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Cina, i marchi del soft power

L’ingresso in Borsa del colosso cinese del commercio elettronico Alibaba è solo l’ultimo exploit di una compagnia cinese a Wall Street. Sebbene dietro queste colossali operazioni non ci sia un mandante politico, ma un chiaro intento economico, gli effetti in termini d’immagine e reputazione sono ben accetti alla leadership cinese.

SOFT POWER – Il soft power è tradizionalmente indicato come la capacità di attrazione di un potere politico tramite modelli culturali, valori e Istituzioni. La reputazione di un attore internazionale ne stabilisce l’influenza e di conseguenza l’abilità di persuadere e convincere gli altri attori del sistema internazionale. La Cina si affida molto al soft power per convincere vicini e non delle proprie intenzioni quale potenza economica, piuttosto che militare: la diffusione dell’istituto Confucio nel mondo per far conoscere la cultura e la lingua cinese ne è un esempio. Un altro, con serie conseguenze geopolitiche, è la presenza della Cina in Africa. Per conquistare il ricco mercato africano, la Cina non si limita a prestiti accomodanti verso gli Stati in difficoltà con l’IMF, ma la leadership di Pechino usa saggiamente le proprie risorse costruendo e gestendo ospedali, ferrovie e altre infrastrutture che migliorano l’immagine cinese nel continente e nel mondo. Meno conosciuta, seppure molto efficace, è la panda diplomacy, con la quale il Regno di mezzo riconosce un rapporto speciale con un Paese dando in prestito un panda.

UNA PERFORMANCE DELUDENTE – Nella classifica internazionale Nations Brands Index, la Cina ottiene un impressionante terzo posto per il suo marchio culturale. Tuttavia, il Paese si piazza solo 43esimo su 50 rispetto a un generale appeal per il brand China, risultato principalmente dovuto alle sue povere performance in termini di governance ed esportazioni. Ciò dimostra come la cultura cinese tradizionale sia già conosciuta e apprezzata dall’opinione pubblica mondiale, così come sono conosciuti i suoi modesti sforzi nelle altre voci della classifica. Il tentativo da parte della leadership di Xi Jinping di trasformare la Cina da potenza inquinante con prodotti a basso prezzo in potenza tecnologica possono quindi essere letti come un tentativo di migliorare l’immagine del Paese all’estero. L’IPO (Initial Public Offering) del gigante dell’e-commerce Alibaba è un passo verso questa rotta.

La famiglia di Alibaba
La famiglia di Alibaba

ALIBABA – Definito dal Wall Street Journal «un mix di Amazon, eBay e PayPal, con una sfumatura di Google», Alibaba è stato fondato nel 1999 dal visionario Jack Ma per essere un contatto tra i produttori cinesi e i compratori nel mondo.
Negli anni la piattaforma si è evoluta fino a includere Taobao.com (dove gli utenti vendono qualunque prodotto esistente sul modello consumer2consumer), e Tmall.com (business2consumer), sul quale i brand possono vendere i rispettivi prodotti.
A differenza di altri siti cinesi come Baidu.com o Weibo, Alibaba non ha conquistato la propria posizione by default perché i concorrenti, Google e Facebook, sono stati censurati. Alla sua entrata nel mondo del commercio elettronico, eBay possedeva una quota di mercato delll’85%: oggi tutti gli avversari del gigante dell’e-commerce sono stati sbaragliati e Alibaba si appresta a conseguire un’IPO (offerta pubblica iniziale) da record.

IL SUO CREATORE – Jack Ma, fondatore e CEO di Alibaba, è un’interessante eccezione nel panorama degli amministratori delegati cinesi, che spesso mancano delle capacità di innovare tipiche delle economie occidentali. Primo cinese ad apparire sulla cover di Forbes e nominato da Time Magazine tra le persone più influenti al mondo, Jack Ma presenta visioni del fare business e della Cina alquanto peculiari. Perseverante e sognatore, il CEO di Alibaba crede in internet come strumento d’innovazione e crescita e propone un’idea di Cina per la quale la rete possa migliorare l’educazione, l’uguaglianza e la trasparenza nel Regno di mezzo.

Jack Ma su Forbes
Jack Ma su Forbes

TENCENT – Altra compagnia informatica il cui nome è sempre più familiare è Tencent. Creatrice della popolare applicazione di messaggistica WeChat, la quale lentamente si sta diffondendo anche al di fuori della Cina, ha raggiunto recentemente il miliardo di utenti e mira a scalzare il primato di Facebook, che ne ha duecento milioni in più.
Visto inizialmente come una copia cinese di WhatsApp e di altri popolari programmi di messaggistica, WeChat è un esempio di innovazione e miglioramento made in China di prodotti già esistenti: il programma di messaggistica permette infatti di pagare molti servizi, prenotare biglietti aerei, fare scommesse, chiamare un taxi o trasferire denaro su un altro account con grandissima facilità.

UN’AVVERSIONE COMUNE – Le compagnie cinesi non hanno però vita facile oltreoceano. Huawei e ZTE, punte di diamante del settore telecomunicazioni del gigante asiatico, hanno trovato un ambiente difficile in cui sopravvivere. Per esempio, l’House Intelligence Committee statunitense vede nelle due aziende una minaccia alla sicurezza nazionale, al punto da sconsigliare ogni acquisizione e utilizzo di componenti per paura di spionaggio industriale. Allo stesso tempo il Governo cinese ha dichiarato che Google e Apple sono una minaccia alla sicurezza nazionale e che Facebook e Yahoo trasmettono dati sensibili al Governo degli Stati Uniti. Un sistema operativo totalmente made in China è, inoltre, in sviluppo e sarĂ  obbligatorio per tutti i computer governativi.

CONCLUSIONI – La crisi asiatica del 1997 ha dimostrato ai Paesi dell’Estremo Oriente come la potenza statunitense e le Istituzioni internazionali avessero una via d’uscita a senso unico per la crisi: la ricetta del Washington Consensus. La Cina, tuttavia, offrì il suo aiuto durante la crisi per stabilizzare i mercati finanziari dei Paesi in difficoltà senza alcuna pre-condizione: la percezione di una Cina potenza regionale dotata di soft power nacque proprio in quell’occasione come conseguenza delle azioni americane. Oggi la Cina sbarca ancora una volta a Wall Street, mostrando le proprie capacità di rinnovare e creare prodotti di successo ormai in competizione diretta con i grandi marchi internazionali. Alibaba e Tencent sono solo due dei nomi che tenteranno di scardinare la supremazia di Google, Amazon e Apple. Secondo molti analisti, infatti, Alibaba surclasserà presto la Apple per valore di mercato e la sua recente entrata nei servizi finanziari non potrà che aumentare la posta in gioco. Con questa operazione le imprese private cinesi dimostrano di sapere giocare con le stesse regole degli avversari internazionali e di non farsi forti solo della dimensione del proprio mercato interno, ma anche della qualità dei loro prodotti.
I grandi brand del made in China chiedono al loro Governo quello che tutti gli altri attori internazionali chiedono: applicazione della legge, rispetto del copyright e Istituzioni che non ostacolino il mercato, bensì che lo favoriscano. I benefici d’immagine per il sistema economico cinese sono quindi incalcolabili in termini di stimoli alla cooperazione con i grandi responsabili della ricerca (R&D) che Pechino corteggia da anni, senza riuscire ancora a conquistare. Nella partita per la supremazia economica – e d’immagine – i brand giocheranno un ruolo fondamentale nell’attirare talenti e know how, rimodellando lo scenario internazionale per come lo conosciamo.

Federico G. Barbuto

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in piĂą

Un’offerta pubblica iniziale o IPO (Initial Public Offer) ha diversi benefici per una società: nell’aprirsi al pubblico, contestualmente a una quotazione in borsa, l’azienda ha la possibilità di ridefinire la propria struttura e raccogliere capitale senza dovere pagare dei tassi d’interesse come nel caso di emissione di obbligazioni o prestiti da banche. Nella classifica delle 10 più grandi IPO mai realizzate Alibaba sembra essere sulla strada per piazzarsi sulla vetta, con un importo stimato dagli analisti di Bloomberg intorno ai 20 miliardi di dollari. D’altra parte le IPO di compagnie cinesi hanno sempre fatto la storia, come dimostra la parte alta della classifica. [/box]

 

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Federico G. Barbuto
Federico G. Barbuto

Laureato in Scienze Politiche alla LUISS di Roma, dove ho anche conseguito un MA in International Relations, mi sono trasferito in Cina nel 2012 dove ho ottenuto un MA in Economics presso la Renmin University of China. Dopo aver lavorato in una compagnia di investimenti mi sono trasferito prima in Colombia e poi in Belgio, dove lavoro nel mondo dell’UE.

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