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La conquista di Roma

Caffè 150 – Continua il nostro viaggio nella Storia della politica estera italiana. La tappa di questa settimana descrive le fasi che hanno portato il “neonato” Regno d’Italia alla conquista di Roma, decretando la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale della Chiesa. Ecco le azioni militari e le mosse diplomatiche che hanno consentito il raggiungimento di questo risultato

 

LA QUESTIONE ROMANA – Al pari delle altre tappe del processo di unificazione italiana che l’hanno preceduta, la conquista di Roma è il risultato di un complesso intreccio tra fattori politici interni a quello che il 17 marzo 1861 viene proclamato Regno d’Italia e considerazioni di politica estera. Per quanto riguarda il primo profilo la scomparsa improvvisa del conte di Cavour, il 5 giugno 1861, genera un deficit di direzione politica (R. Martucci) che nessuno dei successori riesce a colmare, complice la volontà del re di impedire la formazione di una premiership stabile. Ed è proprio sulla “questione romana” che tutti i numerosi governi che si susseguono nei primi anni del nuovo Regno – Ricasoli, Rattazzi, Farini, Minghetti, La Marmora – sono destinati a cadere, spesso e volentieri in aperto conflitto con la Sinistra risorgimentale e garibaldina.

 

ITALIA E FRANCIA – Sul piano internazionale l’interlocutore obbligato del governo di Torino – che continua a godere del sostegno diplomatico dell’Inghilterra – è ancora una volta la Francia, che dal 1849 mantiene un proprio contingente armato nello Stato pontificio, in appoggio al piccolo esercito del Papa  composto per oltre un terzo da volontari provenienti da numerosi Paesi europei e non solo. È utile rimarcare che la “minaccia” costituita dalla presenza di qualche migliaio di militari stranieri nell’Italia centrale a difesa del Pontefice è uno dei pretesti – insieme allo scoppio di improbabili moti insurrezionali organizzati ad arte da agenti paragovernativi – di cui il governo italiano si serve per giustificare il proprio intervento armato nei territori pontifici, secondo un copione destinato a ripetersi più volte dal 1860 al 1870.

 

IL “SOSTEGNO” FRANCESE – Il sostegno del Secondo Impero francese a Pio IX, in ogni caso, è ambiguo: Napoleone III è personalmente convinto che il territorio dello Stato della Chiesa debba ridursi al minimo indispensabile, ma deve fare i conti con l‘opinione pubblica cattolica in Francia e con le proprie esigenze di prestigio internazionale. Questa ambiguità fa da sfondo alla campagna militare con cui l’esercito piemontese, al comando dei generali Fanti e Cialdini, nel settembre 1860 invade le Marche e l’Umbria per ricongiungersi con le forze garibaldine impegnate nel Mezzogiorno. L’invasione, che culmina nella battaglia di Castelfidardo (17 settembre) e nell’assedio di Ancona, può contare sull’imbarazzata acquiescenza della Francia, intenzionata a limitare la propria tutela armata al solo Lazio. L’annessione al Regno di Sardegna dei territori così conquistati verrà sancita – come già accaduto nel marzo 1860 per le Legazioni pontificie della Romagna, i Ducati dell’Emilia e il Granducato di Toscana – da plebisciti di tipo bonapartista, i cui esiti sono già scritti in partenza.

 

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INDECISIONI – Due anni più tardi, nell’agosto 1862, Garibaldi – con la benedizione di Vittorio Emanuele II e del presidente del Consiglio Rattazzi – organizza una spedizione armata alla volta di Roma. L’iniziativa rivela tutta l’improntitudine del governo di Torino, che di fronte alla sicurezza di un immediato intervento francese è costretto a fare marcia indietro e a sguinzagliare i generali La Marmora e Cialdini per dare la caccia a Garibaldi: il “tradimento” si consuma il 29 agosto 1862 sull’Aspromonte, con il celebre ferimento del generale nizzardo. A rimediare al grave errore strategico – che costa “la testa” a Rattazzi e al suo governo – provvederà il bolognese Marco Minghetti il quale, grazie all’abilità del giovane ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta, otterrà un rilevante successo diplomatico con la Convenzione di Settembre (15 settembre 1864). L’accordo prevede l’evacuazione delle truppe francesi (in assenza di minacce all’integrità dello Stato pontificio) entro due anni, a condizione che il Regno d’Italia sposti la propria capitale da Torino a un’altra città (Firenze). La decisione tuttavia, presa all’insaputa delle Camere e dei torinesi, genera un profondo malcontento a Torino, che sfocia in un’aperta contestazione. Le proteste vengono represse in modo brutale quanto assurdo dai reparti militari mobilitati dalle autorità, che lasciano sul terreno più di cinquanta morti.

 

LE ULTIME MOSSE – Nel 1867 l’ennesimo tentativo garibaldino di marciare su Roma – appoggiato da Rattazzi, che cerca di suscitare un moto rivoluzionario nella città a cui la popolazione rimane pressoché indifferente – trova il suo epilogo a Mentana (3 novembre), in uno scontro con le truppe pontificie e un contingente francese appositamente inviato da Napoleone III. L’inevitabile raffreddamento dei rapporti con la Francia pesa sulla disponibilità italiana ad aderire a un’alleanza contro la Prussia alla vigilia della guerra del 1870; ad ogni modo il ritiro del contingente francese e la disfatta di Sedan (2 settembre 1870) aprono la strada all’iniziativa del Regno d’Italia, che dopo aver denunciato la Convenzione di Settembre marcia alla volta di Roma con un esercito di 65.000 uomini. Alle proprie truppe Pio IX dà ordine di resistere fino a che il nemico non riesca ad aprire un varco nelle mura della città, rifiutandosi di abbandonare un territorio che gli spetta di diritto ma volendo allo stesso tempo evitare un inutile spargimento di sangue.

 

FUTURO INCERTO – Con la breccia di Porta Pia, il 20 settembre 1870, si chiude una fase della politica estera italiana e se ne apre un’altra, carica di incognite. Se da un lato il non intervento italiano contro la Prussia fa dell’Italia una “potenza moralmente autonoma e indipendente del concerto europeo” (E. Visconti Venosta), dall’altro la questione romana la pone in una situazione di isolamento diplomatico – esponendola al pericolo di una restaurazione del Pontefice ad opera delle potenze cattoliche – tanto più rischiosa data la debolezza politica, finanziaria e militare del nuovo Stato. È questo uno dei fili che porterà l’Italia della Sinistra storica alla stipulazione della Triplice Alleanza (1882).

 

Sul piano ideologico, inoltre, la volontà di sostituire nell’immaginario collettivo l‘universalismo della Roma imperiale e della Roma papale con il mito mazziniano di una “Terza Roma”, contribuisce a generare il senso di una “missione civilizzatrice” dell’Italia, che influirà a sua volta sulla nascita di una politica estera nazionalistica e più aggressiva, anche in campo coloniale. “Era come se, nel momento in cui sorgeva a frantumare definitivamente ogni anche lontana reminiscenza della vecchia respublica christiana, l’individualità nazionale, la nuova idea-forza dei tempi moderni, abbisognasse di una giustificazione morale di valore universale, che ne legittimasse la nascita”. (F. Chabod)

 

Paolo Valvo

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