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L’ascia o raddoppia

Prendete due Paesi divisi da un profondo odio reciproco, Armenia e Azerbaigian, un omicidio a colpi di accetta di un tenente armeno, tale Gurgen Margaryan, ad opera di un suo pari grado azero, tale Ramil Safarov, l’incarcerazione, l’estradizione in madre patria e la scarcerazione tra acclamazioni ed avrete ottenuto la perfetta ricetta per un escalation nel Caucaso meridionale; il Caffè di oggi vi porta nel “Nero giardino montuoso”, il Nagorno-Karabakh

UNA STORIA TORMENTATA – Come spesso accade per le regioni del mondo contese, il Nagorno-Karabakh è caratterizzato dalla presenza di più etnie nel territorio, oltre che da un magnifico paesaggio montuoso con un passato quasi senza fine. “Passata di mano” molte volte nel corso degli anni, al giungere dell’era sovietica nel Caucaso meridionale il Nagorno-Karabakh divenne regione autonoma all’interno della repubblica socialista sovietica azera, nonostante la maggior parte della propria popolazione sia di etnia armena. Questa sistemazione funzionò fintanto che Mosca era forte, ma negli anni ’80 la presa su questa zona di confine si allentò e la tensione fra i gruppi etnici aumentò, fino ad esplodere nel 1988 in un conflitto durato 6 anni e costato circa 30000 morti (una cifra definitiva non si è mai avuta) e diverse centinaia di migliaia di profughi. La Repubblica del Nagorno-Karabakh, autoproclamatasi il 6 gennaio 1992 e non riconosciuta a livello internazionale, conquistò una indipendenza de facto, occupando anche territori azeri che permettono il diretto collegamento con lo Stato armeno. La tregua, giunta nel 1994 e sponsorizzata dal Gruppo di Minsk, è sinora servita soltanto a sancire una situazione di stallo, ma il processo di pace è arenato da tempo e ora in lontananza non si avvistano certo le colombe. LO STRANO CASO DI MR. SAFAROV – Nel 2004 la NATO organizzò un corso trimestrale di inglese a Budapest, al quale parteciparono anche i due tenenti Safarov, azero, e Margaryan, armeno; l’odio che intercorre tutt’ora tra le due Nazioni spinse il primo a uccidere nel sonno, a colpi d’ascia, il tenente armeno. Le autorità ungheresi provvidero a condannare Safarov all’ergastolo, detenendolo in uno dei propri carceri fino al 31 agosto scorso, data nella quale fu eseguito l’ordine di estradizione verso l’Azerbaigian a seguito delle ripetute assicurazioni da Baku che il condannato avrebbe terminato di scontare la sentenza. Purtroppo le promesse non sono state mantenute.

EROE A CASA PROPRIA – Una volta tornato sul suolo natio, Safarov è stato infatti scarcerato a seguito della grazia concessa dal Presidente Aliyev (foto sotto) e dichiarato eroe nazionale davanti ad una folla acclamante. Inevitabile l’indignazione armena ed internazionale: Yerevan ha naturalmente accolto questo gesto come una pura provocazione atta a ravvivare la tensione latente tra le due capitali, mentre molti altri Stati hanno deplorato quanto deciso da Aliyev e la NATO stessa, nella figura di Rasmussen, Segretario Generale dell’organizzazione, che ha dichiarato: “La  decisione delle autorità azere di graziare questo ufficiale dell’esercito certamente non contribuisce alla pace, alla cooperazione e alla riconciliazione nella regione”.

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LA GUERRA ALLE PORTE – Così come in Armenia, nemmeno nel Nagorno-Karabakh i fatti sono seguiti “a cuor leggero”: l’eventualità di uno scontro non è remota e la tensione cresce di giorno in giorno; dal 1994 scontri occasionali alla frontiera si sono sempre verificati, ma recentemente gli incidenti sono aumentati e con essi il numero di vittime da entrambe le parti. “In un momento di simili tensioni” sostiene Andras Lederer, un ex-consulente presso l’International Republican Institute in Georgia, “Le persone sono più inclini a prendere le armi”, “E’ per questo che questa storia dell’omicida giunge in un pessimo momento”. Ma se l’Armenia poté approfittare nel 1993 di una crisi politica e militare in Azerbaigian, conquistando così la vittoria nel conflitto, oggi Baku gode di una preponderanza militare e demografica che difficilmente potrebbe essere rovesciata. Tuttavia, data la situazione, secondo Lilit Gevorgyan, analista presso IHS Global Insight,  “L’Armenia è costretta a rafforzare la propria posizione e forse a ritirarsi dalle trattative di pace” ed aggiunge:” Sembra che i mediatori stiano esaurendo le opzioni e c’è solo una via, una soluzione militare”. Oltre a quanto indica Gevorgyan, una possibile azione di Yerevan per “raddoppiare” la posta in gioco potrebbe essere il riconoscimento della piccola repubblica ai propri confini.

AL DI LÀ DI BAKU E YEREVAN – Passando all’Ungheria, il Paese che ha dato il là a questa nuova tensione, il Governo di Viktor Orban è travolto da un’ondata di critiche. Alle prevedibili proteste armene che additano Budapest come complice delle decisioni di Aliyev, si uniscono quelle dell’opposizione ungherese e queste ultime non sono certo leggere: l’accusa al governo Orban è quella di aver accettato l’estradizione di Safarov in cambio dell’acquisto da parte azera di 3 miliardi di titoli di stato;ovviamente nulla è dimostrato, ma a sostenere i sospetti di un simile accordo interviene anche Ferenc Gyurcsany, ex-primo ministro ungherese, che afferma di aver rifiutato a suo tempo di “Vendere l’onore del Paese in cambio di trenta pezzi d’argento”. Il dubbio di un simile accordo si è insinuato nell’opinione pubblica non solo ungherese, ma nel frattempo a Budapest è stata recapitata il 3 settembre all’ambasciata di Baku una lettera minatoria, scritta in turco.

MAMMA LI TURCHI! – Il contenuto della lettera minatoria, se seguito dal concretizzarsi di quanto ipotizzato, rischia di destabilizzare ulteriormente la situazione, coinvolgendo un altro attore nella vicenda: la Turchia. Questo perché viene minacciato, oltre a possibili obiettivi di nazionalità azera, il popolo turco, ricordando nel contempo il suo ruolo nel genocidio armeno di inizio XX secolo e il sostegno che l’ASALA (Armenian Secret Army for the Liberation of Armenia) darebbe al PKK in segno di gratitudine per la lotta contro i turchi. E mentre si susseguono smentite dell’ASALA stessa e nuove lettere minatorie, l’ipotesi di un coinvolgimento turco non può certo sembrare volontariamente ricercata dalle autorità armene, già fin troppo pressate dal fronte del “Nero giardino montuoso”.

Matteo Zerini [email protected]

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Matteo Zerini
Matteo Zerini

Laureato magistrale in Relazioni Internazionali presso la Statale di Milano, frequento ora il master Science & Security presso il King’s College di Londra. Mi interesso soprattutto di quanto avviene in Europa orientale, Russia in particolare, e di disarmo e proliferazione, specie delle armi di distruzione di massa.

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