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L’Italia torna in Europa

Caffè 150 – L’Europa è devastata dalla guerra appena conclusa e divisa da quella rivalitĂ  USA-URSS che diverrĂ  la “cortina di ferro”. L’odio del passato viene però soppiantato dal desiderio europeo di costruire nuove collaborazioni per evitare altri conflitti in futuro. Per l’Italia è l’occasione di uscire dai ranghi degli sconfitti per cercare di costruire un nuovo futuro insieme ai propri vicini

 

LA CECA- All’indomani della Seconda Guerra Mondiale vi erano due grandi linee d’azione per costruire l’integrazione europea. Una britannica, fondata sulla necessità di riunire i paesi europei con vincoli strettamente difensivi in funzione antisovietica, e una francese, orientata a risolvere il contenzioso franco-tedesco. Mentre l’opzione britannica si fondava sulla volontà di rafforzare la cooperazione rimanendo in linea con l’alleanza con gli Stati Uniti, l’opzione francese si basava su un accordo economico per lo sfruttamento di materie strategiche come carbone e acciaio. Quest’ultima proposta, maggiormente volta ad un assetto collaborativo, mostrava il pregio di essere più organica e meno dipendente dalle scelte di una potenza terza come gli USA. La proposta francese si fondava infatti su un piano di sfruttamento e produzione nel settore siderurgico delineato da Jean Monnet (nella copertina del Time, sopra)e che il Ministro degli Esteri dell’epoca Robert Schuman fece suo. Questo progetto vide la luce il 18 aprile 1951, e può essere considerato il primo passo strutturale verso l’integrazione europea.

 

LA POSIZIONE ITALIANA – La posizione italiana può essere sintetizzata con le parole del Ministro Sforza: “siamo pronti a qualunque limitazione della sovranitĂ  nazionale a una sola condizione: che gli altri facciano lo stesso”. Il piano di Sforza per una Europa unita si fondava sul OECE (Organizzazione Economica per la Cooperazione Europea). L’OECE avrebbe dovuto divenire permanente, si sarebbe dovuta ampliare la cooperazione in campo economico e sociale, creare una Corte di Giustizia e un comitato per la politica internazionale al fine di definire un assetto di tipo confederativo. La scelta di Sforza di attribuire all’OECE un ruolo di primo piano si fondava, in primis, sul fatto che l’OECE essendo organismo di coordinamento del Piano Marshall rappresentava una opzione sicura e realistica per la creazione di una Europa unita. Inoltre, nel politico italiano vi era la consapevolezza che l’OECE, con la partecipazione di tutti i paesi dell’Europa occidentale, avrebbe permesso all’Italia di sfruttare maggiormente il suo peso geopolitico e le possibili frizioni fra grandi potenze agendo da ago della bilancia in un contesto completamente differente da quello auspicato dai francesi. Il progetto italiano non ebbe luce però a causa della contrarietĂ  dei britannici. Essi non volevano essere coinvolti in una stretta cooperazione europea tralasciando il loro ruolo di ponte fra America ed Europa, e quindi il governo italiano dovette giocoforza convergere sul progetto francese. L’accordo sulla CECA, dell’aprile 1951, venne ratificato dal Parlamento nel marzo dell’anno seguente.

 

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L’INTEGRAZIONE IN MATERIA DI DIFESA: LA CED E L’UEO – La CED, acronimo di ComunitĂ  Europea di Difesa, è legata alla Guerra Fredda e alle richieste americane agli alleati europei. Nel settembre 1950 gli Stati Uniti vollero replicare ai tentativi espansionistici dei sovietici su Berlino e sulla Corea del Nord annunciando un rafforzamento delle truppe americane in Europa alla sola condizione che i paesi europei creassero un sistema integrato sotto comando unico e nella quale avrebbero partecipato anche i tedeschi occidentali. Il riarmo di questi ultimi indusse i francesi a definire una proposta che prese il nome di “piano Pleven” con il quale istituire un esercito europeo all’interno del quale sarebbero stati inglobati gli eserciti nazionali. Il trattato istitutivo della CED fu siglato a Parigi nel 1952, non senza malumori soprattutto nell’opinione pubblica francese. In Francia all’epoca sia la sinistra che i gollisti si mostrarono contrari alla CED, vista dai primi come uno strumento dell’imperialismo occidentale e dagli altri come una insopportabile perdita di sovranitĂ  e prestigio nazionale. Al momento della ratifica il parlamento francese bocciò il trattato istitutivo della CED, che rimase quindi lettera morta. Un ulteriore tentativo di creare una cooperazione europea in materia di difesa si ebbe con l’UEO, l’Unione dell’Europa Occidentale. Con l’UEO gli americani ebbero infine ciò che avevano giĂ  chiesto alla CED: la Germania fu riabilitata e integrata nel sistema di difesa collettivo europeo anche se con alcune limitazioni.

 

(Nella foto, da sinistra a destra: Johan Beyen, Ministro degli Affari esteri tedesco, Gaetano Martino, Ministro degli Affari esteri italiano, Joseph Bech, Presidente del Governo e Ministro degli Affari esteri del Lussemburgo, Antoine Pinay, Ministro degli Affari esteri francese, Walter Hallstein, Segretario di Stato per gli Affari esteri della Germania occidentale, Paul-Henri Spaak, Ministro degli Affari esteri del Belgio)

 

L’ULTIMO TASSELLO: LA CREAZIONE DEL MERCATO COMUNE E DELL’EURATOM – Nel 1952 il francese Jean Monnet, all’epoca primo Presidente dell’Alta AutoritĂ  della ComunitĂ  Europea del Carbone e dell’Acciaio, convinse i Ministri degli Esteri dei governi del Benelux a proporre la creazione di un mercato comune europeo. All’epoca il Ministro degli Esteri italiano Gaetano Martino propose di tenere una riunione dei suoi parigrado della CECA a Messina, per discutere della proposta. La riunione di Messina si concluse con la decisione di istituire un comitato di lavoro presieduto dal Ministro degli Esteri belga Spaak con il compito di definire l’architettura istituzionale di una comunitĂ  economica europea e di una comunitĂ  europea per l’energia atomica. I lavori del comitato durarono due anni e si conclusero con la stesura del testo che avrebbe costituito i Trattati di Roma del 1957 che istituirono la ComunitĂ  Economica Europea e l’Euratom.

 

Dopo la sconfitta, la perdita delle colonie, dell’Istria e della Dalmazia, con l’istituzione del mercato comune, la partecipazione nell’UEO e nella NATO, mediante il processo di integrazione l’Italia si era ritagliata uno spazio, per certi versi comunque angusto, all’interno della dialettica europea e aveva definitivamente sancito quali fossero i suoi vincoli di politica estera. Essa si era definitivamente emancipata dalla condizione di stato sconfitto e sedeva all’interno del panorama europeo priva dei pesi del passato. Ciononostante le stesse precondizioni che portarono alla istituzione della CEE, in particolare il superamento dell’antagonismo franco-tedesco, porteranno in seguito maggiori problemi ai successivi governi italiani, tutti sottoposti ad un continuo accrescersi del duopolio di Francia e Germania all’interno delle istituzioni comunitarie. Rispetto a queste problematiche la classe dirigente italiana ha mostrato di orientarsi fra un acritico europeismo e un insensato localismo, entrambi privi di senso e portatori di guasti per il ruolo internazionale dell’Italia e per il suo tessuto economico. Tutelare le istituzioni nazionali senza nuocere alla cooperazione europea resta la più grande sfida del nostro paese.

 

Antonio Cocco

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