L’abdicazione di Juan Carlos I, dopo 39 anni di regno, apre una nuova fase nella politica estera spagnola. Il sovrano, che ha guidato il paese nella transizione democratica e sostenuto la creazione della ComunitĂ Iberoamericana, ha lasciato tutto nelle mani del figlio Felipe VI. La nuova generazione dovrĂ confrontarsi con il declino delle relazioni con l’America Latina e la ricerca di nuovi sbocchi a Oriente. Un compito difficile, anche se Juan Carlos ha giĂ cercato di aprire qualche spiraglio.
L’ABDICAZIONE – Juan Carlos I non è piĂą re di Spagna. Dopo 39 anni di regno Juan Carlos di Borbone ha ceduto il trono a suo figlio, Principe delle Asturie, che regnerĂ con il nome di Felipe VI. Un gesto dovuto che apre una nuova fase nella politica spagnola. Juan Carlos ha deciso di lasciare spazio alla generazione piĂą giovane, cercando di far dimenticare gli scandali che hanno drasticamente ridotto la popolaritĂ della Casa Reale. Un’abdicazione, quindi, per motivi politici. Una decisione di fatto presa lo scorso gennaio ma rinviata in attesa delle Elezioni Europee del 25 maggio, che cerca di mitigare il malcontento nei confronti della casa di Borbone. La causa sono vicende come la frattura dell’anca del re durante una caccia agli elefanti in Botswana in piena crisi economica, diverse indiscrezioni sulla sua condotta fedifraga, e infine a luglio 2012 lo scandalo NĂłos. Un episodio che vede protagonista il genero del re, Iñaki Urdangarin Liebaert, accusato di malversazione di fondi pubblici e falso, e l’imputazione dell’infanta Cristina, ritenuta coinvolta a vario titolo negli affari del marito. Un malcontento che porta alla richiesta di pubblicare la dichiarazione dei redditi della Casa Reale. Il lungo regno di Juan Carlos, che coincide con la nascita della democrazia in Spagna, naufraga così in un mare di scandali.
IL RUOLO DI JUAN CARLOS – Il sovrano spagnolo, alla guida del paese dalla morte del generale Francisco Franco nel 1975, si è sempre contraddistinto per il suo impegno nella promulgazione della Costituzione e nella costruzione dell’identitĂ democratica. Il suo lavoro però è stato decisivo nella realizzazione della fitta rete di relazioni con l’America Latina. Un legame facilitato dalla stretta connessione d’identitĂ tra le due aree, caratterizzate dalla comunanza linguistica, d’idee e di valori, che hanno permesso di superare le differenze politiche, economiche e culturali realizzando la ComunitĂ Iberoamericana. Una realtĂ interregionale, comprendente Spagna, Portogallo e i paesi Latinoamericani, riconosciuta sullo scenario internazionale, che ha permesso alla Spagna, una potenza media ma con una chiara vocazione globale, di assumere un ruolo di rilievo nelle relazioni tra l’America Latina e l’Europa e d’interlocutore con gli Stati Uniti. L’incarico del re è legittimato dall’art. 56.1 della Costituzione Spagnola che attribuisce al sovrano la rappresentanza dello Stato nelle relazioni «con las naciones de su comunidad histĂłrica»; un ruolo svolto ottenendo riconoscimenti di prestigio e rispetto tra i governanti dell’America Latina. La ComunitĂ Iberoamericana rappresenta per la Spagna una proiezione esteriore dei suoi interessi e della sua immagine internazionale, finendo con il condizionare la politica estera intrapresa nel corso degli anni e obbligando i vari capi di governo a prestare particolare attenzione alle relazioni con questa regione.
LA COMUNITA’ IBEROAMERICANA– La Corona spagnola ha assunto un ruolo di protagonista nelle relazioni con i paesi iberoamericani dal 1976, intrattenendo rapporti particolari con le varie dittature militari presenti nella regione, dal Cile di Augusto Pinochet all’Argentina di Jorge Videla. Nello stesso tempo si avvia in Spagna la transizione democratica e con questa la formulazione di una nuova politica estera svolta di concerto tra il Re e la diplomazia spagnola, svolgendo un ruolo di riferimento nel processo di democratizzazione dell’America Latina. Sin dal primo momento, la difesa dei diritti umani e l’appoggio al processo di democratizzazione furono dei punti cardine, sviluppati attraverso le relazioni bilaterali ma anche in seno alle Nazioni Unite. La Spagna manifestò la sua partecipazione attraverso il voto nelle risoluzioni e l’appoggio diretto nelle missioni, come nel caso di Cile, Guatemala, El Salvador e Cuba. Nuovo vigore venne dalle politiche di cooperazione allo sviluppo e la messa in atto della consolidazione della Cumbre Iberoamericana, attraverso il progetto di Adolfo Suárez di realizzare a Madrid, nel 1992, una riunione dei capi di Stato e di governo della ComunitĂ . Questo si trasformerĂ nell’obiettivo di Felipe González, che celebrò la prima Cumbre nel 1991, arricchendo la dimensione degli accordi bilaterali, così come l’inizio dell’intensificazione delle relazioni tra l’UE e l’America Latina. Il maggior beneficiario della prima Cumbre in realtĂ fu Fidel Castro, che riuscì a rompere l’isolamento internazionale. Juan Carlos visitò ufficialmente tutti i Paesi dell’America Latina, eccetto Cuba, intensificando le sue relazioni con un numero sempre maggiore di presidenti, rafforzando il suo ruolo di ambasciatore della Spagna democratica e conquistando una posizione di vantaggio in difesa degli interessi spagnoli.
IL FUTURO – Il merito di Juan Carlos è sicuramente quello di aver garantito, nonostante l’alternarsi dei governi, la continuità della politica estera spagnola in America Latina. Il protagonismo assunto dal principe delle Asturie dal 1991 certamente faciliterà il compito. In quegli anni, infatti, l’ormai Felipe VI realizzò i suoi primi viaggi ufficiali in America Latina, visitando Argentina, Bolivia, Uruguay e Messico, e protraendo il legame tra la Corona e il subcontinente. Felipe però dovrà confrontarsi con un probabile e difficile cambio nelle relazioni dovuto alla perdita d’importanza del vincolo culturale e al crescente interesse per gli aspetti economici. Le relazioni tra i Paesi della Cumbre sembrano attestarsi su nuovi equilibri che vedono sempre più protagonisti le economie crescenti dell’America Latina. Lo scorso anno per la prima volta le imprese Latino Americane hanno ottenuto più acquisizioni rispetto a quelle delle omologhe spagnole. La buona salute economica di alcuni paesi comincia a far affluire gli investimenti oltreoceano, come quelli del magnate messicano Carlos Slim, che intrattiene strette relazioni commerciali con La Caixa. Tra il 1993 e il 2000 quasi la metà degli investimenti esteri spagnoli è stata diretta in America Latina, ma l’acuirsi della crisi economica ha riequilibrato questo rapporto, che si riflette anche nel cambiamento del flusso migratorio. Così se la Spagna cerca grandi investimenti in Europa, l’America Latina guarda oltreoceano, con una buona strategia di diversificazione. Le banche di sviluppo del subcontinente, nonostante alcune vicende controverse come il ritardo nell’ampliamento del Canale di Panama e quella Repsol con l’Argentina, hanno esteso il loro credito alle imprese spagnole. L’America Latina, con il suo ruolo di ammortizzatore durante la crisi, torna tra le priorità di politica estera, non solo per il suo valore originario ma anche come nuovo ponte verso l’Oriente. Juan Carlos prima di lasciare il trono ha realizzato un viaggio in Medio Oriente firmando accordi di cooperazione politica, culturale e di sicurezza con gli Emirati Arabi Uniti. Così, aperte le porte verso Oriente, Felipe dovrà occuparsi della questione Iberoamericana, rilanciando il ruolo della Cumbre e sperando che la prossima di dicembre, non a caso in Messico, attragga la partecipazione dei Capi di Stato Sudamericani.
Annalisa Belforte