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Venerdì 13 gennaio si è concluso a Quito il viaggio latinoamericano del presidente iraniano Ahmadinejad, che ha portato il mandatario di Teheran a visitare Venezuela, Nicaragua, Cuba ed Ecuador. Lo scopo del viaggio era la ricerca di sponde politiche in un momento di tensione crescente con Washington. Il presidente iraniano non è nuovo a viaggi nel subcontinente: dalla sua elezione si contano ben 5 viaggi diplomatici in un’area chiaramente estranea agli interessi diretti di Teheran. Mai come in questo caso, però, le ragioni di immagine hanno assunto un rilievo particolare rispetto a quelle commerciali

LA STRANA COPPIA – Il principale referente iraniano in America Latina è senza alcun dubbio il Venezuela, meta privilegiata di ogni viaggio diplomatico di Ahmadinejad. Con Caracas esistono legami principalmente politici fin dall’elezione del presidente iraniano, dovuti a ragioni ideologiche più che commerciali: a dispetto dei numerosi accordi di libero scambio conclusi fra i due partner, le due economie sono troppo simili per intavolare scambi commerciali proficui. Entrambi sono infatti esportatori di petrolio, e la cooperazione non può andare oltre partnership tra le due agenzie petrolifere nazionali e la significativa collaborazione in seno all’OPEC per mantenere alti prezzi del greggio. Ciononostante, il sostegno chavista per l’alleato è stato pressoché incondizionato, anche nei momenti più controversi della storia recente iraniana: da ricordare la condanna esplicita da parte venezuelana delle proteste di piazza contro il risultato delle elezioni presidenziali del 2009, viste come emanazione diretta degli interessi statunitensi nell’area. Chiaramente le ideologie che reggono i due paesi presentano notevoli differenze, ma sono unite nella condanna dell’imperialismo statunitense e in un malcelato populismo, elementi che si rafforzano a vicenda. Anche in questo caso la condanna dell’azione statunitense e delle storture del sistema capitalistico è stata esplicita, con tanto di inviti alla costruzione di un nuovo ordine mondiale in grado di superare l’attuale egemonia statunitense: come detto, in questa occasione le ragioni ideologiche e di immagine hanno preso il totale sopravvento su quelle commerciali, dato che non si ha notizia di eventuali accordi economici fra l’Iran ed i paesi visitati da Ahmadinejad.

QUATTRO TAPPE – Le altre destinazioni scelte da Ahmadinejad per il suo viaggio ne confermano le ragioni simboliche: Cuba, Ecuador e Nicaragua fanno infatti parte di quell’eje bolivariano esplicitamente anti-statunitense, e non offrono significative possibilità commerciali per Teheran. Si tratta di tre economie decisamente modeste, poco rilevanti anche a causa della distanza geografica dall’area geopolitica di interesse per Teheran. Il tema degli incontri conferma questa sensazione: in Nicaragua Ahmadinejad ha semplicemente assistito alla cerimonia di insediamento del presidente Ortega in occasione del suo terzo mandato, mentre le discussioni pubbliche con Castro e Correa si sono limitate alla difesa del programma nucleare civile iraniano, alla consueta condanna dell’imperialismo yankee e del sistema capitalistico mondiale. D’altra parte, la reazione statunitense non si è fatta attendere: il Dipartimento di Stato ha sottolineato la possibilità di sanzioni economiche per quegli stati che concludono accordi con la Banca Centrale Iraniana, mentre il console venezuelano a Miami, Livia Costa, è stata dichiarata “persona non gradita” a causa dei sospetti sulla sua partecipazione ad attacchi informatici contro le centrali nucleari statunitensi.

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FORZA O DEBOLEZZA? – Se da un lato l’obiettivo iraniano era quello di dimostrare che Teheran non è isolata e gode di sostegno nel suo tentativo di sviluppare un programma nucleare civile, il rischio concreto è che il viaggio di Ahmadinejad dimostri l’esatto contrario: a causa della crisi interna del tradizionale alleato siriano Teheran si trova politicamente isolato in una regione popolata da governi generalmente ostili. Appena un anno fa, infatti, i cables di Wikileaks rivelavano le pressioni saudite sul governo statunitense per condurre un attacco contro i laboratori nucleari iraniani: il sentimento di ostilità verso il regime sciita è decisamente diffuso fra i governi sauditi della zona, timorosi di dover competere con un Iran nucleare per la supremazia del mondo arabo. Il fatto che i principali sostenitori iraniani si trovino ad una distanza pressoché siderale dal Medio Oriente non fa altro che confermare l’isolamento di Teheran: dall’America Latina potranno solo venire voti contrari alle varie sanzioni proposte da Washington, assieme ad un appoggio politico ed ideologico di dubbia utilità pratica.

Francesco Gattiglio [email protected]

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