Lo scorso 30 luglio Muhammad VI ha festeggiato quindici anni da Re del Marocco. Tra parziale democratizzazione, dissenso interno e sviluppo, stendere un bilancio sull’operato del terzo sovrano del Marocco indipendente si rivela fondamentale.
POLITICA INTERNA: IL MAKHZEN VINCENTE – Il cinquantunenne Muhammad VI, continuatore della dinastia alawide dalla morte del padre Hassan II nel 1999, è il sommo rappresentante del makhzen marocchino, la Monarchia. “Modernizzatore” e “democratico” sono gli epiteti sui quali, per confermarli o confutarli, il dibattito sull’operato del sovrano si è sempre incardinato. Nella sfera pubblica fu il primo sovrano a parlare di huquq al-insan, “diritti umani”, in uno sforzo continuo di contrapporre all’immagine dispotica del padre Hassan II una figura monarchica pronta a inedite aperture democratiche. A questo proposito, fu Muhammad VI a liberare molti prigionieri politici incarcerati dal padre durante il suo regno (1961-1999) e a richiamare dall’esilio alcuni leader dell’estrema sinistra, tra gli spettri maggiori per Hassan II. Con l’attuale Re, inoltre, quasi 10mila vittime di quel periodo sono state indennizzate, migliaia di sepolture clandestine identificate e proprio in occasione dell’ultima Festa del Trono altri 13mila individui sono stati liberati per volontà di Muhammad VI.
In Marocco anche i più scettici circa l’effettiva democratizzazione delle Istituzioni attuata dal figlio sono dunque concordi nel definire il regno del padre come “anni di piombo” e nel farne coincidere la fine con l’ascesa al trono dell’erede.
Tuttavia anche su questo processo di riconciliazione nazionale apparentemente concluso permangono i motivi di scetticismo di chi fa notare, in particolare, che i nomi dei torturatori non sono mai venuti alla luce e che una condanna esplicita dell’operato di Hassan II resta impensabile.
Modernizzazione e democratizzazione sono state le parole-chiave sulle quali costruire l’immagine monarchica e sono tornate recentemente in primo piano per rinsaldarla alla luce delle cosiddette “Primavere arabe”.
Finora una vera Primavera marocchina non ha visto la luce. Nel 2011 nel Paese nordafricano aveva preso corpo il Movimento 20 febbraio (M20F). Gli attivisti invocavano riforme costituzionali, lotta alla corruzione, maggiore libertà d’espressione e la liberazione dei prigionieri politici dalle famigerate carceri marocchine. Ma in Marocco non si è arrivati alla rottura traumatica tra popolo e potere. Fermarsi prima del punto di non ritorno è stato possibile anche grazie all’astuta realpolitik di Muhammad VI, il quale ha compiuto l’impresa che Mubarak, Ben ‘Ali, Gheddafi, Saleh e Assad non hanno né voluto né potuto compiere: si è appropriato della carica rivoluzionaria dei manifestanti, ha mostrato di unirsi al coro che invocava il cambiamento. Già nel marzo 2011 si procedeva, infatti, alla creazione della Commission consultative de révision de la Constitution e il 1° luglio un referendum accoglieva la nuova Costituzione con un plebiscito (98,5%). Il Consiglio di supporto al M20F, formato dallo schieramento islamista Giustizia e Carità, il Partito socialista, l’Associazione marocchina per i diritti umani e altri, si è opposto a ciò che riteneva un cambiamento di facciata, ma le enormi discrepanze ideologiche interne hanno reso impossibile attrarre consensi di massa.
Il Re è ora «inviolabile» e non più «sacro», viene esplicitata l’uguaglianza di genere e si riconosce la lingua berbera tamazigh come secondo idioma ufficiale dopo l’arabo. Sulle identità berbere, già nel 2001 re Muhammad VI favorì l’istituzione dell’Institut Royal de la Culture Amazighe (IRCAM), al fine di creare uno spazio di salvaguardia e promozione della cultura berbera.
È ancora prematuro dire se con questa Costituzione il Marocco abbia scongiurato una Primavera traumatica, accingendosi a divenire una grande Monarchia costituzionale, ma per ora il makhzen si è rivelato vincente.
TANGERI FREE TRADE ZONE: FIORE ALL’OCCHIELLO DEL MONARCA– A seguito del calo nell’export del 2012, contraccolpo della crisi mondiale e soprattutto europea, alcuni degli indicatori marocchini non lasciavano spazio all’ottimismo: la disoccupazione si attestava al 9,5% nel 2013, mentre il 15% degli abitanti viveva sotto la soglia di povertà.
Uno dei maggiori successi della Monarchia è stato invece il progetto, sancito dall’accordo di libero scambio con l’Unione europea del 2012, di una free trade zone nella città marittima di Tangeri. Si tratta di un progetto mastodontico che rende questa zona di libero scambio la sesta al mondo e la prima tra le free trade zone portuali, mirando alla creazione di 145mila posti di lavoro entro il 2020.
Ma tra gli obiettivi di Muhammad VI, parzialmente correlati all’opera di Tangeri, c’è anche rendere rinnovabile il 40% dell’energia elettrica prodotta e ridurne il consumo del 15% entro il 2020. Sono previsti ingenti investimenti nel fotovoltaico: sempre entro il 2020 è in programma la realizzazione di cinque centrali solari con una capacità complessiva di 2.000 MW su una superficie di 10mila ettari.
POLITICA ESTERA: BALUARDO DELLA STABILITÀ REGIONALE – La stabilità interna del Marocco costituisce una risorsa alla quale oggi gli alleati di Muhammad VI potrebbero difficilmente rinunciare. La novità interessante è che anche sul versante sicurezza e intelligence il Marocco è un partner sempre più strategico. Nell’epoca di Muhammad VI due sono i servizi segreti: la Direction Générale de la Surveillance du Territoire (DGST), che si occupa di sicurezza interna, e la Direction Générale des études et de la documentation (DGED), per gli interessi marocchini all’estero. Soprattutto dall’11 settembre 2001, il sovrano si è adoperato costantemente per accrescere la sinergia tra questi due organi e le intelligence occidentali. Tale cooperazione fornisce da un lato agli alleati stranieri un argine al jihadismo ai confini marocchini, dall’altro lato al Regno una possibilità di monitorare l’eventuale presenza dei cittadini nelle attuali aree calde come Iraq e Siria.
PROSPETTIVE – Dopo quindici anni di regno il trono di Muhammad VI appare, piaccia o meno, più saldo che mai. Ma le sfide per la dinastia alawide sono molte e se Muhammad VI vorrà continuare a essere, con le parole del giornalista dissidente Ahmed Reda Benchemsi, il «Re di tutto e di ovunque», dovrà coniugare tale immagine con quella del monarca illuminato.
Sara Brzuszkiewicz
[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più
Tutte le informazioni sul futuristico progetto della Tangeri Free Trade Zone possono essere consultate a questo indirizzo.[/box]