Miscela Strategica – L’Africa non solo è la terra natia dei moderni mercenari, ma è anche il continente protagonista dell’evoluzione dai soldati di fortuna alle professionali società militari e di sicurezza private, nonché il luogo in cui recentemente si sta assistendo a una crescita senza precedenti di servizi di sicurezza privata e impiego nelle attività di peacekeeping.
IL RUOLO DEI MERCENARI NELLA CRISI DEL CONGO – Il mercenario, una figura che agli occhi dell’opinione pubblica sembrava essersi estinta in epoca medioevale, tornò improvvisamente alla ribalta all’inizio degli anni Sessanta come protagonista di articoli di riviste, romanzi, programmi televisivi e film, grazie a un gruppo di combattenti privati che in Congo furono in grado di tenere tra le mani le sorti dell’intero Paese. Sebbene sul suolo congolese non si contassero mai piĂą di qualche centinaio di mercenari contemporaneamente, rigorosamente separati in tre gruppi ben distinti in base alla loro origine (francesi, anglofoni e locali residenti belgi) i mercenari in Congo furono soldati così efficienti ed ebbero un tale successo che nomi come Denard, Faulques, Hoare, Peters, Schramme e Schroeder riuscirono a rimanere impressi nella storia.
Inizialmente i mercenari arrivarono in Congo nel 1960 assoldati da Ciombè, Presidente dell’autoproclamato Stato del Katanga, per riorganizzare l’esercito e respingere l’invasione dei baluba, ma si trovarono ben presto a combattere contro le truppe delle Nazioni Unite, dalle quali vennero sconfitti, per evidente inferiorità sia numerica sia di mezzi. Nel 1964 vennero nuovamente richiamati da Ciombè per sedare la sanguinosa rivolta dei simba, questa volta organizzati nel famigerato 5° Commando, diventando il fulcro dell’Armée Nationale Congolaise (ANC). I mercenari di questo battaglione erano tutti ex militari, arruolati e addestrati in Sudafrica e Rhodesia (attuale Zimbabwe), di diversa estrazione sociale e spinti dalle motivazioni più varie: problemi finanziari o guai con la legge, desiderio di avventura o di combattere per una giusta causa. Dal 1964 al 1967, ogni comandante ufficiale congolese dei reggimenti dell’ANC aveva al suo fianco un comandante operativo bianco mercenario. Per tale ragione, quando nel 1967 scoppiò la rivolta guidata dai mercenari nel tentativo di rovesciare il presidente Mobutu, questi si trovarono a combattere contro l’ANC, lo stesso esercito che fino a quel momento avevano addestrato.
PRIMI TENTATIVI DI ELIMINARE L’ATTIVITÀ MERCENARIA IN AFRICA – Per i mercenari banditi dal Congo (nel complesso se ne contarono più di duemila) non fu difficile trovare presto un nuovo ingaggio nel continente nero. Il conflitto tra i due blocchi dell’era bipolare era caratterizzato in Africa da una serie di guerre locali minori, in cui un soldato di professione riusciva a trovare facilmente occupazione. Per esempio, negli anni Sessanta e Settanta, seppur in misura minore, alcuni ex mercenari del Congo furono ingaggiati dai portoghesi in Angola e Mozambico, altri in Yemen, per addestrare le forze lealiste nell’uso delle armi moderne contro il fronte repubblicano, e altri ancora in Nigeria, durante la guerra del Biafra. A differenza del Congo, nel Biafra vennero assoldati mercenari bianchi su entrambi i fronti e ben presto si trovarono a combattere e uccidersi l’un l’altro. Inoltre, i mercenari si trovarono per la prima volta in Africa di fronte a un nemico dotato di un equipaggiamento uguale o addirittura superiore al proprio.
Quella dell’Africa con i mercenari è un’esperienza unica. Le vicende politiche del continente sono state così fortemente esposte all’interferenza dei gruppi mercenari che nel 1977 l’Organizzazione per l’Unione africana (OUA) cercò di limitarne l’impiego da parte degli Stati africani attraverso l’adozione della Convenzione per l’eliminazione dell’attivitĂ mercenaria in Africa, che proibiva il reclutamento, l’addestramento, il finanziamento e l’equipaggiamento di mercenari.
Fig.1 – Mercenari in Congo
LA NASCITA DELLE SOCIETÀ MILITARI E DI SICUREZZA PRIVATE – Alla fine degli anni Settanta i mercenari sembrarono scomparire, ma solo dalle copertine delle riviste. Domanda e offerta continuavano a crescere di pari passo. Se da una parte negli Stati africani continuava ad aumentare la richiesta di ex soldati specializzati in una gamma sempre più diversificata di attività , dall’altra parte i numerosi conflitti interni continuavano a mettere sul mercato migliaia di ex soldati addestrati, pronti a spostarsi ovunque si presentasse l’occasione. Secondo una stima del Bonn International Center of Convention, i tagli agli eserciti nazionali che seguirono la fine della Guerra Fredda misero sul mercato dai 6 ai 7 milioni di ex combattenti in cerca di occupazione.
In Africa, in modo particolare, quando nel 1980 lo Stato della Rhodesia-Zimbabwe fu riconosciuto indipendente a livello internazionale e la minoranza di bianchi perse la propria posizione privilegiata, si registrò un vero e proprio esodo di ex truppe speciali bianche verso il Sudafrica, che andarono ad aumentare le file della South African Defence Force (SADF). In Sudafrica, nel corso degli anni Novanta, con la graduale dissoluzione dell’apartheid, il passaggio dei poteri alla maggioranza nera e gli ingenti tagli anche sul personale della SADF, numerosi ex-militari esperti, addestrati, in forze e disponibili a operare in tutti i teatri militari si trovarono senza lavoro. Nacquero così le prime società militari e di sicurezza private, di cui la più nota e considerata, precursore delle più moderne, è la Executive Outcomes, fondata nel 1989 dall’ex ufficiale delle forze speciali sudafricane Eeben Barlow. Tali società , che fornivano personale militare, addestramento e servizi di supporto logistico andarono a colmare quel vuoto lasciato dalle due superpotenze che fino a questo momento avevano garantito in un modo o nell’altro supporto e sicurezza agli Stati africani.
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Fig.2 –Â Operatore privato al soldo della Nigeria durante l’intervento ECOMOG in Sierra Leone
EVOLUZIONE DELLA STRUTTURA E DELLE ATTIVITÀ – Gradualmente le moderne società militari e di sicurezza private sono state in grado di espandere la propria struttura, fino a trasformarsi in delle vere e proprie imprese transnazionali, sia per numero, sia per diversificazione delle attività in cui vengono impiegate. Avventurieri e soldati di fortuna hanno lasciato spazio a contractor che hanno ormai poco a che vedere con le vecchie bande di mercenari che, tra intrighi e spargimenti di sangue, avevano contribuito a segnare la storia dell’Africa moderna.
Sebbene esistano ancora gruppi di mercenari assoldati per interferire nella politica interna di Stati africani, questo fenomeno è divenuto via via sempre piĂą raro. Tra questi casi ritroviamo il colpo di Stato organizzato in SĂŁo TomĂ© e PrĂncipe nel luglio del 2003, a opera di un gruppo militare privato composto, tra gli altri, da alcuni ex membri del 32esimo Battaglione (Buffalo) da ricognizione delle forze speciali sudafricane, all’epoca guidate dal tenente colonnello Eeben Barlow. Un altro esempio tanto recente quanto fallimentare è il tentativo da parte di un gruppo di mercenari europei e sudafricani di destituire il presidente Obiang Nguema in Guinea Equatoriale nel 2004. Il colpo di Stato, conosciuto come Wonga Coup attirò l’attenzione dei media occidentali per il coinvolgimento di Simon Mann, ex generale ufficiale dello SAS (Special Air Service, le forze speciali dell’esercito britannico), nonchĂ© fondatore della Sandline International, e di Mark Thatcher, figlio dell’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher.
Tale declino è però stato rapidamente compensato dalla crescita di altre attività . La fine dell’era bipolare ha, infatti, contribuito ad avviare in Africa una fase di progressiva insicurezza e instabilità , che ha portato le moderne società militari e di sicurezza private ad ampliare la gamma dei servizi offerti per andare incontro alla crescente richiesta di servizi di sicurezza privata e d’impiego in attività di peacekeeping.
I SERVIZI DI SICUREZZA PRIVATA – La crescita del settore della sicurezza privata in Africa è coincisa, alla fine degli anni Ottanta, con l’erosione della capacitĂ dello Stato di assicurare l’ordine pubblico e la sicurezza dei propri cittadini. Il fallimento dei singoli Stati nel fornire sicurezza alla propria popolazione ha portato a una progressiva diminuzione di fiducia verso lo Stato e a una conseguente ricerca da parte dei cittadini di societĂ che privatamente fossero in grado di garantirne la sicurezza.
Per esempio, secondo i recenti report annuali della Private Security Industry Regulatory Authority, il numero dei security officer attivi registrati in Sudafrica è passato da 115mila nel 1997 a 390mila nel 2010, di cui 7.500 impiegati in società di sicurezza sudafricane. Con circa 150mila agenti di polizia, nel 2010, il rapporto tra agenti di sicurezza privata e agenti di polizia era di 2,57, per una popolazione di 48 milioni di abitanti, ovvero ogni 1000 abitanti 8 agenti di sicurezza privata contro 3 agenti di polizia (in Italia il rapporto è circa dieci agenti di polizia per un agente di sicurezza privata). Un trend di crescita sopra ogni aspettativa: nel 2011-2012 il numero di security officer registrati in Sudafrica ha raggiunto i 427mila e l’anno successivo i 445mila. Sempre lo scorso anno, il numero di security officer registrati, sia attivi sia inattivi, ha quasi sfiorato i 2 milioni. Con più di 9mila società di sicurezza private registrate, il Sudafrica possiede la più grande industria di sicurezza privata nel mondo. Poiché la possibilità di usufruire di servizi di sicurezza privata rimane una prerogativa delle classi più agiate, composte in Sudafrica per la maggior parte da cittadini bianchi, recentemente il dibattito interno si è focalizzato sulla questione che la fornitura di questi servizi potesse facilitare la continuazione e il rafforzamento delle disuguaglianze economiche sociali e razziali dell’apartheid.
L’IMPIEGO NELLE ATTIVITÀ DI PEACEKEEPING – L’insicurezza scaturita dalla fine dello scontro bipolare è stata uno dei fattori che ha contribuito all’aumento del numero delle operazioni di peacekeeping dispiegate sul continente africano dalle Nazioni Unite, una modalità attraverso cui le grandi potenze hanno potuto continuare a dare supporto agli Stati africani più in difficoltà , senza però essere direttamente coinvolte nei conflitti. L’aumento delle missioni di pace ONU in Africa è andato così ad alimentare la richiesta di una serie di attività legate alla sicurezza e ai servizi militari, che potessero essere subappaltate a società esterne, quali addestramento, supporto logistico, fornitura del personale di sicurezza, trasporto e addirittura rimozione delle mine, un mercato stimato in oltre 33 miliardi di dollari. Lo sviluppo del peacekeeping in Africa ha così fortemente contribuito non solo alla proliferazione nel continente di società militari e di sicurezza private, per lo più non africane, ma anche alla trasformazione di queste, per il tipo di attività in cui attualmente vengono coinvolte, da “operatori di guerra” a veri e propri “operatori di pace”.
Le più grandi società militari e di sicurezza private al mondo sono state coinvolte in tutte le principali missioni di peacekeeping dispiegate in Africa a partire dagli anni Novanta. Per esempio, la Brown and Root Services (BRS) venne ingaggiata nel 1992 in Somalia (missione UNITAF) per occuparsi della fornitura dei servizi di logistica del campo, quali mensa e lavanderia, e nel 1994 si aggiudicò un nuovo appalto per la missione in Ruanda (missione UNAMIR). L’International Charter Incorporated (ICI) è stata più volte assoldata per trasportare personale, truppe e rifornimenti in Liberia, Sierra Leone e Nigeria. La Pacific Architects and Engineers (PAE) si è occupata nel 2002 di un trasferimento di armi in Costa d’Avorio e nello stesso periodo si è trovata impegnata insieme alla Dyncorp in Sierra Leone e Burundi, mentre la Military Professional Resources Inc. (MPRI) si è occupata dell’addestramento di peacekeeper nigeriani in Liberia (Gruppo di controllo ECOMOG – missione UNOMIL).
La confluenza del settore militare privato all’interno delle missioni umanitarie di peacekeeping ha sollevato una serie di sfide, intorno alle quali ruotano i piĂą recenti dibattiti sulla questione. In primo luogo, il mercato non è sufficientemente regolamentato, non esistono linee guida o standard sui quali si fissino vari diritti e responsabilitĂ degli attori privati. Inoltre, c’è la tendenza a ingaggiare queste societĂ con modalitĂ ad hoc per ogni missione e ciò implica che la conoscenza e i principi di best practice restino di volta in volta limitati. Nel lungo periodo, la presenza di societĂ militari e di sicurezza private potrebbe anche compromettere l’esito della missione, poichĂ©, se percepite negativamente dalla popolazione locale, potrebbe venire meno quella neutralitĂ di cui le Nazioni Unite sono araldo, andando a moltiplicare la matrice delle forze armate presenti nella zona di conflitto e quindi il numero di disordini e violenze. Se da una parte c’è chi si scaglia contro la commistione di pubblico e privato anche all’interno delle missioni umanitarie in Africa, dall’altra parte c’è chi ritiene che i nuovi mercenari siano gli unici che effettivamente stanno contribuendo a creare una cornice di sicurezza nel posto meno sicuro del mondo.
Martina DominiciÂ
[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in piĂą
Uno degli obiettivi che gli Stati africani volevano raggiungere con l’adozione della Convenzione dell’Organizzazione per l’Unità africana (OUA) per l’eliminazione dell’attività mercenaria in Africa (CEMA) del 1977 era quello di dare una definizione meno restrittiva della figura del mercenario rispetto all’art. 47 del Primo protocollo alle Convenzioni di Ginevra del 1949. La Convenzione, entrata in vigore nel 1985 e a oggi firmata da 26 (e ratificata da 25) Stati su 53, era però essenzialmente rivolta agli individui che agiscono contro il Governo di uno Stato appartenente all’OUA o contro i movimenti di liberazione anticoloniali e non disciplina in alcun modo l’impiego di mercenari in caso di conflitti interni o repressioni.[/box]
Foto: ssoosay