Sale la tensione in vista del prossimo 5 Aprile in occasione delle presidenziali in Afghanistan. Un mese più tardi, il 14 Maggio, i risultati metteranno fine al mandato Karzai aprendo una serie di scenari complessi e tuttora incerti. Qualora nessun candidato raggiunga oltre il 50% dei voti, bisognerà aspettare il 22 Maggio per il ballottaggio. Ma ciò che l’Afghanistan deve assolutamente evitare è il vuoto di potere.
I RIFLETTORI SONO GIA’ PUNTATI SU KABUL – L’ormai imminente 5 Aprile arriva puntuale a decretare un possibile cambio di rotta nel paese dopo il decennio Karzai e il terribile riaccendersi delle violenze e degli attentati dei mesi scorsi. La precarietĂ delle condizioni di sicurezza non consente di certificare il numero effettivo degli aventi diritto al voto,  (l’ultimo censimento risale infatti al 1979), ma una stima rivela che circa dodici milioni di afgani sono chiamati alle urne per esprimere la loro preferenza e iniziare (pur senza grosse aspettative) una nuova fase.
I CANDIDATI che si contendono la guida della Repubblica Islamica sono nove, quasi tutti accomunati, in misura differente, da un passato di militanza anti-sovietica. Ad una prima lettura pare che l’uno gareggi nell’ombra dell’altro, senza riuscire ad imporsi come probabile vincitore. E’ necessario, quindi, fare un breve richiamo sulle figure principali che corrono alla presidenza.

–Primo tra i favoriti è Abdullah Abdullah, tagiko ex militante anti-sovietico e anti-Taliban affiancatosi al “leone del Panjshir”, il comandante Ahmad Shah Massoud. Fu Ministro degli Esteri durante il primo mandato di Karzai fino a divenire il suo principale avversario politico quando nel 2009 arrivò secondo alle contestatissime e poco trasparenti elezioni presidenziali. E’ sostenuto dalla fazione Hezb-e-Islami (partito islamico nato durante l’invasione di Mosca) e può certamente contare sull’elettorato del suo gruppo etnico, situato in maggioranza nel Nord del paese.

-Ashraf Ghani Ahmadzai, tecnocrate e nazionalista, è stato Ministro delle Finanze ed ex funzionario della Banca Mondiale. Fino alla caduta dei Taliban vive fuori dall’Afghanistan e si forma soprattutto negli ambienti accademici. Ph.D alla Columbia University, docente presso la Berkeley (California) e John Hopkins. Di respiro internazionale, matura un legame con il mondo economico, possibile carta da giocare per far leva sul risanamento delle casse statali. Gode dell’appoggio sicuro del voto delle regioni del Nord Ovest.

–Abdul Rasul Sayyaf, ceppo d’appartenenza pashtun come il precedente, è il piĂą conservatore tra i candidati, esponente di una visione integralista dell’islam e protettore di Osama Bin Laden. Fu un fautore dell’ingresso di Al Qaida in Afghanistan e artefice dei crimini di guerra commessi dopo la cacciata dei sovietici a danno dell’etnia hazara e dei gruppi di fede islamica sciita. Il suo ruolo come comandate di una frangia dei mujaheddin gli ha assicurato un importante seguito popolare nonostante la dichiarata visione radicare della religione islamica e della netta volontĂ di abolire i diritti alle donne.

–Gul Agha Shirzai è stato governatore della provincia di Nangarhar, una regione chiave per i traffici commerciali orientali in quanto corridoio di approvvigionamento per la coalizione internazionale. Il suo nome si lega tristemente ad accuse di corruzione e arricchimento personale grazie alla riscossione delle imposte non autorizzate al confine Afghanistan-Pakistan.

-Zalmai Rassoul, ex Ministro degli Esteri e consigliere per la sicurezza nazionale, d’etnia pasthun. Si rivelò attivo nel cristallizzare l’ordine politico dell’Afghanistan dopo il crollo del regime talebano,  ma soprattutto uomo di Karzai. Attraverso questa figura, il presidente uscente potrebbe rimanere nell’establishment di governo ergendosi a suo alto consigliere. A rinforzare tale ipotesi vi è il ritiro dalla corsa alla presidenza del fratello Qayyum Karzai, per far convergere l’elettorato pashtun senza disperdere i voti a vantaggio del suo uomo fidato. Rassul sarĂ inoltre sostenuto da un altro candidato ritiratosi, un nipote del re Zahir Shah: il giovane Nader Naim. Questi, cresciuto in Gran Bretagna dopo la deposizione del nonno e tornato in Afghanistan solo dopo la caduta dei Taliban, non sembrava avare un vasto seguito, ma porta comunque ulteriore supporto alla causa di Rassoul.
DIETRO AI NOMI – I candidati che corrono alle elezioni presidenziali dimostrano la difficoltĂ del sistema politico di essersi rigenerato. Ex mujaheddin, veterani della guerra civile e del jihad anti-sovietico, ma anche il fedelissimo ex Ministro sostenuto dal presidente uscente, non si contendono soltanto la guida del paese, ma anche il riconoscimento effettivo del loro ruolo da parte del popolo. Il nuovo presidente, infatti, dovrĂ essere in grado di porsi come leader legittimo sia per sviare al pretesto di contestazione del voto, sia per essere un collante di societĂ frammentata e profondamente divisa.
Quanto emerge da questi dati è che il processo democratico sia vittima di una vittoria mutilata. Nessuno dei candidati possiede un forte seguito popolare né sembra capace di attrarre una fetta consistente dell’elettorato afgano che, comprensibilmente con le divisioni etnico tribali, risulta poco coeso e frammentato. La sfida elettorale, con l’ombra ingombrante di Hamid Karzai, non si esaurisce nella competizione dei nove aspiranti presidenti, ma si lega indissolubilmente alla capacità del paese di affrontare un passaggio di potere “democratico” che a una settimana dalle elezioni risulta fortemente a rischio.
Fine prima parte
Giorgia Perletta