Poco conosciuto in Italia, il Bhutan è al centro di un’accesa competizione geopolitica tra Cina e India, volta al controllo di importanti risorse idriche e strategiche vallate himalaiane. Ecco una breve analisi di un piccolo, ma significativo, “conflitto di vicinato” tra le due potenze asiatiche dei BRICS.
UNO SGUARDO SUL PAESE – Il Bhutan viene spesso citato superficialmente da alcuni gruppi politici come esempio positivo di armonia sociale e decrescita economica “felice”. In realtà questo piccolo regno himalaiano (700mila abitanti per circa 40mila chilometri quadrati di superficie) è al centro di un’intensa competizione geopolitica tra il gigante indiano e quello cinese, diventata particolarmente accesa soprattutto negli ultimi anni. Al momento New Delhi sembra essere in vantaggio in questa sfida, grazie a legami storici con la classe politica bhutanese, ma la Cina ha guadagnato parecchia influenza sul minuscolo vicino meridionale dopo il 2007, usando efficacemente il proprio potere economico-militare per ottenere importanti concessioni dal Governo di Thimphu. Non a caso la prima visita all’estero del nuovo premier indiano Narendra Modi è avvenuta proprio lo scorso giugno in Bhutan, chiaro segno della cruciale importanza di questo Paese per la politica estera del proprio esecutivo.
VALLI CONTESE – Ma perché tanto interesse verso questo piccolo principato buddhista, diventato una moderna Monarchia costituzionale solo nel 2005 dopo un lungo periodo di isolamento internazionale? La risposta sta nella posizione geografica del Bhutan, schiacciato a nord dalla Cina e circondato sugli altri lati dagli Stati indiani del Sikkim, dell’Assam e dell’Arunachal Pradesh. Il territorio bhutanese contiene infatti diverse valli strategiche che collegano il Tibet con l’India settentrionale, offrendo una serie di eccellenti vie di comunicazione militari attraverso la catena himalaiana. Sono soprattutto tre valli ad avere attirato l’attenzione di Pechino, che da anni cerca di impadronirsene sia con negoziati diplomatici che con sconfinamenti “involontari” delle proprie Forze Armate: le valli di Jarlakung e Pasamlung nel Nord e quella di Chumbi nell’Ovest, parte dello strategico altopiano del Doklam. Quest’ultimo si affaccia direttamente sul corridoio di Siliguri, la stretta lingua di terra che unisce il grosso dell’India con l’Assam e gli altri Stati della sua appendice nordorientale, chiusi a sud dal Bangladesh. Inutile dire che chiunque controlli l’altopiano del Doklam potrebbe, in caso di guerra, occupare facilmente il Corridoio e isolare oltre 40 milioni di cittadini indiani dal resto del loro Paese, infliggendo un colpo durissimo al Governo di New Delhi.
Tale caratteristica non è certo sfuggita alle Autorità militari di Pechino, decise ad avere una potente leva strategica nei confronti del vicino meridionale, con cui resta aperto un serio contenzioso territoriale sul Kashmir. Nel 1996 la Cina si è addirittura offerta di acquistare il Doklam per una cifra ragguardevole, rinunciando anche alle proprie pretese sulle altre valli contese. Ma il Governo di Thimphu ha rifiutato la proposta, spalleggiato ovviamente dall’India, che gode di un esclusivo diritto di supervisione della politica estera bhutanese sancito da un vecchio trattato bilaterale del 1949. Questo trattato però è stato parzialmente revisionato nel 2007, a seguito delle riforme politiche volute dall’ex re Jigme Singye Wangchuck, e le nuove disposizioni del testo hanno parzialmente emancipato le relazioni di Thimphu col mondo esterno dal ferreo controllo indiano, aprendo la possibilità di un futuro riavvicinamento con la Cina. Un riavvicinamento voluto soprattutto dalle nuove generazioni bhutanesi, stanche delle continue interferenze indiane nella vita del proprio Paese e attratte dal successo del modello economico cinese.
INTRIGHI E MINACCE – Queste istanze di rinnovamento sono state espresse apertamente dall’ex primo ministro Jigme Thinley, leader del partito monarchico Pace e Prosperità , che ha cercato di arrivare a un accomodamento con la Cina sulla questione delle valli contese dopo la sua schiacciante vittoria nelle elezioni politiche del 2008. Ma i suoi tentativi di dialogo diplomatico con Pechino sono falliti miseramente, sia per l’ostilità indiana all’iniziativa che per l’atteggiamento intransigente degli stessi cinesi, poco interessati a rispettare la sovranità territoriale del Bhutan. Sconfinamenti di truppe cinesi sono infatti continuati regolarmente durante tutto il mandato di Thinley e Pechino ha persino esteso la propria rete stradale presso la frontiera bhutanese senza permesso, ignorando le ripetute proteste del Governo di Thimphu. Indebolito politicamente da questi eventi, Thinley ha finito per perdere le nuove elezioni del 2013, cedendo il posto al suo rivale Tshering Togbay, leader del Partito democratico del popolo e dalle posizioni apertamente filo-indiane. La sconfitta di Thinley è stata anche provocata dalle pesanti interferenze di New Delhi nel processo elettorale bhutanese, con tagli strategici ai sussidi petroliferi per Thimphu volti a costringere gli elettori locali a votare per Togbay.
Naturalmente la Cina ha reagito con forza al cambio di Governo in Bhutan, irrigidendo la propria posizione nei negoziati ufficiali sulle valli contese e mandando in missione a Thimphu nella primavera 2013 l’esperto diplomatico Zhou Gang, già ambasciatore a New Delhi. Durante la visita Gang ha minacciato gravi conseguenze se il Governo bhutanese non aprirà relazioni diplomatiche dirette con Pechino, infrangendo definitivamente il monopolio indiano sulla propria politica estera. Finora Togbay ha resistito a tale richiesta, ma ha comunque fatto capire al Governo indiano che non potrà ignorare a lungo le pressioni cinesi, anche per via della costante crescita degli investimenti di Pechino nell’economia bhutanese. Da qui la breve visita di Modi a Thimphu lo scorso giugno con la promessa di aiuti economici e l’impegno a continuare ad assistere le Forze Armate bhutanesi con armi e istruttori specializzati.
COMPROMESSO IN VISTA? – Nonostante ciò, Modi sa benissimo che l’India non può fare molto per tenere fuori la Cina dal Bhutan nel prossimo futuro. Sebbene New Delhi rimanga il principale partner politico ed economico del Bhutan, piccoli eventi come la recente decisione delle Poste bhutanesi di dotarsi di veicoli di produzione cinese confermano infatti la crescente influenza di Pechino a Thimphu. L’unica strada possibile sembra dunque quella del compromesso diplomatico, anche se le trattative paiono abbastanza difficili, vista l’intransigenza cinese sull’argomento. In ogni caso l’India cercherà di difendere strenuamente i propri interessi strategici e commerciali in Bhutan. A cominciare dallo sfruttamento delle risorse idriche locali, che potrebbe assicurare un considerevole approvvigionamento energetico all’economia Indiana. Non a caso una delle promesse più importanti fatte da Modi a Togbay riguarda la costruzione di tre grandi dighe che dovrebbero produrre dal 2020 circa 1,7 miliardi di dollari di energia elettrica all’anno, rilanciando la crescita economica sia dell’India che del suo piccolo vicino himalaiano.
Simone Pelizza
[box type=”shadow” ]Un chicco in piĂą
Originariamente parte del Tibet, il Bhutan è diventato un regno indipendente solo agli inizi del XVII secolo, grazie alle imprese politico-militari del monaco guerriero Shabdrung Ngawang Namgyal (1594-1651). Anche le tradizionali leggi bhutanesi sono state create da Shabdrung sulla base degli antichi codici di disciplina morale (Tsa Yig) dei monasteri tibetani. Si tratta di una serie di norme sociali e comportamentali che tendono a promuovere l’armonia e la compassione tra gli individui. Le pene per i trasgressori sono generalmente miti e non violente, a eccezione di quelle per reati gravi come l’omicidio o la falsa testimonianza. Questo complesso di leggi è stato sostituito da una moderna Costituzione di stampo occidentale nel 2008. [/box]