È una questione poco conosciuta, ma molto complessa, quella della regione separatista dell’Azerbaigian, a cavallo tra Armenia e Turchia. Interessi geopolitici ed economici si sovrappongono, rendendo l’area ‘stabilmente instabile’.
LE ORIGINI – Nota come frozen conflict (conflitto congelato), la questione della minoranza nazionale del Nagorno-Karabach, connessa alla storica presenza di turchi azeri, cristiani armeni e altre etnie, rimane tuttora irrisolta. È il 20 febbraio 1988 quando la maggioranza armena del Soviet della regione autonoma del Nagorno-Karabach, parte integrante della Repubblica socialista sovietica dell’Azerbaijan, delibera il passaggio dell’amministrazione del territorio alla Repubblica socialista sovietica dell’Armenia. Lo scontro ha inizio. Mentre la reazione della Russia di Gorbaciov, nel luglio 1988, fu tesa a mantenere lo status quo per i confini interni alle Repubbliche socialiste sovietiche, l’Armenia reagì con la formazione di un Comitato armeno del Karabach, e l’Azerbaijan con la mobilitazione del Fronte popolare. Il riferimento al principio di autodeterminazione dei popoli e la legislazione sovietica (che garantiva alle Repubbliche autonome il diritto di unirsi o separarsi dall’URSS) portarono de facto alla proclamazione unilaterale dell’indipendenza della Repubblica del Nagorno-Karabach, il 6 gennaio 1992, con capitale Step’anakert. Alla fine del 1993 l’Armenia riuscì a consolidare la compattezza territoriale del Karabach e il bilancio fu di un milione di profughi e circa 30mila vittime tra civili e militari di entrambi gli schieramenti. Il cessate il fuoco arrivò solo il 12 maggio 1994 a seguito dell’accordo di Bishkek, che tuttavia non portò alla firma di alcun trattato di pace. La guerra non è mai finita davvero. Gli Stati della regione (quali Iran, Turkmenistan, Federazione russa), unitamente alle iniziative delle Nazioni Unite, tentarono di proporre accordi di mediazione tra le parti in causa, a partire dalle quattro risoluzioni ONU per la cessazione degli scontri e il rispetto dei conflitti nazionali. Contestualmente la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (l’odierna OSCE, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) propose la creazione del Gruppo Minsk, composto dagli undici Paesi OSCE e attualmente presieduto dalla Federazione russa, dalla Francia e dagli Stati Uniti. Nonostante il processo di Praga del 2004 (teso a incentivare rapporti e trattative dirette tra i Governi protagonisti dello scontro) e l’avvio di un processo di mediazione e pace nel 2007 fondato sui principi di Madrid, gli scontri rimasero in una situazione di stallo, tra la ricerca di un compromesso e una graduale transizione verso la guerra. E anche sulla natura di quest’ultima sussiste una certa indecisione: per l’Armenia si tratta di guerra di liberazione, per l’Azerbaijan di guerra d’aggressione e per il Nagorno-Karabach di guerra di secessione.
LA RIPRESA DEL CONFLITTO – In Nagorno-Karabach non è tanto il conflitto a essere congelato, bensì il processo di pace. A testimoniarlo, a partire da fine luglio, l’escalation militare sulla linea del fronte e circa 20 morti (questi i dati forniti dai due Governi in mancanza di osservatori internazionali nel territorio). Oltre a mettere in discussione il rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario, il conflitto risulta avere serie ripercussioni per l’equilibrio geopolitico della regione. Innanzitutto la Repubblica del Nagorno-Karabach non è riconosciuta da alcuno Stato al mondo, men che meno dall’Armenia. Nonostante il Governo di Step’anakert cerchi di creare una struttura statale, attraverso l’organizzazione di regolari esercizi elettorali e l’istituzione di nuove pratiche rituali connesse alla celebrazione del ventitreesimo anniversario della “indipendenza”, l’Azerbaijan rifiuta la sua partecipazione ai negoziati, ritenendo l’Armenia lo Stato aggressore. Il nodo del Karabach regola dunque la politica interna dei due Stati, il cui sviluppo economico negli ultimi dieci anni è stato completamente diverso. Mentre in Armenia, dal 2002 al 2012, il PIL è cresciuto da 2 a 10 miliardi, l’Azerbaijan ha avuto un maggiore sviluppo sia economico sia militare, contando su un aumento del PIL da 6 a 60 miliardi di dollari. L’ascesa del Governo di Baku a potenza energetica ha fornito sufficienti risorse per ampliare la propria forza militare e la propria influenza a livello internazionale. Nel 2014 l’Azerbaijan ha infatti dichiarato di voler aumentare le spese militari del 7,1%, più dell’intero bilancio nazionale armeno (fonte APA- Azerbaijan Press Agency).
LO SCACCHIERE INTERNAZIONALE – L’intera regione caucasica rimane un’area stabilmente instabile, in cui gli interessi delle potenze internazionali sono in continuo contrasto. Gli attori che sfruttano le rivalità del Karabach sono innanzitutto due dei tre Paesi che costituiscono la trojka del Gruppo Minsk, Russia e Stati Uniti, seguiti dal Governo di Ankara. Quest’ultimo ritiene il nodo del Karabach un serio ostacolo al proprio piano geoeconomico di garantire un equilibrio regionale. Tuttavia, la Turchia ha fornito al Governo di Baku il proprio sostegno incondizionato in caso di necessità, a seguito di un accordo di assistenza militare siglato nel 2010. Il ruolo della Russia nella regione è stato, sin dall’inizio, quello di arbitro nelle dinamiche regionali. Da un lato, a seguito della ristrutturazione della 102a base militare, la Russia ha segnalato un possibile coinvolgimento a fianco dell’Armenia in caso di attacco da parte dell’Azerbaijan. Dall’altro lato, il Governo di Mosca e Baku hanno firmato un accordo per la fornitura di armamenti, necessario a causa dell’embargo mantenuto dalla maggior parte dei Paesi NATO. Infine, gli Stati Uniti si trovano sia a dover regolare le pressioni delle lobby armene, sia a mantenere il ruolo della Turchia nel corridoio di collegamento eurasiatico. L’Azerbaijan riveste, infatti, una fondamentale influenza per i collegamenti del corridoio energetico est-ovest che permette il passaggio delle risorse di petrolio e gas dai giacimenti centro-asiatici ai mercati europei, attraverso la Turchia. Un simile assetto sembrerebbe, dunque, escludere o almeno limitare lo scoppio di una nuova guerra. Tuttavia gli equilibri reali della regione risultano estremamente fragili e fraintendibili, tali da far raggiungere dimensioni imprevedibili.
Eleonora Lombardi
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Un chicco in più
Per ulteriori approfondimenti sul conflitto in corso nel Nagorno-Karabach si raccomanda la lettura del libro: Black Garden: Armenia and Azerbaijan Through Peace and War, di Thomas de Waal, New York, New York University Press, 2003.[/box]