L’esecutivo greco è attivo da giorni nella consultazione dei principali partners europei: oggetto degli incontri l’annosa questione del debito. Nonostante alcuni segnali di apertura dopo il Consiglio Europeo del 12 febbraio, la retorica del cambiamento sembra affievolirsi di fronte all’intransigenza di alcune cancellerie che deplorano Atene per non voler rispettare gli accordi precedentemente stipulati con la Troika. Quali scenari si prospettano per l’economia ellenica?
L’ANATEMA DEI GRECI– Le stime dell’OCSE (le previsioni arrivano al 2016) raccontano di una Grecia diversa, in ripresa dopo anni di crisi, in crescita. Ciò potrebbe indurre a credere nell’efficienza dell’austerità, che anni di privazioni, tagli, ridimensionamento della spesa pubblica e distruzione della domanda interna abbiano condotto la Grecia lontano dalle pendici del disastro sociale. In altre parole, le “riforme” avrebbero funzionato e il popolo greco si appresterebbe a raccogliere i frutti del sacrificio economico.
Non vi è interpretazione più lontana dal vero. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale (FMI), in un paper datato giugno 2013, sottolineano come il programma SBA (stand-by arrangement), attraverso il quale un Paese riceve sostegno finanziario al fine di riequilibrare la propria bilancia dei pagamenti, non abbia sortito gli effetti sperati. Gli aiuti alla Grecia, condivisi dalla famosa “troika” (FMI, CE e BCE) erano subordinati all’attuazione di una serie di “riforme strutturali”, le quali, data l’assenza della flessibilità del cambio, avrebbero facilitato la svalutazione interna e accelerato la crescita economica. Obiettivo di una tale procedura era quello di ripianare i conti ellenici con l’estero, scoraggiando le importazioni attraverso un massiccio indebolimento della domanda interna per mezzo di un drastico taglio della spesa pubblica e dei salari. Non sorprende che in piena tranche di aiuti, nonché d’attuazione delle riforme, il PIL ellenico sia pesantemente calato (i dati OCSE mostrano un passaggio dal -4,36 del 2009 ad un -6,62 del 2012; PIL reale). Ammesso sia possibile ritenere la Grecia un Paese dalla ritrovata competitività non vi sono ragioni per negare che ciò sia dipeso dall’abbattimento dei salari e dall’aumento delle tasse, quindi da un imposto peggioramento delle condizioni di vita.
Solo sorrisi di circostanza fra Tsipras e la Merkel?
DEBITO PUBBLICO O DEBITO PRIVATO? – E’ notizia di questi giorni l’intenzione dei vertici ellenici di rinegoziare parte degli accordi stipulati con la Troika al fine di ottenere sconti cospicui sull’ammontare dei debiti contratti al parossismo della crisi economica. Si discute altresì dell’ipotesi di una ristrutturazione del debito, la quale attenuerebbe l’immensa spesa per interessi che grava sul governo di Atene. Intenzioni, discussioni appunto. Tsipras sta optando per un “calmante”, misure che possano concedere all’economia greca un momento di respiro senza tuttavia mettere in discussione la permanenza di Atene nell’eurozona dimenticando che questa prevede il rispetto di alcune regole, funzionali ad un Paese piuttosto che a un altro. Sperare che Berlino, a cui le vesti dell’eurozona calzano perfettamente, accordi un taglio del debito creando un rischioso precedente, è illusorio. Inoltre i dati mostrano che quella del debito pubblico è una zavorra partorita dalla crisi economica, non la causa di essa. La dinamica del debito pubblico greco raggiunse picchi ragguardevoli solo in seguito allo scoppio della crisi, più precisamente in concomitanza con l’adesione di Atene al piano di aiuti internazionali (2009-2010). È possibile ritenere che l’intervento dello stato a sostegno del settore privato, questo sì insolvente, abbia dilatato il debito pubblico. Sebbene i numeri siano diversi, l’esposizione debitoria privata nel periodo precedente lo scoppio della crisi economica aumentò nei paesi cosiddetti “periferici” dell’Eurozona.
L’IMPORTANZA DI ESSERE UN CREDITORE– La via intrapresa dal neo-esecutivo greco appare impervia, per una ragione almeno: l’eurozona non è costruita perché procedure, come il taglio del debito, si materializzino. Come molti osservatori hanno avuto modo di commentare, l’ingresso di Atene nell’Eurozona ha intensificato l’esposizione del settore privato all’indebitamento estero e relegato il Paese a mero mercato di sbocco per economie più avanzate. Il mancato rischio di cambio e il perseguimento di una perfetta circolazione dei capitali non hanno che intensificato tale processo, aumentando il deficit di Atene con l’estero e provocando gli squilibri macroeconomici che sono alla base di questa crisi. Per questa e sicuramente altre ragioni, gli intenti di Tsipras rischiano di essere prevaricati dai rapporti di forza, ad oggi nettamente a suo sfavore, che un’unione economica e monetaria senza Stato per definizione genera.
CONCLUSIONI– Che il cambiamento di cui il premier ellenico si sta facendo portavoce riscontri apprezzamenti trasversali tra coloro i quali hanno sperimentato lunghi periodi di austerità, come la Spagna, è logico più che inevitabile. La vittoria di Syriza ha compattato il fronte dei movimenti mediterranei nati in antitesi alle misure risolutive della crisi provenienti da Bruxelles e creato i presupposti per un radicale cambiamento politico nell’intera area. Si tratta, senz’altro, di un segnale di vivacità democratica. Tuttavia la reiterata convinzione che l’austerità non abbia nulla a che fare con la tenuta dell’euro rischia di inficiare le battaglie politiche intraprese da questi movimenti. Siamo sicuri, alla luce di quanto accaduto in Europa negli ultimi anni, che il pericolo sia tutto nel ritorno alle monete nazionali?
Daniele Morritti
[box type=”shadow” align=”alignleft” ]
Un chicco in più
Alexis Tsipras e il Ministro delle Finanze Yanis Varoufakis hanno proposto al Consiglio Europeo un piano che prevederebbe la riduzione del surplus di bilancio primario (ovvero, al netto del pagamento degli interessi) dall’attuale 3% all’1,5%. Ciò consentirebbe ad Atene di avere più risorse da destinare a programmi sociali, senza però infrangere i parametri di Maastricht. Intanto, la BCE ha accordato un’estensione del fondo di emergenza ELA per ulteriori 5 miliardi di euro. La prossima settimana potrebbe essere decisiva per la risoluzione della crisi.
[/box]