Mentre l'area Euro si affanna per evitare di venire travolta dalla crisi del debito greco, il Brasile continua a veleggiare a ritmo sostenuto. In più, la svalutazione della moneta locale potrebbe rilanciare le esportazioni. Attenzione però al problema dell'inflazione e ad una crescita del Prodotto interno Lordo meno forte del previsto
IL BRASILE VA – Se nel Vecchio Continente l'economia traballa, per usare un eufemismo, facendo rimanere tutti con il fiato sospeso per il destino dell'Euro, appeso a un filo sempre più sottile (gli interessi sui buoni del Tesoro greci sono ormai a livelli prossimi al default), dall'altra parte dell'Oceano Atlantico c'è chi gode di prospettive favorevoli per il futuro. Il Brasile, lo abbiamo già detto più volte, è una delle potenze in crescita più interessanti e promettenti, per diverse ragioni: un sistema produttivo solido e diversificato, la presenza di alcune aziende leader a livello mondiale, un mercato interno enorme e in espansione, un territorio ricchissimo di risorse naturali ancora da esplorare e sfruttare. I numeri, effettivamente, parlano chiaro. Se guardiamo ai mercati finanziari, che in Europa hanno registrato perdite enormi (-47 % il calo nel valore dei titoli negoziati sulla Borsa italiana tra il 2008 e il 2011), scopriamo che l'indice Bovespa della Borsa Valori di San Paolo ha invece guadagnato complessivamente il 16%. Il PIL è cresciuto a ritmi sostenuti – ad una media superiore al 3% annuo – e ha superato quello italiano, attestando il Brasile come settima economia mondiale e proiettandolo sempre più in alto.
Inoltre, negli ultimi giorni la moneta locale, il real, ha invertito la tendenza ascendente volta ad un continuo apprezzamento nei confronti del dollaro. Dopo aver toccato il cambio record di 1,5 nei confronti del “verdone” statunitense, è sceso nuovamente a 1,87. Una bella boccata di ossigeno per le esportazioni, che possono aumentare contando su prezzi relativi più competitivi per le merci brasiliane, dopo che nei mesi scorsi diverse aziende avevano perso importanti fette del mercato estero.

LIMITI – Una moneta nazionale che vale meno, però, comporta anche un rovescio della medaglia: può infatti comportare un aumento dell'inflazione. La Banca Centrale brasiliana ha mantenuto in questi ultimi anni un rigido inflation targeting, applicando un tasso di interesse tra i più alti al mondo (il Selic, che misura il costo del denaro in Brasile, si aggira intorno al 12%). Tutto ciò allo scopo di calmierare l'aumento dei prezzi, che si è mantenuto intorno al 5% negli ultimi anni (una cifra tutto sommato accettabile per un Paese in via di sviluppo). Gli eventi degli ultimi giorni hanno fatto rivedere le stime al rialzo: l'inflazione è stata del 7,2% ad agosto e il 2011 dovrebbe chiudere con un aumento complessivo del 6,5%. Siamo lontani dalla doppia cifra alla quale sono abituati gli argentini, ma è indubbio che la coperta, come suggerisce il nostro titolo, sia corta: svalutare la moneta comporta cedere sul fronte dell'inflazione, e viceversa. E per quanto riguarda la crescita? Indubbiamente l'export favorisce la crescita del PIL, le cui stime sono state riviste in leggero ribasso sia per l'anno in corso che per il 2012. Innescare dinamiche inflattive potrebbe essere però rischioso. Le autorità monetarie brasiliane potrebbero però usare l'arma della svalutazione periodicamente, per ridare ossigeno ai produttori locali quando necessario: il Paese sudamericano è infatti uno dei principali detentori di riserve valutarie in dollari (anche se molto meno della Cina). Comprare dollari per immettere reais sul mercato e viceversa è un'opzione a disposizione per agire sulla leva del cambio (monetario).
Davide Tentori