«La Commissione sarĂ politica, voglio che sia piĂą politica e sarĂ molto politica». Cosi Jean-Claude Juncker il 15 luglio, il giorno della sua nomina a prossimo Presidente della Commissione europea. A meno di due mesi di distanza, la profezia del piĂą socialdemocratico tra i conservatori e futura guida dell’esecutivo europeo sembra essersi realizzata: l’intreccio di negoziati e compromessi che hanno portato alla nomina di Federica Mogherini a “Lady PESC” e di Donald Tusk quale nuovo Presidente del Consiglio europeo ricordano le machiavelliche macchinazioni tipiche della politica piĂą tradizionale.
TRA VECCHIA E NUOVA EUROPA – Così come previsto, i 28 capi di Stato e di Governo dell’Unione riunitisi al palazzo Justus Lipsius lo scorso sabato in occasione della sessione speciale del Consiglio europeo hanno superato, non senza momenti di attrito, lo stallo che aveva caratterizzato il precedente incontro di giugno. Indigeribile all’epoca la candidatura del ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini alla carica di Alto rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza comune dell’Unione europea: fu la sua visita, per altro in nome della presidenza italiana dell’UE, al ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov in relazione alla realizzazione del gasdotto South Stream, a provocare la reazione di Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania. Accusata d’esser troppo accomodante nei confronti del risveglio geopolitico della Russia putiniana da parte dell’Europa dell’Est emancipatasi dal giogo sovietico sul finire degli anni Ottanta ed entrata nell’Unione con l’allargamento del 2004, la nuova “Lady PESC” ha avuto la meglio sulle candidature della commissaria europea agli Aiuti umanitari, la bulgara Kristalina Georgieva, del ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski e, ancora, di quello svedese Carl Bildt. Le ragioni del successo italiano? La politicizzazione delle nomine.
IL GIOCO DELLE NOMINE – Appare essere stata determinante l’intesa raggiunta sull’altra grande nomina della serata, la presidenza del Consiglio europeo affidata al primo ministro polacco Donald Tusk, veterano di Solidarnosc e fondatore di Piattaforma civica. Nonostante le smentite del presidente uscente Herman Van Rompuy, la nomina del premier polacco, fortemente appoggiato dal britannico David Cameron, ha tutte le sembianze del compromesso necessario ad appagare le volontĂ dei Paesi centro-orientali intimoriti dall’aggressivitĂ russa in Ucraina. Altrettanto decisive sembrano essere state le ragioni piĂą squisitamente partitiche. I “nuovi volti dell’Europa” appartengono infatti a famiglie differenti: mentre Mogherini è la punta di diamante socialista, Tusk sarĂ espressione del Partito popolare europeo. Si andrebbe così a creare una sorta di strano equilibrio ai vertici delle Istituzioni europee, con i socialisti Schulz e Mogherini alla guida di Europarlamento e politica estera, e i conservatori Juncker e Tusk al comando, rispettivamente, di Commissione e Consiglio europeo. A questi ultimi si aggiungerĂ , a partire dal 2015, il conservatore Luis de Guindos. che, con la benedizione della cancelliera tedesca Angela Merkel, sostituirĂ il laburista olandese Jeroen Dijsselbloem alla guida dell’eurogruppo.
NON SOLO NOMINE – Non di sole nomine si è discusso al quinto piano del palazzo Justus Lipsius, sede istituzionale del Consiglio europeo. L’agenda politica dei prossimi mesi, infatti – e a dircelo è il nuovo responsabile della politica estera dell’Unione – presenta «sfide immani» innanzitutto economiche, ma non solo e non primariamente. I deboli segnali di ripresa, sommati alle preoccupazioni dovute agli alti tassi di disoccupazione e a un’inflazione ben lontana dalla soglia del 2% prevista dai Trattati, spaventano e non poco i 28 capi di Stato e di Governo, ma sono le sfide geopolitiche a essere prioritarie: la crisi in Ucraina, che imperversa «sul suolo europeo», come ha ricordato la Mogherini, è vicina al punto di non ritorno, e nuove sanzioni, che si aggiungono a quelle stabilite a luglio, incombono sulla Russia. Che si prospetti un passaggio alla “fase 3” delle sanzioni, ovvero a quelle che colpirebbero gli attori economici russi piĂą determinanti, come auspicato dal presidente ucraino Petro Poroshenko, “ospite speciale” del Consiglio europeo, non è certo. Quel che sembra chiaro è che il baricentro strategico dell’Unione si sta spostando verso est: la nomina di Tusk ai vertici del Consiglio e il ruolo rilevante giocato dalle Repubbliche baltiche ne sono l’ennesima dimostrazione.
LE ALTRE SFIDE GEOPOLITICHE – Gli occhi dell’Unione, in particolare quelli della Mogherini, guardano con particolare attenzione anche alle vicende mediorientali: l’azione del nuovo Alto rappresentante, laureatasi con una tesi riguardante il legame tra politica e religione nei Paesi islamici, e che dal I novembre sostituirĂ l’inglese Catherine Ashton, non potrĂ mancare di una visione strategica unitaria per affrontare le vicissitudini poste in essere qui dalla Libia, lĂ dall’Iraq e dalla Siria, senza dimenticare l’inestricabile crisi di Gaza. Sembra essere questo il compito piĂą difficile tra quelli sulle spalle di Federica Mogherini, agli Esteri italiani dal febbraio 2014: assicurare, come da trattato, «l’unitĂ , la coerenza e l’efficacia» dell’azione estera dell’Unione, a oggi prerogativa sostanzialmente nelle mani dei singoli Paesi. La soluzione delle «sfide immani» passa anche da questo: riuscirĂ la prossima Lady PESC e primo vicepresidente della Commissione a dotarsi di strumenti piĂą incisivi e a unificare le politiche estere dei 28 membri? Chi l’ha preceduta ha miserabilmente fallito: il servizio diplomatico dell’UE, esistente dal 2010, è parso sino a ora inconsistente. Serviranno «sforzi creativi» per invertire la tendenza, gli stessi cui faceva riferimento Schuman, tra i padri fondatori dell’Europa unita, in quel lontano 9 maggio 1950.
Simone Grassi
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Un chicco in piĂą
Nei prossimi giorni vi parleremo delle difficoltĂ che si frappongono alla formazione della nuova Commissione europea. Particolarmente importante per il futuro dell’Unione sarĂ l’assegnazione del portafoglio per gli Affari economici e monetari. Il grande favorito della vigilia è Pierre Moscovici, ex ministro delle Finanze francese e sostenitore della flessibilitĂ sui conti pubblici dei Paesi dell’eurozona. Sostenuto dal Governo di Matteo Renzi, il candidato francese è osteggiato da Berlino, che gli preferirebbe il piĂą “austero” Jeroen Dijsselbloem. [/box]