Quando fu proposta nel 2009 si chiamava “Kill The Gay Bill”, cioè progetto di legge per uccidere gli omosessuali. Ora si chiama “Jail The Gay Bill”, visto che alla pena di morte è stato sostituito l’ergastolo.
È la legge voluta da alcuni esponenti del Parlamento ugandese e dal presidente Yoweri Museveni in fase di revisione da parte di un’apposita commissione. Nel frattempo aumentano le sanzioni internazionali e il Parlamento muove guerra alle Organizzazioni non governative che difendono gli omosessuali nel Paese.
LA PERSECUZIONE DEL GOVERNO – Non c’è tregua nella battaglia che il Governo ugandese sta conducendo contro i LGBT – gay, lesbiche, bisessuali e transgender – e i loro diritti. È dal 2009 che il Governo Museveni cerca di far approvare la legge contro l’omosessualità, che trae ispirazione da teorie omofobe di alcuni esponenti delle Chiese evangeliche nel Paese. Approvata il 24 febbraio 2014, la legge prevede una condanna fino a 14 anni di carcere per chi è ritenuto colpevole di atti omossessuali e l’ergastolo in casi considerati aggravati, in cui sono coinvolti minori o persone positive al test dell’HIV. Inoltre, viene punita la promozione dell’omosessualità, ritenuta illegale, e i cittadini sono obbligati a denunciare alle Autorità chiunque sia sospettato di essere gay. Il primo agosto la Corte costituzionale abroga la legge a causa di un vizio di forma (la mancanza del numero legale per la sua approvazione), ma questo è solo un piccolo freno a un ingranaggio ben oliato che vuole correre verso l’adozione della normativa supportata in ambito religioso anche a costo di inimicarsi l’opinione internazionale.
SOSPENSIONE DEGLI AIUTI INTERNAZIONALI – Il biasimo internazionale di politici ed esponenti della società civile è stato duro e compatto e la normativa ugandese è stata definita «atroce» dal segretario di Stato statunitense John Kerry. Per Amnesty International il “Jail The Gay Bill” è un «affronto ai diritti umani di tutti i cittadini ugandesi», mentre il premio Nobel per la pace 1984, l’arcivescovo e attivista sudafricano Desmond Tutu, l’ha paragonata al regime dell‘apartheid. Stati Uniti e diversi Paesi europei, tra cui Svezia, Paesi Bassi, Norvegia e Danimarca, hanno sospeso o riallocato aiuti destinati all’Uganda per un valore di circa 140 milioni di dollari in segno di protesta contro la normativa anti-omosessualità. Gran parte dei contributi avrebbe dovuto coprire i buchi del sistema sanitario del Paese, che ora rischia un tracollo per mancanza di fondi, mentre la Banca mondiale ha sospeso un pacchetto di aiuti da 90 milioni di dollari, pari al 20% del budget totale destinato alla sanità nel 2013-2014, che dovevano essere usati per risistemare e attrezzare tredici ospedali regionali e 27 cliniche.
IL CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ONG – L’ampio coro di critiche internazionali e il blocco degli aiuti non sono stati evidentemente molto graditi dal Governo Museveni che, come ha detto in un’intervista il ministro dell’Interno James Baba, accusa le ONG di «venire qui per danneggiarci e per promuovere comportamenti molto negativi, come l’omosessualità. Da Governo responsabile dobbiamo porre un controllo».
Tale controllo si concretizzerebbe in un nuovo progetto di legge, al vaglio del Consiglio dei ministri prima di iniziare l’iter parlamentare, finalizzato a impedire alle ONG internazionali di promuovere l’omosessualità e di immischiarsi nelle questioni politiche interne dell’Uganda. «Quando approveremo la legge, – ha detto ancora il ministro ugandese, – le ONG non potranno più agire in questo modo».
Il progetto di legge prevede che tutte le Organizzazioni umanitarie dichiarino al Governo il loro bilancio annuale e le loro fonti di finanziamento e che presentino alla fine dell’anno un rendiconto di tutti i fondi ricevuti. Secondo gli operatori del settore, il progetto di legge ha l’obiettivo di mettere a tacere le voci dei gruppi locali e internazionali per la difesa dei diritti umani, che hanno sempre più denunciato le intimidazioni e le violenze ai danni dei membri dell’opposizione e il clima di impunità e corruzione che circonda i fedelissimi del Presidente. Al potere dal 1986, quando con il suo Esercito di resistenza nazionale (NRA) mise fine a cinque anni di guerriglia rovesciando il regime di Milton Obote e la giunta militare retta da Tito Okello, Museveni ha guidato l’Uganda in un periodo di espansione economica. Ma nel corso degli anni in molti lo hanno accusato di avere tendenze autocratiche, di aver fatto dilagare la corruzione e di non aver investito nelle infrastrutture e nei servizi pubblici di base. L’Uganda è al 140esimo posto su 175 nell’indice di corruzione di Transparency International del 2013 e ha registrato un calo di dieci posizioni rispetto all’anno precedente. E mentre la corruzione dilaga e il giro di vite incrementa l’oppressione, molti attivisti sono costretti ad abbandonare il Paese e a cercare asilo all’estero, con gran parte delle Organizzazioni per la difesa dei diritti LGBT costretta a chiudere dopo sollecitazioni incessanti.
Maria Sole Zattoni
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Un chicco in più
La proposta di legge contro l’omosessualità in Uganda, precedentemente soprannominata “Kill the Gay Bill” – per la pena di morte originariamente proposta e ora ridotta in ergastolo – è stata approvata dal Parlamento il 20 dicembre 2013, con la seguente firma del Presidente e la ratifica in legge il 24 febbraio 2014. Il primo agosto 2014 la Corte costituzionale ugandese ha abrogato per un vizio di forma la legge e ora il Parlamento la sta modificando attraverso una commissione ad hoc. Le relazioni omosessuali sono attualmente illegali in Uganda, come in molti Paesi dell’Africa sub-sahariana. L’attività legislativa contro gli LGBT in Uganda non è recente, ma ha preso il via nel 2009 con il parlamentare David Bahati e alcuni rappresentanti della Chiesa anglicana (Caleb Lee, Don Schmierer, Scott Lively).[/box]