Caffè lungo – Durante il recente conflitto tra Armenia e Azerbaijan, Baku è riuscita a riconquistare ingenti sezioni di territorio perso 26 anni prima. L’accordo firmato il 9 novembre dai due Stati, che vede la Russia come garante, ha diviso la de facto Repubblica di Artsakh in aree sotto il controllo di uno o dell’altro Stato, ma vaghe rimangono le linee guida per il ricollocamento degli sfollati, protagonisti di una nuova emergenza umanitaria.
IL LASCITO DELLA GUERRA
La firma dell’accordo di cessate il fuoco ha profondamente modificato gli equilibri geopolitici della Transcaucasia, scardinando i vecchi rapporti di forza tra gli attori impegnati nel conflitto. La Russia, considerata da molti come la vincitrice dello scontro, ha aumentato consistentemente la propria presenza militare nella regione, ottenendo, senza l’impiego militare, ciò che desiderava sin dal 1994: ricoprire il ruolo di peacekeeper nel conflitto del Karabakh. La Turchia, d’altro canto, è riuscita a imporsi come uno degli attori principali nel Caucaso meridionale, specialmente sul piano geopolitico. Aliyev, forte della vittoria, ha rafforzato sensibilmente la leadership in Azerbaijan, venendo considerato dalla popolazione come colui che ha riportato alla gloria il Paese dopo le umiliazioni di 26 anni fa. La debole democrazia armena è invece a rischio, come a rischio è il Governo Pashinyan: verosimile sembra essere la possibilità di elezioni nel 2021. Al contempo però, dietro ai nuovi equilibri geopolitici, si cela una catastrofe umanitaria che conta più di 5mila morti e oltre 130mila profughi. Un’urgente problematica rimane, infatti, il ricollocamento dei vecchi e dei nuovi sfollati. L’accordo firmato a novembre ha delle linee guida approssimative sul tema: c’è scritto che l’UNHCR dovrebbe essere responsabile del rimpatrio, ma l’Organizzazione non è stata consultata né durante la stesura, né durante la firma dell’accordo.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Una donna armena davanti a un negozio di Stepanakert danneggiato dai bombardamenti, novembre 2020
ARMENI SENZA PIÙ UNA CASA
Durante le 6 settimane di guerra circa il 60% della popolazione della de facto Repubblica di Artsakh ha dovuto evacuare la regione: al 9 dicembre 90.640 sono stati gli arrivi registrati in Armenia. La situazione sul numero degli sfollati effettivi rimane però fluida, in quanto molti di questi stanno facendo ritorno nelle zone rimaste sotto il controllo di Yerevan. Al contrario, per chi è dovuto scappare dai territori passati sotto il controllo di Baku, il ritorno sembra molto improbabile. Dopo due mesi dalla fine del conflitto la sicurezza di migliaia di armeni resta, però, una grande preoccupazione: l’accordo non menziona come evacuare in modo sicuro gli abitanti che vorranno abbandonare la regione, ma non ci sono nemmeno disposizioni specifiche riguardo agli armeni che, invece, decideranno di rimanere nei territori ora passati a Baku. Va certamente evitato il rischio di causare un’ondata di rivendicazioni etniche basate sui diritti di proprietà di terre e immobili. La responsabilità di trovare una soluzione a questa problematica, prima che ad Armenia e Azerbaijan, spetterebbe innanzitutto alla Russia. Mosca dovrebbe chiarire l’accordo da lei proposto anche in merito al tema degli sfollati, il quale è strettamente connesso alla possibilità di una pace duratura. Per il momento una pace imposta che lascia nel risentimento una generazione di armeni non è certo la ricetta migliore. Si rischia così di ricreare una situazione speculare a quella che gli azeri hanno vissuto negli ultimi tre decenni.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Famiglie provenienti da Stepanakert, in fuga dalla guerra nel Nagorno-Karabakh, stanno per salire a bordo di un autobus diretto a Yerevan, ottobre 2020
IL SOGNATO RITORNO DEGLI SFOLLATI AZERI
C’è anche un’altra faccia della medaglia: il ritorno degli sfollati azeri. Nel 1994 oltre 80mila azeri dovettero abbandonare le proprie case e rifugiarsi in altri territori dell’Azerbaijan: questo ha rappresentato, sin dall’indipendenza, una ferita aperta nella storia del Paese. Il ritorno degli IDP nella regione contesa è stata anche una delle grandi promesse fatte da Aliyev sin dalla sua prima elezione: una promessa, però, rimasta vaga nell’accordo di cessate il fuoco firmato lo scorso novembre. A gennaio 2020 si contavano più di 652mila sfollati in Azerbaijan e, sebbene l’accordo preveda che gli sfollati interni debbano fare ritorno in Nagorno-Karabakh e nei territori circostanti, l’Azerbaijan non possiede attualmente le infrastrutture adeguate per un’operazione di tale portata. I territori riconquistati, inoltre, non dispongono al momento delle abitazioni necessarie per ospitare più di mezzo milione di persone. Per questi motivi non è chiaro quando avrà luogo il reinsediamento, né quanti sfollati vorranno essere realmente trasferiti. Pochi tra coloro che vogliono fare ritorno nella loro terra di origine hanno idea di cosa troveranno: molte delle case che hanno lasciato decenni fa ora sono rovine, oppure sono state occupate dagli armeni che si trasferirono nell’area agli inizi degli anni Novanta. È però probabile che il Governo azero continui a incoraggiare gli sfollati a reinsediarsi nei territori riconquistati, nonostante l’assenza di infrastrutture e garanzie adeguate per il loro rientro.
Irene Sciurpa
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