Il 1° aprile scorso la NATO ha iniziato una serie di esercitazioni aeree nelle repubbliche baltiche, con la partecipazione aggiuntiva di alcuni caccia da combattimento dell’aviazione svedese. Ufficialmente si tratta di manovre di routine, ma le circostanze particolari della crisi ucraina gli hanno inevitabilmente conferito un nuovo e più grave significato politico-militare.
L’IMPEGNO ATLANTICO – Il ministro della difesa lituano Juozas Olekas ha presentato le esercitazioni come “prova ulteriore” della “solidarietĂ e dell’impegno” dell’Alleanza Atlantica verso i suoi membri piĂą deboli, minacciati dall’espansionismo territoriale di Mosca dopo la recente annessione della Crimea. Un’idea condivisa dal segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, che ha rimarcato piĂą volte nelle sue dichiarazioni pubbliche l’impegno comune dei membri dell’organizzazione nella difesa della sicurezza europea, specialmente in un’area geografica importante e significativa come quella del Mar Baltico.
UNA REGIONE COMPLESSA – Tuttavia le parole di Olekas e di Rasmussen sembrano parzialmente sottovalutare la complessitĂ geopolitica della regione baltica, ben piĂą dinamica e sfaccettata della semplice contrapposizione retorica tra solidarietĂ democratica occidentale e militarismo aggressivo russo. Anzitutto ogni discorso serio relativo alla sicurezza del Mar Baltico non può fare a meno proprio della Russia, che include circa il 12% dell’intera popolazione dell’area ed ha una delle sue cittĂ principali (San Pietroburgo) affacciata direttamente sul Golfo di Finlandia. Inoltre Mosca dispone della piccola ma importante exclave di Kaliningrad, nella ex Prussia orientale, dove ha piĂą volte minacciato di installare parte del proprio arsenale nucleare in risposta all’espansione orientale della NATO nello scorso decennio. Da questo punto di vista Kaliningrad rappresenta una minaccia diretta ai principali membri europei dell’Alleanza Atlantica e complica seriamente qualsiasi strategia militare occidentale nell’Europa nord-orientale.
I piani difensivi della NATO devono poi tener conto delle particolari esigenze di neutrali come Svezia e Finlandia, che hanno scarso interesse a promuovere un forte clima di contrapposizione militare con la Russia. Le ragioni di tale comportamento sono principalmente economiche: il Mar Baltico è infatti una delle aree marittime più trafficate del mondo, circondata da grandi porti internazionali come Copenhagen, Malmo ed Helsinki. Ed al centro di tale traffico ci sono proprio il petrolio ed il gas russi, trasportati da San Pietroburgo all’Europa occidentale anche tramite il nuovissimo gasdotto North Stream, inaugurato in pompa magna da Angela Merkel e Dmitry Medvedev nel novembre 2011. Si tratta quindi di un traffico commerciale importante, che apporta numerosi benefici alle varie economie della regione, soprattutto a quelle scandinave. Non a caso l’ex primo ministro finlandese Paavo Lipponen ha giocato un ruolo chiave nella realizzazione del progetto North Stream, suscitando i malumori di Polonia e Lituania, preoccupate da una possibile crescita dell’influenza russa in Europa settentrionale.
COOPERAZIONE AMBIENTALE –  C’è anche un’altra particolare ragione per cui Svezia e Finlandia sono riluttanti a rompere i propri rapporti amichevoli con Mosca dopo la crisi ucraina, ed è quella della cooperazione in ambito ambientale. Il Mar Baltico è infatti minacciato da gravi forme di inquinamento urbano-industriale ed il traffico petrolifero degli ultimi anni ha notevolmente peggiorato la situazione, contribuendo al degrado di molte coste locali. Nel 2012 il WWF ha pubblicato un voluminoso rapporto sullo stato della regione, lanciando un vibrato allarme sul futuro ambientale delle nazioni baltiche nei prossimi vent’anni. Secondo tale documento è infatti necessario sviluppare una governance ambientale condivisa tra i vari Paesi della regione, amministrando efficacemente le risorse naturali dell’area e limitando l’impatto dei cambiamenti climatici sulle popolazioni locali. In caso contrario il rischo è di accelerare il degrado ambientale del Baltico con gravi conseguenze per tutta l’Europa nord-orientale.
In realtà l’area baltica gode già di un’ampia e solida cooperazione multilaterale su temi ambientali, sostenuta da importanti istituzioni internazionali come la Helsinki Commission (HELCOM) e il Council of the Baltic Sea States (CBSS).  La HELCOM promuove ad esempio numerosi progetti di controllo delle emissioni navali e di difesa della fauna costiera, mentre il CBSS incoraggia lo sviluppo di attività economiche ecocompatibili e programmi educativi regionali sulla tutela del patrimonio ambientale. La Russia ricopre un ruolo centrale in entrambe le organizzazioni e lo scorso anno ha anche tenuto formalmente la presidenza del CBSS, approvando una serie di significative misure relative alla tutela ambientale e allo sviluppo economico della regione. Una sua esclusione da esse come reazione alla crisi ucraina potrebbe compromettere l’intero sistema cooperativo baltico, spingendo la regione verso una pericolosa frammentazione politico-economica.
FRAMMENTAZIONE O INTEGRAZIONE? – Ed e’ proprio tale rischio a spingere Svezia e Finlandia verso un atteggiamento prudente sulla crisi ucraina, mentre la Polonia e le repubbliche baltiche sembrano puntare invece ad una rottura aperta con la Russia in difesa della propria indipendenza nazionale, minacciata dal ritorno militare di Mosca nello spazio post-sovietico. Questa divergenza potrebbe essere fatale all’attuale sistema di integrazione regionale dell’area baltica, complicando anche i rapporti geopolitici interni dell’Unione Europea. E’ chiaro infatti che la Polonia e le repubbliche baltiche guardano alla UE come una forma alternativa di integrazione politico-economica, chiedendo a gran voce un maggiore coinvolgimento dei propri partner occidentali nella governance della regione baltica. Ma questo coinvolgimento tarda ad arrivare, rivelando il relativo disinteresse dei Paesi occidentali verso tale area geopolitica e la loro preferenza per rapporti bilaterali diretti con la Russia a spese degli interessi nazionali dei paesi dell’ex blocco sovietico. Il caso della Germania è parecchio significativo al riguardo, con la costruzione del gasdotto Nord Stream promossa entusiasticamente da Berlino nonostante le vivaci proteste lituane e polacche.
D’altro canto la Svezia guarda con scetticismo all’espansione del ruolo della UE nel Baltico, mentre la Finlandia non vuole rischiare di perdere i suoi rapporti privilegiati con la Russia, specialmente nel difficile clima economico degli ultimi anni. Entrambi i paesi sembrano quindi prediligere il mantenimento dello status quo regionale e di un sistema di integrazione locale favorevole alla loro tradizionale neutralità internazionale. Ma la crisi ucraina minaccia tale programma conservatore, mettendo in discussione i vecchi assetti regionali di una delle zone marittime più importanti d’Europa.
Simone Pelizza