difficilmente questo risultato sarà sufficiente per porre fine all’instabilità politica in cui è precipitato il Paese negli ultimi mesi.
VITTORIA NETTA –L’effetto “boomerang” tanto auspicato dagli oppositori non si è verificato. Nonostante gli scandali di corruzione che hanno scosso l’esecutivo turco, una raffica di intercettazioni telefoniche compromettenti e la messa al bando di Twitter e YouTube, l’Akp di Erdogan ha riportato una netta vittoria nelle elezioni amministrative di domenica. L’importanza di tale appuntamento è andata ben oltre il rinnovo dei Consigli municipali. Non solo perché esattamente vent’anni fa Erdogan iniziava la carriera politica diventando sindaco di Istanbul, ma soprattutto perché il voto è stato trasformato dallo stesso Primo Ministro in un referendum sulla sua popolarità .
I dati hanno dato ragione al “sultano”: il suo Akp ha raccolto il 45% dei consensi su base nazionale, in calo di soli 4,6 punti rispetto allo storico 49,6% riscosso alle legislative del 2011, riuscendo a conservare il controllo dei due principali centri nevralgici, Istanbul e Ankara e imponendosi anche in Anatolia. Dal canto loro, i laici nazionalisti del Chp (Partito repubblicano del popolo) hanno deluso le attese, fermandosi a un misero 28% e conquistando solamente Smirne, terza città della Turchia e loro tradizionale roccaforte. Infine, come previsto, il Partito curdo ha avuto la meglio solo nelle province dell’Anatolia sud-orientale. Alla luce dei risultati, sembra proprio che la maggior parte della popolazione creda all’idea del complotto internazionale ai danni di Erdogan, considerato soprattutto dai più conservatori una figura evidentemente ancora in grado di garantire stabilità politica ed economica al Paese. Si deve dunque riconoscere l’abilità del Primo Ministro nel riuscire a compattare il proprio elettorato storico, musulmano, anatolico e rurale a fronte dell’incapacità da parte dell’opposizione di compattarsi veramente e di conseguire un cambiamento “epocale”.
Ciò detto, resta da capire quale scenario si profila per i prossimi mesi.
VERSO UN MAGGIORE AUTORITARISMO – Superato lo scoglio delle elezioni, i problemi interni alla classe politica turca non sono destinati a scomparire. Anzi, si prevede che le tensioni e la polarizzazione sociale possano aumentare ulteriormente. In effetti, il primo ministro Erdogan non è stato certo conciliante nei confronti dell’opposizione nel discorso tenuto per celebrare il suo ennesimo trionfo: «I traditori della nazione pagheranno per quello che hanno fatto». E ancora: «La politica delle registrazioni e delle cassette è stata sconfitta. I politici immorali hanno perso. Oggi è nata una nuova Turchia». In sostanza, un discorso dai forti toni populistici e ideologici, tipici di un leader sempre più autoritario che ha visto concretamente la possibilità di subire una cocente sconfitta che avrebbe fortemente ridimensionato le sue smisurate ambizioni.
Per queste ragioni, appare probabile che in vista delle elezioni presidenziali di agosto e delle legislative di luglio 2015 si accentuerà notevolmente lo scontro con le forze di opposizione e soprattutto con Fethullah Gülen, oggi ai ferri corti col vecchio alleato al punto da essere ritenuto il principale responsabile della campagna di scandali e intercettazioni che ha investito il Governo Erdogan negli ultimi mesi. Che si respiri un clima di frustrazione è evidente anche dai sanguinosi episodi di violenza registratisi nella giornata elettore di domenica. Il drammatico bilancio finale è stato di almeno otto vittime e trenta feriti negli scontri fra sostenitori di candidati rivali nelle aree rurali delle Province di Hatay e Sanliurfa, al confine con la Siria.
Tutto questo appare assolutamente inaccettabile in un Paese che si definisce democratico. Di conseguenza, in un clima di forte polarizzazione, non si esclude che nei prossimi mesi i più accesi oppositori di Erdogan e dell’Akp inscenino manifestazioni di protesta nelle piazze turche. Allo stesso tempo, l’eventuale pubblicazione di nuove intercettazioni nonostante il blocco dei social media, definiti da Erdogan una minaccia per la sicurezza turca, renderebbe ancor più esplosivo il quadro politico, con gravi ripercussioni per un sistema democratico oggi più che mai fragile, per non dire illiberale.
COSA FARÀ ERDOGAN? – Da ultimo, sarà interessante vedere come il premier sfrutterà l’onda favorevole del successo nelle elezioni amministrative. Erdogan non ha mai fatto mistero di ambire alla carica di Presidente e ha più volte nutrito la speranza di modificare la Costituzione per rafforzare i poteri del capo di Stato, che oggi appare come un ruolo puramente rappresentativo. Tuttavia, l’autoritarismo con cui ha governato nell’ultimo periodo gli ha alienato il sostegno del Partito curdo, indispensabile per apportare i cambiamenti desiderati alla Carta costituzionale. Per di più i tempi e i numeri in Parlamento per una riforma di questo tipo da qui ad agosto non sono sufficienti.
Inoltre, Erdogan per legge non può candidarsi per un quarto mandato consecutivo da premier. Ciononostante, non è da escludere la possibilità che venga modificato lo statuto interno dell’Akp, cosicché gli sarebbe consentito di correre per un quarto mandato da Primo Ministro e di guidare il partito alle prossime elezioni legislative.
A ogni modo, indipendentemente dall’opzione che sceglierà , è evidente come Erdogan si preoccupi principalmente di coronare le proprie ambizioni, più che di trovare una soluzione politica che possa fare della Turchia un Paese di riferimento per il resto del Medio Oriente dal punto di vista democratico.
Mattia Bovi