Mentre la repressione del governo siriano contro la rivolta civile è giunta alla riconquista di Jisr a-Shugour con voci di nuovi spargimenti di sangue, la domanda che più viene posta è: perché in Libia si è intervenuti e in Siria no? Perché non una risoluzione ONU anche lì? Perché la comunità internazionale ha attaccato Gheddafi e non ancora Bashar al-Assad?
DIFFERENZE – Di solito la domanda viene posta in tono accusatorio, per mostrare i forti interessi che giravano – e girano ancora – intorno alla Libia e che non appaiono esserci per quanto riguarda la Siria. Noi stessi in articoli passati abbiamo rimarcato l’esistenza di interessi geopolitici che sicuramente si sono accoppiati a quelli umanitari per motivare l’intervento in Libia. Tuttavia è bene rendersi conto come la decisione o meno di intervenire vada sempre necessariamente sottoposta alla situazione geopolitica e strategica locale e globale. Nella scelta di agire o meno, devono sempre essere tenuti in considerazione le particolaritĂ che ogni stato, regione, situazione locale presenta. E la Siria ha oggi caratteristiche molto diverse dalla Libia pre-intervento.
Innanzi tutto il paese non appare essere ancora così spaccato come in Libia. L’esercito non ha ancora mostrato rilevanti segni di defezioni tanto che i rivoltosi appaiono ancora costituiti principalmente da cittadini e piccoli gruppi di militari e poliziotti disertori. Le notizie dell’uccisione dei soldati che si rifiutano di sparare contro i civili, per quanto non confermate, mostrano comunque un regime ancora capace di ridurre l’effetto di segni di dissenso all’interno delle proprie forze di sicurezza. Questo a sua volta rende la situazione dei rivoltosi particolarmente difficile e allo stesso tempo conferma la mancanza di un vero fronte interno al quale appoggiarsi. Come affrontare la questione? Bombardando l’esercito? Eseguendo pressioni economiche?
ISOLAMENTO ECONOMICO – Per quanto riguarda queste ultime, Damasco vive da anni una situazione di parziale embargo economico e i suoi rapporti con l’Iran la pongono giĂ da tempo all’indice delle diplomazie internazionali, anche se negli ultimi anni qualche spiraglio di distensione si era intravisto. Il paese non è economicamente molto esposto verso l’Occidente e per questo soffrirebbe meno un ulteriore blocco estero. Non si tratterebbe dunque di una nuova situazione, nĂ© si prevede le sanzioni possano risultare decisive a breve termine, a tutto svantaggio della sicurezza dei rivoltosi stessi che necessiterebbero di una risoluzione immediata.
ESERCITO – Allo stesso tempo è di difficile pianificazione ed esecuzione anche una campagna militare. Dal punto di vista pratico l’esercito siriano è molto piĂą numeroso e meglio armato di quello libico. Per quanto i suoi standard risultino obsoleti rispetto all’Occidente, la griglia difensiva antiaerea di Damasco e del paese in genere è particolarmente fitta (retaggio delle passate guerre arabo-israeliane) e questo comporterebbe un considerevole sforzo iniziale solo per eliminare l’aviazione e le difese antiaeree. La fase successiva di attacco alle forze armate che provvedono a sparare sui civili comporterebbe poi la sfida a un esercito nazionale che è ancora sostanzialmente coeso. Inoltre a quale risultato bisognerebbe puntare? Alla eliminazione della capacitĂ offensiva siriana? Questo comporterebbe il suo annientamento quasi totale, ben piĂą complicato che in Libia in quanto ottenibile solo tramite un conflitto ad alta intensitĂ che richiederebbe ingenti forze militari la cui provenienza ora sarebbe di difficile definizione.
DIPLOMAZIA – Tutto questo senza prendere in considerazione le questioni diplomatiche. Innanzi tutto la Siria è incastonata in un delicato equilibrio medio-orientale ove un conflitto aperto rischia di scatenarne altri tramite i numerosi alleati che Damasco può contare nella regione, condizione inesistente per Tripoli. Inoltre nessun paese agirebbe senza un preciso mandato ONU che, dopo l’esperienza libica, verrebbe reso ancora piĂą stringente e particolareggiato per evitare incomprensioni. Ne deriva una probabile ulteriore lentezza – se non proprio stallo – nel definirlo. Non va infatti dimenticato come Russia e Cina, dopo l’esperienza libica, siano probabilmente meno favorevoli ad appoggiare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU che possa comportare l’uso della forza, ancor piĂą contro la Siria che è da decenni uno dei maggiori compratori delle loro forniture belliche e una delle porte dell’influenza di Mosca e Pechino nella regione grazie ad accordi bilaterali come l’usufrutto della base navale siriana di Tartus alla flotta russa. PerchĂ© in fondo non siamo solo noi Occidentali a cercare di portare avanti i nostri interessi in queste cose.
Lorenzo Nannetti