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Tutti gli uomini del Presidente

Ad un anno dalle elezioni Presidenziali, andiamo a vedere la struttura di potere alla base delle più importanti decisioni prese da Barack Obama in ambito economico e finanziario. Tanti uomini, da Larry Summers a Paul Volcker passando per Ben Bernanke, che hanno impresso orientamenti a volte contrastanti fra loro. Il tutto all'insegna di un turn-over che ha portato ad un ricambio frequente alle leve del potere

CHI MUOVE I FILI? – La cifra della presidenza Obama (o almeno del suo primo tempo, se di questo si tratta) rimarrà negli annali il “leading from behind”. E’ una definizione coniata con riferimento alla politica estera e di sicurezza nazionale, ma la gestione dell’economia, per sua natura e tempi, ricade molto più sotto il dominio del legislativo, per cui si è dovuto fare i conti anche con rapporti di forza parlamentari sfavorevoli al presidente (soprattutto dalle elezioni di mid term, un anno fa). Da un elenco dei collaboratori e consiglieri economici che si sono avvicendati nelle posizioni chiave si sviluppa così il profilo di una presidenza, di una impresa politica, con le sue ambizioni, le sue battaglie, le sue cadute, i punti di resistenza, e le sue speranze. Emerge appunto un percorso tormentato, ma lasciamo decidere ai fatti e al libero giudizio del lettore se l’intenso turn over nell’entourage presidenziale riveli erraticità, opportunismo, pavidità o una mano forte e una testa pensante “dietro le quinte”.. Si deve partire da due coordinate fondamentali, una esterna e una interna:

a) Da molti mesi si propone una divaricazione tra Usa e leadership UE, sulla politica economica. Mentre gli europei insistono su un rigore fiscale incondizionato, visto come unica e urgente soluzione agli squilibri finanziari degli stati, gli americani puntano a una strategia dei due tempi: risanare prima le economie, recuperare competitività e occupazione, e la base industriale duramente colpita da crisi e delocalizzazione, e poi procedere con decisione, e con un respiro di medio periodo, alle necessarie politiche fiscali restrittive. b) Qual è la formazione, e la provenienza dei consiglieri? Quanti e quali di essi vengono dalla grande finanza di Wall Street? E’ un aspetto sensibile, considerata la grandissima importanza che ha la riforma del sistema finanziario nel programma obamiano, e il ruolo della finanza sregolata nel tracollo del 2008 e nella perdurante crisi economica. “I BIG” – Cominciamo con chi non c’è ma avrebbe potuto esserci. i grandi economisti della sinistra – Paul Krugman, Joseph Stiglitz, Robert Reich – che avevano salutato il mandato Obama con grandi speranze, sono ormai arroccati su posizioni fortemente critiche o comunque ben distanti rispetto al presidente e alla sua gestione economica, considerata ormai persa in una inconcludente deriva centrista. Anche se le sferzanti e frequenti contestazioni di Krugman sul NYT lasciano spesso un piccolo margine di aspettativa. Sono professori universitari, Krugman e Stiglitz (a suo tempo vice-presidente della Banca Mondiale, che ovviamente non è una semplice banca) in particolare sono premi Nobel. Reich fu l’economista di riferimento del primo Clinton, prima che la svolta moderata del presidente lo mettesse fuori gioco, assieme al progetto di riforma sanitaria della moglie Hillary. Il vecchio Paul Volcker (nella foto sotto), a suo tempo considerato il “consigliere del Principe”, il più influente collaboratore di Obama per la politica economica, ha presieduto l'Economic Recovery Advisory Board voluto dal presidente, e ha ispirato la riforma del sistema finanziario (Dodd-Frank Act, luglio 2010) contro cui la grande finanza Usa ha condotto una guerra senza quartiere, incondizionatamente appoggiata dalla destra repubblicana e da una parte degli stessi democratici. La battaglia più aspra, si è combattuta proprio sulla “Volcker Rule”, il divieto quasi completo alle grandi banche commerciali di operare in proprio (e cioè attingendo alla massa di depositi dei risparmiatori) sui mercati speculativi – borsa, derivati, partecipazioni superiori al 3% in hedge fund. L’asse Obama-Volcker è stato battuto, ma la questione rimane aperta. Volcker con la sua autorevolezza ha potuto coprire il presidente anche "a destra", dalle accuse di socialismo e ostilità ideologica alla libera impresa – si è dimesso nel febbraio 2011. E' stato a lungo presidente della Federal Reserve, negli anni di Reagan. Si dimise per insanabile contrasto sulla politica di deregulation finanziaria, da lui considerata foriera di disastri. Negli anni successivi si prese anche lui qualche passaggio “on the wild side” della finanza, alla guida della banca d’affari  J. Rothschild, Wolfensohn & Co, per assumere poi, nel 1996, la presidenza dell’ Independent Committee of Eminent Persons – fondato per indagare sui conti dormienti in Svizzera degli ebrei periti nell’Olocausto, e trattare con gli istituti finanziari coinvolti. Altra personalità fondamentale, quasi un contrappunto di Volcker nell’entourage presidenziale, è stato Larry Summers, già segretario al Tesoro di Clinton, e alla guida del National Economic Council per due anni, fino a novembre 2010. Anch'egli autorevolissimo professore a Harvard, Summers è un po’ l’altro volto della presidenza Obama in politica economica. Si può dire che la guerra sotterranea tra i due grandi consiglieri per il cuore della presidenza Obama sia la vera storia della prima fase di politica economica: noto per una impostazione più centrista e contrario alla Volcker Rule, spesso in contrasto con lo stesso ex-presidente fed (che, si dice, fu poi estromesso dai meeting nello studio Ovale), Summers si è opposto alla introduzione di limiti alle stellari retribuzioni dei top-manager finanziari, ha impresso un orientamento pro-business allo stimolo fiscale (sgravi alle imprese, anziché fondi per le infrastrutture), è stato criticato per conflitto di interessi (avendo ricevuto nel 2008 ricchissimi bonus da un hedge fund e da società poi salvate/aiutate da fondi pubblici). Come Segretario al Tesoro di Clinton aveva sostenuto l’abrogazione parziale del Glass-Steagall Act, precisamente delle norme che stabilivano una separazione tra banca d’affari e banca commerciale. Un salto di qualità nella deregulation avviata da Reagan che aprì le ultime dighe alla speculazione. Summers ha lasciato l’incarico al Nec alla fine del 2010.

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GLI ALTRI – In polemica con Summers si è dimessa nel settembre 2010 un’altra importante collaboratrice del presidente, Christina Romer, presidente del Council of Economic Advisers. Pare che Romer – cui competeva la elaborazione di simulazioni econometriche per l’impatto delle misure di stimolo all’economia varate nel 2009 – fosse favorevole a un programma più vasto (almeno 1.2 trilioni di dollari, anziché gli 800 miliardi poi approvati), e che il presidente del Nec abbia praticamente impedito la discussione stessa della questione col presidente. La Romer viene dall’Università di Berkley, dove insegna economia. Peter Orszag, altro economista-chiave, è stato direttore dell’ Office of Management and Budget, si è dimesso nel luglio 2010. Ha avuto un ruolo cruciale nella elaborazione del piano di riforma della sanità, ma i suoi sforzi per convincere il presidente a rompere la promessa elettorale e aumentare le imposte anche per una parte della classe media sono stati frustrati. Anche in questo caso pare che l’influsso di Summers su Obama sia stato una barriera insuperabile (questa volta un influsso di sinistra, o keynesiano, dunque). Ma si deve notare come il presidente – pressato anche dalla sinistra affinchè lanciasse un nuovo grande piano di spesa pubblica – abbia scelto una via pragmatica e intermedia. Si deve assolutamente ricordare Elizabeth Warren, se pure è una esperta di diritto economico e finanziario, più che una economista in senso stretto: ha concepito e praticamente costruito la nuova authority federale che vigila sui prodotti finanziari, contemplata dalla legge di riforma del sistema finanziario per proteggere i consumatori contro le banche – su di lei e la nuova agenzia si è concentrata gran parte della durissima offensiva di Wall Street e dei repubblicani. Non ha potuto presiedere il nuovo organismo, ma ora si candiderà al Senato. E’ professoressa di diritto commerciale ad Harvard. Non è un consigliere, ma il partner del presidente nel tandem che guida la politica economica e monetaria del paese, come presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke. Era nel comitato della Fed, poi nel consiglio di esperti economici del presidente con Bush jr., anche lui autorevole professore di economia, alla Princeton University. La sintonia con l’orientamento presidenziale appare chiara, e in effetti i due presidenti sono perfettamente accomunati nelle violente accuse della destra repubblicana come cospiratori contro la potenza americana (Obama come socialista spendaccione antiamericano e incapace – Bernanke accusato di annacquare il dollaro, per la politica di allentamento quantitativo, cioè l’espansione della liquidità in circolazione). Ultimo, ma non ultimo, c’è l’alter ego economico, l’enigmatico Tim Geithner, il segretario al Tesoro, spesso in predicato di dimettersi. Viene dai vertici della Federal Reserve. Andrea Caternolo [email protected]

 

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