La crescita economica della Cina ha ormai raggiunto un punto critico. Il rallentamento complessivo della crescita impone alla leadership di Beijing un cambio di passo nelle riforme e nell’approccio allo sviluppo del Paese.
RIFORMA NECESSARIA – Con un’economia in transizione dal comunismo al “socialismo con caratteristiche cinesi”, un lungo periodo di stagnazione globale e un’economia in rallentamento, la Cina sembra avere ormai esaurito il potenziale di crescita fondato su esportazioni e investimenti dall’estero.
Per rendere la crescita economica sostenibile nel lungo periodo e migliorare il benessere dei propri cittadini, la leadership cinese sempre decisa a inoltrarsi nel cammino di crescita del mercato interno e dello sviluppo tecnologico.
LA POLITICA DELLA PORTA APERTA – Il modello economico export-oriented applicato negli ultimi trent’anni è stato caratterizzato da esportazioni, forte intervento del Governo in tutti i settori strategici e una lenta ma continua liberalizzazione in quasi tutti i settori dell’economia. Tale modello di crescita era stato già utilizzato con grande successo dal Giappone prima e dalle quattro Tigri Asiatiche poi, al punto da paventare un sorpasso dell’economia Giapponese su quella Americana proprio negli anni 80. L’approccio all’innovazione è stato caratterizzato inizialmente da forti importazioni di macchinari ed esperti dai Paesi più avanzati per aumentare la produzione industriale e solo in un secondo momento una maggiore liberalizzazione con un aumento degli investimenti nell’educazione e maggiori sforzi per l’innovazione nativa.
Dagli anni 2000 il processo di transizione ha raggiunto il suo culmine: l’entrata del Paese nell’Organizzazione Mondiale del Commercio ha richiesto profonde modifiche alla legislazione del regno di mezzo al fine di consentire maggiori garanzie agli investitori esteri che volessero inserirsi nel mercato cinese. Le state owned enterprises sono state ridimensionate, i quattro maggiori istituti di credito sono stati quotati in borsa e affiancati da investitori americani e il tasso di cambio dello Yuan ha iniziato un percorso di avvicinamento al suo valore di mercato.
L’INNOVAZIONE PER BEIJING – Innovazione è innanzitutto sinonimo d’indipendenza. Il regno di mezzo è sempre stato fiero della sua storia millenaria coronata da molteplici invenzioni. Il secolo delle umiliazioni, dalle guerre dell’oppio fino alla creazione della Repubblica Popolare Cinese, è ancora considerato come la grande onta da lavare, e soltanto un sano approccio all’innovazione tecnologica permette sia di fornire beni cinesi alla Cina sia di far conoscere al mondo che la Cina è tornata ad occupare il suo posto di grande potenza nel sistema internazionale. Naturalmente esistono anche motivazioni più pragmatiche che intersecano gli ideali d’indipendenza e grandezza, quali la sicurezza nazionale e la risposta alle pressioni della popolazione su tematiche sempre più in rilievo quali salute, ecologia e welfare. Proprio su questi temi il “Programma per lo sviluppo a lungo-medio termine nei settori di scienza e tecnologia” individua come aree prioritarie sviluppo di nuove tecnologie per produzione di energia pulita, sviluppo di tecnologie non inquinanti, studio del genoma e le immancabili tecnologie militari all’avanguardia.
Il piano, prodotto nel 2007, ha avuto delle modifiche dovute allo scoppio della crisi finanziaria. La leadership cinese ha, infatti, stanziato parte dei fondi anticrisi su 12 “megaprogetti” che dal settore dell’aeronautica a quello delle costruzioni si sono fatti carico di estendere i confini della tecnologia cinese e contemporaneamente sviluppare le infrastrutture del Paese.
CONSEGUENZE DELLA CRESCITA TECNOLOGICA – Inflazione galoppante, salari crescenti, richiesta di pensioni e numerosi scioperi non lasciano in realtà molta scelta ai policymaker di Beijing. Sempre più industrie stanno rilocalizzando nei loro Paesi d’origine o in altri Paesi del sud-est asiatico, Vietnam in primis. La situazione sta, quindi, mettendo in difficoltà una leadership che vorrebbe seguire i propri tempi nel cambiamento e non essere forzata dagli eventi nelle sue scelte. Se è vero che il lavoro a basso costo sembra essere sul punto di esaurirsi, la necessità di dovere rilocalizzare i milioni di low-skilled workers impegnati in industrie di proprietà straniera mette in difficoltà il Governo.
CONCLUSIONE – Con un numero di laureati crescente e una grande voglia di riconoscimento internazionale, la Cina è ormai pronta ad essere la prossima potenza tecnologica. Il nome “fabbrica del mondo” dove beni di qualità scadente sono prodotti in serie per essere rivenduti all’estero è sempre meno calzante per un Paese che vuole affamarsi come produttore di beni di consumo di qualità.
Federico G. Barbuto