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La geopolitica dell’oppio

Il territorio che si estende intorno ai confini di Cina, Birmania Thailandia e Laos, si è guadagnato il nome di “triangolo d’oro” per la massiccia produzione di oppiacei destinati al mercato mondiale. Dagli anni ‘70 in poi l’equilibrio geopolitico dell’area del sud est asiatico ha subito un forte cambiamento dovuto al risolversi di tensioni belliche, tradizionalmente legate alla produzione di droga e all’emergere di nuove economie, Cina in testa, che stanno gradualmente attirando crescenti flussi di ricchezza globale verso l’estremo oriente. Vediamo come la globalizzazione ha cambiato il mercato della droga made-in-Asia

LA STORIA – Il territorio del “triangolo d’oro” è stato tradizionalmente dedicato alla coltivazione del papavero e alla sua successiva raffinazione, tanto che deve il suo nome al fatto che l’oppio prodotto era originariamente pagato in oro. Sebbene l’introduzione dell’oppio in Asia risalga al quindicesimo secolo, quando i primi commercianti provenienti dall’Occidente, arabi, veneziani e in seguito i portoghesi, iniziarono a scambiare i derivati del papavero con tè e spezie, la sua diffusione come coltura iniziò nel Sudest Asiatico, solo dopo la seconda guerra mondiale, a seguito dell’inaspettata abolizione della produzione in Iran nel 1955. Con l’arrivo degli inglesi in Asia e lo strapotere della compagnia delle Indie, l’oppio coltivato in Asia Occidentale e in India divenne una vera e propria commodity da smerciare nel mercato cinese, tanto da causare ben due scontri armati, che passarono alla storia come “Guerre dell’oppio”. Il periodo di tensione tra l’impero celeste e quello britannico terminò nel 1842, quando gli inglesi ottennero Hong Kong, facendone in seguito la base per lo smistamento di eroina su scala mondiale. Fu proprio la Cina che favorì l’introduzione del papavero nel Sudest Asiatico, per smarcarsi dal monopolio occidentale. Il clima tropicale del Sud Est Asiatico, l’ottima resistenza delle piante e la crescente domanda da parte della popolazione locale, favorirono la diffusione del papavero in questa regione, in particolare presso le zone più remote, dove le condizioni di vita erano molto difficili. Non a caso i primi poli di produzione sorsero vicino ai bacini minerari, per poi estendersi a tutti i paesi dell’Indocina, una delle aree più povere del mondo. L’arrivo in Asia prima dei Francesi e poi degli Americani e la costante emergenza bellica non fecero che peggiorare la situazione, creando una sete di denaro e armi, che solo l’oppio era in grado di soddisfare. Il boom economico in Occidente dopo la seconda guerra mondiale fu la prima causa dell’impennata della domanda di stupefacenti e alla fine degli anni ’70 il triangolo d’oro produceva più del 70% degli oppiacei per il mercato internazionale.

IL GOLDEN CRESCENT A partire dagli anni ‘90 si è assistito a un sostanziale cambiamento degli equilibri geopolitici mondiali, primo fra tutti il miracolo asiatico. Inoltre la globalizzazione ha investito la produzione di tutte le commodities tra cui anche l’oppio, modificandone volumi e percorsi. Oggi la percentuale di droga proveniente dal triangolo d’oro si è ridotta al 10%, mentre la “mezzaluna d’oro” (golden crescent), la fascia di terra che dall’Iran meridionale termina in Pakistan attraverso l’Afghanistan, ha ripreso la produzione, imponendosi come leader indiscusso, con una produzione di oppiacei, eroina e cannabis pari al 90% del mercato mondiale. I motivi alla base di questo cambio di guardia nella fornitura di droga sono numerosi, sia di natura politica, che economica. Da una parte l’introduzione del papavero in Asia occidentale, per finanziare l’impegno bellico dei talebani contro gli Stati Uniti, si è rivelato molto fruttuoso, con una densità di produzione per acro quattro volte superiore a quella del Sud Est Asiatico e, di conseguenza, prezzi più competitivi. Numeri adatti ad alimentare la domanda mondiale, specialmente di eroina, in crescita dagli anni ’70 non solo nei mercati occidentali, ma anche in Asia. D’altra parte il Sudest Asiatico ha subito una contrazione dei volumi per ragioni politiche. La conclusione di molti conflitti e la perdita di competitività nei mercati internazionali a causa dell’ascesa della Mezzaluna hanno fatto sì che la maggior parte della droga rimanesse presso le popolazioni locali, causando problemi sociali come la diffusione dell’AIDS, che, nelle zone più povere, ha raggiunto picchi del 90%. I governi di Cina e Thailandia si sono resi conto dei rischi legati alla massiccia produzione di oppio in un contesto di rapida industrializzazione e già dalla fine degli anni ’90 si sono impegnati nel lancio di politiche per la riconversione delle colture in tutta l’Indocina.

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LA RICONVERSIONE, OPINIONI CONTRASTANTI – Secondo un recente rapporto dell’UNDP (United Nations Development Program) i risultati delle politiche di riconversione sono stati soddisfacenti in tutta l’area del triangolo d’oro. In realtà se è vero che la produzione si è significativamente ridotta, è altrettanto vero che non vi è stata una pari diminuzione nei consumi. Inoltre la riduzione dell’offerta ha causato un’impennata dei prezzi, mentre la qualità dell’eroina in circolazione inevitabilmente peggiorava. Molto spesso le politiche contro la produzione di oppio, combinate con una legislazione che punisce duramente il consumo (anche con la pena di morte) hanno colpito notevolmente le popolazioni locali, che, ormai da decenni, basavano la loro sussistenza sul papavero. Certo vanno fatte opportune distinzioni. In Thailandia sembra che la riconversione abbia portato un effettivo beneficio ai villaggi del triangolo: lo stato ha investito molto su questo progetto ed è riuscito a introdurre colture sostitutive come pepe, riso, cannella e canna da zucchero, favorendo un rilancio dello sviluppo economico. La stessa cosa sembra sia avvenuta in Cina, sebbene in alcune aree della provincia meridionale dello Yunnan la coltivazione dell’oppio continui; in particolare la zona di confine con la Birmania, nei pressi della cittadina di Ruili, sembra essere uno dei centri a più alto tasso di HIV e uno dei nodi cruciali per l’accesso di eroina e cannabinoidi verso l’estremo oriente. Per quanto riguarda Birmania e Laos. invece, i contorni sono meno chiari. Secondo molte agenzie internazionali il Laos, da esportatore, è diventato importatore di oppiacei, ma i dati raccolti non sembrano essere affidabili e secondo altre statistiche il paese occupa ancora il terzo gradino del podio del papavero, dopo la Mezzaluna (d’oro) e (la) Birmania. In Birmania il governo militare si è impegnato solo formalmente nella riconversione. La necessità di fare cassa dovuta all’embargo da parte dell’Occidente, il fallimento dell’introduzione di nuove colture e le condizioni di estrema povertà della popolazione, specialmente nelle regioni settentrionali, più che alla riduzione hanno portato alla differenziazione nella produzione di droga. La produzione di eroina nel nord del paese è stata massicciamente sostituita da quella di anfetamine e metanfetamine, il cui consumo è altissimo soprattutto in Thalandia. Questa nuova situazione ha fatto emergere tensioni con la Thailandia soprattutto nella zona di confine. In più con la scusa di conflitti etnici nello Shan State, che coincide con la parte birmana del triangolo, il governo ha proibito l’accesso ai non residenti e ha assegnato la zona alla gestione di un esercito privato, lo United Wa State Army, che non a caso oggi è il principale produttore di droga nel triangolo d’oro. Inoltre l’apertura di nuove rotte per lo scambio di armi e risorse naturali verso Cina e India ha favorito anche il mercato degli stupefacenti. Dopo che Pechino ha deciso di chiudere il confine di Ruili, il traffico di droga è stato incanalato in Laos, Cambogia e Vietnam lungo il sentiero che costeggia a nord il confine Thailandese e a sud il fiume Irrawaddy, proseguendo poi via mare. Tutto ciò fa riflettere sul collegamento tra sviluppo economico e mercato della droga. Un atteggiamento diverso nei confronti di Yangoon da parte dell’Occidente potrebbe forse consentire il definitivo sradicamento di un cancro, la coltivazione del papavero, che da anni contribuisce alla condizione di povertà, sottosviluppo e sfruttamento di migliaia di persone nel Sud Est Asiatico. Valeria Giacomin [email protected]

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Valeria Giacomin
Valeria Giacomin

Laurea Triennale in Finanza presso l’università Bocconi nel 2009, Double Degree in International Management con la Fudan University di Shanghai tra il 2009 e 2011 e master di secondo livello in Economia del Sud Est Asiatico presso la SOAS di Londra nel 2012. Più di due anni in giro per l’Asia e gran voglia di avventura. Tra il 2010 e il 2012 ho lavorato in Vietnam come analista, a Milano come giornalista e a Città del Capo presso una compagnia e-commerce.
Le mie aree d’interesse sono il commercio internazionale, business development e dinamiche di globalizzazione nei paesi emergenti, in particolare nel settore delle commodities agricole.
Dal 2013 sono PhD Fellow in Danimarca presso la Copenhagen Business School. Sto scrivendo la mia tesi di dottorato sull’evoluzione del mercato dell’olio di palma in Malesia e Indonesia e più in generale seguo progetti di ricerca sul settore agribusiness in Sudest Asiatico.

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